Video Analisi con commento : GRANO – WHEAT Up Date 17-12-2021

Eccoci a un nuovo aggiornamento dell’analisi sul GRANO- WHEAT, quanto mai necessario viste le ultime mosse di Powell e della Federal Reserve.

GRANO – WHEAT Up Date 17-12-2021

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Farina, olio di semi e fertilizzanti scarseggiano: la guerra ucraina minaccia una crisi alimentare

Si teme una crisi alimentare mondiale a seguito della guerra in Ucraina. A rischio vi sono numerosi prodotti di base e i raccolti ovunque.

19 Marzo 2022 alle ore 12:03

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Se in queste settimane avete notato cartelli in qualche catena di supermercati che avvertono sulla limitazione delle quantità di alcuni prodotti da poter mettere nel carrello, sappiate che il problema sta diventando globale. La crisi alimentare è diventata lo spettro con cui fare i conti in ogni angolo del pianeta. Già i cambiamenti climatici e l’interruzione delle catene di produzione con la pandemia avevano assestato duri colpi ai raccolti. Con la guerra ucraina, la situazione è notevolmente peggiorata.

L’Ucraina produce metà di tutto l’olio di semi di girasole nel mondo, il 10% della farina, un ottavo dell’orzo e quasi un sesto dell’amido di mais. E il fatto che sul suo territorio si stia combattendo una dura guerra sta lasciando da settimane i campi incolti. Secondo SovEcon, una società di ricerca del Mar Nero, il raccolto di avena quest’anno in Ucraina sarà del 35% più basso dello scorso anno, quello della farina del 19% in meno. E queste previsioni si basano sull’assunto che la guerra finisca a breve. Se così non fosse, i contadini non sarebbero nelle condizioni di sfruttare la stagione primaverile per tornare nei campi. I cali dei raccolti diverrebbero ancora più drammatici.

I prezzi dei prodotti alimentari stanno esplodendo. Secondo l’indice FAO, sono aumentati mediamente del 20,7% su base annua a febbraio. Per gli oli vegetali, il boom è stato del 36,7%; per le carni del 24,8%. E saremmo solo agli inizi. Russia e Bielorussia sono principali produttori di fertilizzanti. Una delle società principali di Minsk è sotto embargo, mentre Mosca sta sospendendo le esportazioni, vuoi come ritorsione alle sanzioni dell’Occidente, vuoi anche per mettere al sicuro i raccolti russi.

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Tra questi, c’è l’urea, un fertilizzante azotato prodotto con gas naturale e che adesso manca vistosamente in Occidente.

Crisi alimentare, cibo non è più “cheap”

Fatto sta che negli stessi campi americani da qualche mese i fertilizzanti scarseggiano e le associazioni degli agricoltori sono sul piede di guerra, così come in Italia. Nel frattempo, diversi stati stanno ponendo limitazioni alle esportazioni. L’Egitto impedisce le vendite all’estero di farina, lenticchie e fagioli, l’Indonesia stringe sull’olio di palma. E il prezzo di quest’ultimo è schizzato del 60% su base annua, pur scendendo dai massimi. Stessa cosa per la farina, a +65%. A pagare direttamente pegno sono Nord Africa e Medio Oriente, riforniti da Russia e Ucraina. Paesi come l’Egitto hanno ben in mente le rivolte del 2011 con le famose “Primavere Arabe” scatenate proprio dall’impennata dei prezzi alimentari.

Tuttavia, lo spettro della crisi alimentare riguarda un po’ tutto il pianeta. Le fasce della popolazione con redditi minori rischiano di pagarne le conseguenze. In generale, non c’è più certezza di trovare tutto e subito. Un fenomeno a cui non siamo abituati fortunatamente da generazioni. Con la globalizzazione, poi, tutti i prodotti sono disponibili in ogni mese dell’anno, indipendentemente dall’area del pianeta in cui ci troviamo. La carenza di fertilizzanti come l’urea, salita fino a 1.000 dollari per tonnellata (+150% in un anno), sta costringendo molti agricoltori a rinunciare alle semine. In alternativa, dovranno trasferire i maggiori costi sui raccolti. Per i consumatori un ennesimo salasso, che si aggiunge a quello legato al boom dei costi energetici.

Produzione giù e boom dei prezzi. E sulla tavola il pane è a rischio

L’ISTAT conferma l’inizio negativo per l’economia italiana in questo 2022. In calo la produzione, mentre i prezzi esplodono a gennaio.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 12 Marzo 2022 alle ore 11:35

Boom dei prezzi alla produzione

Come spesso capita, quando gli istituti di statistica pubblicano i dati macro, appartengono già al passato. Ed è questo il caso, seppure indicativo del peggio che verrà. L’ISTAT in settimana ha confermato che l’economia italiana ha debuttato nel 2022 malamente. I prezzi alla produzione sono esplosi del 32,9% su base annua e del 9,7% su dicembre nel mese di gennaio. Anche al netto della componente energetica, i rialzi sono stati rispettivamente del 10,6% e dell’1,8%.

Invece, la produzione industriale si è contratta del 3,4% su dicembre, stando al dato destagionalizzato. Su base annua, il calo è stato del 2,6%. Nella media del trimestre novembre-gennaio, si è registrato un calo dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. Ma, dicevamo, questa è storia. Perché gennaio è stato il mese precedente allo scoppio della guerra in Ucraina, uno spartiacque negativo per le economie dell’Eurozona. Tant’è che Goldman Sachs adesso arriva ad ipotizzare nello scenario peggiore una crescita del PIL nell’area di appena l’1,4% quest’anno, a fronte di un tasso d’inflazione fino al 7,7% di luglio.

Le materie prime stanno letteralmente esplodendo. Il petrolio è arrivato a 130 dollari al barile, il gas fino a oltre 350 euro per megawatt-ora, il nichel ha sfondato la soglia dei 100.000 dollari a tonnellata. E potremmo proseguire ancora. Brutto, molto brutto il dato sulla farina: prezzo oltre i 400 dollari a tonnellata, pari a un rincaro annuale superiore al 70%. Qui, parliamo del pane, dei biscotti, dei dolci, insomma dell’essenziale. E anche in questo caso, la guerra in Ucraina assume un ruolo determinante. Tra Mosca e Kiev, balla quasi un quarto della produzione mondiale di grano. L’Italia importa dall’Ucraina il 5% del suo grano e il 20% del mais.

Pane a tavola tra rincari e carenza

Il governo russo ha prospettato restrizioni alle esportazioni di grano e ai fertilizzanti utilizzati in agricoltura.

Da parte sua, gli ucraini non stanno più coltivando i campi e non potranno provvedere ai raccolti, essendo le donne e i bambini sfollati e gli uomini precettati in guerra dai 18 ai 60 anni. Inoltre, sui campi vengono sganciate bombe russe, per cui c’è paura anche di avvicinarvisi. Tutto questo sta portando non solo a un calo delle esportazioni, ma anche delle coltivazioni nei campi di Nord America ed Europa. Senza fertilizzanti, sotto embargo in Bielorussia (uno dei principali produttori al mondo) tra l’altro, la resa dei raccolti crolla e con essa la produzione di generi alimentari.

Il dato di gennaio prelude a un febbraio e marzo ancora peggiori. E non soltanto sul fronte della produzione. L’inflazione in Italia è salita sopra il 6% il mese scorso, a fronte di un aumento dei prezzi alla produzione di un terzo il mese prima ancora. Sappiamo che i maggiori costi delle imprese tendono a trasferirsi su beni di consumo e servizi finali con il passare del tempo, pur non sempre totalmente. Ma risulta difficile immaginare che le imprese italiane possano assorbire una lievitazione dei prezzi del 33% senza aumentare i listini a doppia cifra. Stiamo correndo, cioè, verso un’inflazione a doppia cifra, che arriverà in maniera percettibile attraverso il caro bollette già a marzo.

Sciopero autotrasportatori, è incubo: prezzi alle stelle, ecco cosa rischia di mancare

Lo sciopero degli autotrasportatori da lunedì può paralizzare l’Italia e mettere in ginocchio la già fragile economia. Scorte a rischio.

di Giuseppe Timpone, pubblicato il 12 Marzo 2022 alle ore 08:08

I Tir si fermano, perché da lunedì 14 marzo inizia lo sciopero degli autotrasportatori indetto dall’Associazione Nazionale Autotrasportatori Professionali. Ed è a tempo indeterminato, per cui potrebbe durare a lungo, a meno che la categoria non riesca a trovare un accordo con il governo. Alla base delle proteste vi è il caro carburante. Un litro di benzina è volato verso 2,30 euro al litro, la diesel sta incollata e, in molti casi, supera il prezzo della verde.

I camionisti vorrebbero un intervento del governo sulle accise, anche perché su un prezzo di 2,20 euro per un litro di benzina, in tasse se ne vanno 1,13 euro, includendovi anche l’IVA. Viaggiare da Nord a Sud in Italia è diventato proibitivo. E poiché l’85% delle merci nel nostro Paese arriva sugli scaffali su gomma, lo sciopero degli autotrasportatori rischia di avere ripercussioni devastanti per la già tentennante economia italiana.

Sciopero autotrasportatori contro accise

C’è già paura tra gli automobilisti, molti dei quali temono di restare a piedi durante la prossima settimana. In effetti, le consegne di carburante alle stazioni di servizio sono in forse. E lo sono anche quelle di svariati generi alimentari, i quali peraltro già risentono del calo delle esportazioni da Russia e Ucraina, i due granai d’Europa. La quantità di farina nei supermercati potrebbe ridursi anche considerevolmente nell’arco delle settimane, anche se non è il caso di scadere nel panico e di fare scorte. Questo atteggiamento, per quanto individualmente comprensibile, provocherebbe la carenza dei prodotti di base nei supermercati, un po’ come accadde nei primi giorni di lockdown del marzo 2020.

In ogni caso, lo sciopero degli autotrasportatori può impattare sui prezzi, mandandoli ancora più alle stelle di quanto non lo siano già.

Lo scenario della stagflazione è nei fatti, non più uno spauracchio. Dal canto suo, il governo non può permettersi di abbassare le accise, semmai di sterilizzarne l’impatto oltre una certa soglia di prezzo della materia prima. Tuttavia, non facciamoci illusioni, perché la materia non è facile. Un intervento immediato sarebbe possibile sull’IVA, specie se fosse preso in considerazione anche nel resto d’Europa come con la pandemia. L’imposta grava attualmente per circa una quarantina di centesimi al litro. Azzerarla temporaneamente appare impossibile, dimezzarla chi lo sa!

Benzina a 2 euro, ecco quanto spenderemo quest’anno e quanto incasserà lo stato

Il prezzo della benzina è salito sopra 2 euro al litro come media nazionale e per gli automobilisti sarà un salasso, per lo stato una festa

di Giuseppe Timpone, pubblicato il 11 Marzo 2022 alle ore 10:37

Il caro carburante è diventato un incubo per gli automobilisti in questi primi mesi del 2022. Il prezzo della benzina è salito sopra 2 euro al litro questa settimana, risentendo del boom delle quotazioni del petrolio a 130 dollari al barile, accompagnato dall’indebolimento del cambio euro-dollaro. Una stangata che si sta ripercuotendo sulle tasche delle famiglie, anzi della generalità dei consumatori, visto che gli aumenti di luce, gas e carburante incidono sui costi di produzione e trasporto.

Vediamo quale sarà l’impatto sugli automobilisti della benzina a 2 euro. Anzitutto, dobbiamo partire dai consumi nel 2021. I litri di benzina erogati l’anno scorso sono stati quasi 10,5 miliardi, meno della metà dei 27 miliardi di litri di gasolio. E, poi, ci sono stati anche 1,7 miliardi di litri di GPL. Con un costo medio di oltre 2 euro al litro per la benzina, sopra 1,92 euro per il diesel e a 0,85 euro per il GPL, spenderemo in un anno rispettivamente più di 21 miliardi, quasi 52 miliardi e circa 1,5 miliardi. Il totale farebbe 74,5 miliardi, il 4% del PIL.

Considerando che gli automobilisti in Italia sono poco più di 39 milioni, il costo medio per ciascuno ammonterebbe a 1.900 euro, quasi 160 euro al mese. In realtà, le patenti attive sono una cosa, coloro che effettivamente posseggono un mezzo e lo usano abitualmente un’altra. Verosimile che il numero degli automobilisti effettivi sia inferiore di svariati milioni. Basti pensare a quanti anziani, pur formalmente ancora in possesso della patente, non guidino più. O a quanti giovanissimi neopatentati non dispongano ancora di un’auto, magari perché sono ancora a scuola e all’università e non hanno un reddito proprio con cui mantenersi. Dunque, il costo medio risulterebbe ben maggiore.

Benzina a 2 euro, il peso di accise e IVA

Come sappiamo, poi, per lo stato il carburante è una miniera d’oro. Le accise soltanto ai prezzi attuali gli frutterebbero 7,6 miliardi di euro in un anno per la sola benzina, 16,7 miliardi per il diesel e 0,25 miliardi per il GPL. Ovviamente, stiamo supponendo che i consumi rimarranno invariati, cosa che molto probabilmente non sarà. Basti entrare in un bar per sentire molte persone ammettere che useranno meno l’auto, limitando i movimenti. Ad ogni modo, le sole accise farebbero incassare allo stato 24,5 miliardi. E l’IVA? Sarebbero altri quasi 4 miliardi con la benzina, circa 9,5 miliardi con il diesel e oltre 260 milioni con il GPL. Fanno altri quasi 14 miliardi.

Tirando le somme, lo stato incasserebbe 38 miliardi tra accise e IVA, pari a più di 970 euro per ciascun automobilista o più di 80 euro a testa al mese. In altre parole più della metà dell’esborso avverrà per le imposte. Peraltro, le accise sono fisse e tendono ad incidere in misura maggiore quando i prezzi dei carburante sono più bassi. Ad ogni modo, il costo della materia prima pesa per poco più di un terzo del totale. A 130 dollari al barile e al cambio euro-dollaro sotto 1,10, farebbe meno di 75 centesimi al litro. A conti fatti, su un litro di benzina a poco più di 2 euro, tra costi aziendali, di trasporto, profitti della compagnia e compenso riconosciuto alla distribuzione vanno appena 18 centesimi, il 9% del totale. L’azionista di maggioranza è senz’altro lo stato.


 

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