LUGLIO-DICEMBRE 2022 COME LUGLIO-DICEMBRE 1962 ?

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Le banche centrali evocheranno la crisi per fermare l’inflazione

L’inflazione non smette di galoppare e inizia a seminare il panico tra banche centrali e governi. Il rimedio sarà dolorosissimo.

di , pubblicato il 
Banche centrali contro l'inflazione
 
 
Agosto non ha portato alcun sollievo all’Eurozona. L’inflazione, anziché stabilizzarsi o arretrare, ha continuato a salire fino a superare il 9%. Negli USA, un timido rallentamento c’è stato, ma gli analisti invitano a non farsi illusioni: i prezzi al consumo resteranno alti per un periodo più lungo del previsto. Nel Regno Unito, paventa Goldman Sachs, potrebbero esplodere fino al 22,4% nel 2023. Siamo alla catastrofe economica. Le famiglie si barcamenano tra una bolletta e l’altra, in attesa che l’inverno porti tragiche novità. Le imprese sono al collasso. Pagano l’energia anche per una decina di volte il costo di un anno fa e molte rischiano di chiudere. Il cerino è tutto nelle mani delle banche centrali, sulle quali ricade la gravissima responsabilità di non avere saputo prevedere gli eventi per tempo e reagire adeguatamente. Ai governi va persino peggio: sono quasi impotenti dinnanzi all’inflazione alle stelle e, per giunta, nel mirino delle rispettive opinioni pubbliche.

Powell sdogana crisi contro inflazione

La scorsa settimana, il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, ha sorpreso il mercato quando ha spiegato che, pur di battere l’inflazione negli USA, sia disposto a mandare in recessione l’economia americana. Più chiaro di così non poteva essere. Tra le banche centrali, la FED è messa meglio di tutte. In primis, perché l’inflazione americana in buona parte è causata dall’alta domanda. Secondariamente, ha già alzato i tassi d’interesse al 2,50% e a settembre li porterà quasi certamente al 3,25%. Inoltre, il dollaro si rafforza e, fino a un certo punto, contiene l’inflazione importata.

La BCE se la passa peggio di tute. Ha appena iniziato ad alzare i tassi e già teme la recessione dell’economia.

Inoltre, l’alta inflazione nell’Eurozona scaturisce perlopiù dall’aumentato costo dell’energia, che a sua volta dipende essenzialmente dalla “guerra” in corso tra Russia ed Europa. La prima usa il gas come arma, chiudendoci i rubinetti e facendo così esploderne il prezzo. La speculazione ci marcia e pian piano sta rincarando un po’ tutto, perché produrre e trasportare merci ed erogare servizi costa sempre di più. Dulcis in fundo, il cambio euro-dollaro è collassato sotto la parità, “riscaldando” ulteriormente l’inflazione.

Banche centrali puntano a recessione controllata

Così come Powell ha sentito l’esigenza di paventare la crisi economica contro l’inflazione, ben presto saranno costrette a farlo le altre banche centrali. La ragione è semplice: solo se i mercati si convincono che stiamo andando a gambe per aria, inizieranno a speculare meno al rialzo sulle quotazioni delle materie prime. Smetteranno di comprare gas a prezzi stellari e sconteranno un prezzo calante anche per il petrolio. Gradualmente, tali aspettative spingerebbero in basso tutti i prezzi e arresterebbero (si spera) la corsa dell’inflazione.

Ma gridare all’arrivo della crisi non è come prevedere la pioggia. Se non ha da piovere, non pioverà di certo neppure se lo profetizzassimo in milioni di persone. Invece, se molti di noi si convincono che ci sarà crisi, questa prima o poi arriverà. Come? Tramite le aspettative. Gli investimenti andranno giù, così come i consumi. Le imprese ridurranno la produzione e assumeranno di meno o rinvieranno del tutto le assunzioni. L’economia si avvita verso il basso. L’inflazione magari recede, ma ci sarà per l’appunto questo prezzo da pagare. E le banche centrali si sono messe in testa che, anziché attendere che la corsa dei prezzi travolga le economie, meglio sarebbe anticiparne la fine puntando a una recessione “controllata”. Resta il fatto che, se il controllo sarà come quello avvenuto nei mesi passati, che qualcuno di guardi da lassù.

Wall Street vola, ecco cosa è piaciuto del Jobs Report. Il 13 settembre il dato clou che indirizzerà la Fed

   17:06

Mercati tonici in scia ai dati emersi dal report occupazionale Usa. Il rallentamento della creazione di posti di lavoro (+315 mila dai +528mila precedenti) era ampiamente atteso (consensus era +30 mila), ma abbinato all’aumento a sorpresa della disoccupazione al 3,7% ha alimentato le aspettative di una Fed più cauta nell’alzare i tassi.

Al momento i principali indici di Wall Street segnano oltre +1% e l’Europa fa molto meglio con rialzi nell’ordine del 3% per Dax e Ftse Mib. “I mercati hanno assimilato l’aumento della disoccupazione come un primo segnale di indebolimento dell’economia statunitense che indurrà la FED ad abbassare i tassi di interesse nel futuro per evitare una recessione”, argomenta Federico Vetrella, Market Strategist di IG Italia, che vede comunque la Fed continuare ad agire aggressivamente sui tassi di interesse nel breve termine fino a che non registrerà un consistente allentamento dell’inflazione.

Adesso lo sguardo si sposta agli appuntamenti delle prossime settimane. “Per la Fed rimane aperta l’ipotesi 50/75 pb nel meeting del 21 settembre. Decisivo sarà il dato sull’inflazione di agosto in pubblicazione il 13 settembre”, asserisce Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte.

C’è poi da guardare la componente salari, che segnano una salita su base annua del 5,2%, meno del +5,3% previsto e in linea con il +5,2% precedente. “In passato, il livello critico preso come riferimento dalla Fed quale segnale di un surriscaldamento dell’economia è stata una crescita annua dei salari del 4%. Al momento, siamo ancora vicini al 6%. È un’ottima notizia per la busta paga, ma è anche una delle cause principali dell’inflazione dilagante che stiamo vivendo”, spiega Callie Cox, US investment analyst di eToro.

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La Stagflazione è il “prezzo della guerra”? Manteniamo la rotta della crescitaL’Italia crescerà più della media dell’Eurozona sia nel 2022 che nel 2023, ma questa non è esattamente una buona notizia. OCSE: “Ridurre lo stimolo fiscale, ma sostenere le fasce deboli contro il caro-vita”.Di Alessio CardinaleNel gergo economico, il termine “stagflazione” deriva dalla combinazione di “stagnazione” e “inflazione”, e definisce una congiuntura nella quale si verifica, allo stesso tempo, un aumento dei prezzi al consumo (che genera inflazione) e assenza di crescita nell’economia reale (cioè una stagnazione). Per capire gli effetti di una tale combinazione di eventi economici, immaginate di avere otturato lo scarico del vostro lavandino, e che in attesa dell’arrivo dell’idraulico – evento economico incerto per definizione – l’acqua diventi stagnante e piena di batteri nocivi. Così accade all’economia, che in una situazione di stagflazione si riempie di “batteri economici” anche piuttosto gravi: mercato del lavoro asfittico, borse prive di spunti al rialzo, tassi di mutuo sempre più elevati, prezzi dei prodotti in continuo aumento e consumi in calo, solo a titolo di esempio.Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagineLa stagflazione, pertanto, è una vera e propria minaccia per le economie dei paesi che ne vengono colpiti, ed in epoca di globalizzazione questo fenomeno arriva contemporaneamente in intere aree continentali. Rispetto al periodo di stagflazione degli anni ’70 (shock petrolifero) oggi abbiamo delle reti di protezione che allora non c’erano, ma se consideriamo che i più importanti di questi “scudi protettivi” sono costituiti da una certa debolezza dei sindacati – misteriosamente silenziati come non mai nella loro storia – e dall’assenza di tutela verso i salari, che vengono aggiornati solo in minima percentuale rispetto alla crescita dei prezzi al consumo e perdono continuamente potere d’acquisto, è facile capire come in un simile contesto si sta raschiando il fondo del barile.LEGGI ANCHE: Inflazione, le aziende USA rafforzano la gestione del rischio credito commercialeLa stagflazione è causata da elementi di natura esogena, come gli shock energetici o, come negli ultimi due anni, dalle interruzioni nelle catene di approvvigionamento causate dalla pandemia. Si tratta, quindi, di shock di offerta, che non era impossibile prevedere sia nel 2020 che nel 2021, ma tant’è.Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagineE adesso le banche centrali devono contrastare questo fenomeno nel modo più difficile, poiché per diminuire la spinta inflazionistica devono ridurre la massa di moneta in circolazione e contenere, in tal modo, la domanda di beni e servizi, che oggi è altissima; ma così facendo, e se il tentativo di raffreddare la domanda si spinge fino a ridurla in modo eccessivo, si rischia di far entrare l’economia in recessione, e questo è un rischio che nessuno vuole correre. Piuttosto, si dovrebbe agire per riportare le catene di approvvigionamento ai livelli di normalità pre-pandemia, ma le restrizioni anti-Covid attuate dalla Cina, da un lato, e la guerra in Ucraina che ha accelerato la corsa dei prezzi, dall’altro, impediscono di intervenire efficacemente in tale processo.[http://Immobiliare%20residenziale,%20gli%20“over%2064”%20comprano%20meno.%20Le%20compravendite%20crescono%20ovunque]LEGGI ANCHE: Immobiliare residenziale, gli “over 64” comprano meno. Le compravendite crescono ovunqueNel frattempo, l’Europa mostra tutta la sua vulnerabilità economica generata dalla forte dipendenza dal gas russo, e le proiezioni del Pil in deciso calo fanno temere uno scenario di recessione. Stessa cosa negli Stati Uniti. Secondo le stime di crescita di Prometeia, la crescita dell’economia italiana nel 2022 sarà del +2,9%, in aumento rispetto alla previsione di un + 2,2% fatta nel mese di Marzo scorso.Non è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagineQuesto significa che l’Italia, anche nel 2023, crescerà più della media dell’Eurozona, e questo è, secondo Prometeia, un dato più che sorprendente, ma non è esattamente una buona notizia, poiché “gli effetti del carovita sulle sulle famiglie e degli aumenti delle tariffe energetiche sulle imprese si faranno sentire nella seconda metà dell’anno e in particolare nel 2023”. Inoltre “…. se il secondo trimestre potrà registrare ancora una crescita, portando la crescita acquisita per il 2022 al 3%, nel secondo semestre la crescita del Pil si fermerà, ma non prevediamo al momento una recessione tecnica, perché nei mesi estivi il contributo di turismo e servizi, oltre che delle costruzioni, bilancerà la caduta dell’industria e dei consumi di beni fino all’autunno, quando tale contributo cesserà e si potrà registrare una contrazione del prodotto interno lordo“.LEGGI ANCHE: La tutela patrimoniale dei figli disabili nel “dopo di noi”. Il Trust per proteggere i più deboliNon è stato fornito nessun testo alternativo per questa immagineSecondo l’Ocse, ciò che sta succedendo altro non è che “il prezzo della guerra“. Il rapporto dell’Organizzazione si concentra su alcuni elementi: crescita globale tagliata al 3%, crescita italiana al +2,5%, crisi alimentare e inflazione, e contiene un invito esplicito alla Bce nel prestare attenzione alla stretta monetaria, evitando rigidità di principio. Inoltre, una raccomandazione all’Italia: “Ridurre lo stimolo fiscale ma sostenere le fasce deboli contro il carovita“. Quindi, pare che al momento non ci sia altra direzione possibile: mantenere la rotta della crescita, ma non gettare troppa zavorra in mare. Sennò le vele si rompono al primo vento di tramontana.

Mercati e Fed: ora sarà decisivo il dato su inflazione del 13 settembre

 di Titta Ferraro

 02/09/2022  17:06

Mercati tonici in scia ai dati emersi dal report occupazionale Usa. Il rallentamento della creazione di posti di lavoro (+315 mila dai +528mila precedenti) era ampiamente atteso (consensus era +30 mila), ma abbinato all’aumento a sorpresa della disoccupazione al 3,7% ha alimentato le aspettative di uan Fed più cauta nell’alzare i tassi.

Al momento i principali indici di Wall Street segnano oltre +1% e l’Europa fa molto meglio con rialzi nell’ordine del 3% per Dax e Ftse Mib. “I mercati hanno assimilato l’aumento della disoccupazione come un primo segnale di indebolimento dell’economia statunitense che indurrà la FED ad abbassare i tassi di interesse nel futuro per evitare una recessione”, argomenta Federico Vetrella, Market Strategist di IG Italia.

Adesso lo sguardo si sposta agli appuntamenti delle prossime settimane. “Per la Fed rimane aperta l’ipotesi 50/75 pb nel meeting del 21 settembre. Decisivo sarà il dato sull’inflazione di agosto in pubblicazione il 13 settembre”, asserisce Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte.

C’è poi da guardare la componente salari, che segnano una salita su base annua del 5,2%, meno del +5,3% previsto e in linea con il +5,2% precedente. “In passato, il livello critico preso come riferimento dalla Fed quale segnale di un surriscaldamento dell’economia è stata una crescita annua dei salari del 4%. Al momento, siamo ancora vicini al 6%. È un’ottima notizia per la busta paga, ma è anche una delle cause principali dell’inflazione dilagante che stiamo vivendo”, spiega Callie Cox, US investment analyst di eToro.

Cattive notizie per gli asset di rischio: Columbia TI prevede un calo nell’azionario

Steven Bell (Columbia Threadneedle Investments) vede prospettive non incoraggianti per l’azionario e in particolare per il Regno Unito e non esclude che possa rivedersi il minimo storico di 1,05 nel cambio sterlina/dollaro USA

 di Leo Campagna  2 Settembre 2022 08:00
financialounge -  azionario Columbia Threadneedle Investments Steven Bell

Prima delle riunione di Jackson Hole della scorsa settimana i mercati avevano previsto un cambio di rotta da parte della Fed già nella prossima primavera, con un calo significativo dei tassi di interesse entro il 2023. Ma le dichiarazioni al simposio del presidente della Federal Reserve statunitense, Jerome Powell, e i commenti di molti altri membri del comitato hanno chiarito che la banca centrale USA è determinata a continuare ad aumentare i tassi di interesse fino a quando l’inflazione non sarà chiaramente sotto controllo.

NECESSARIA UNA VERA E PROPRIA RECESSIONE

“La Fed ha anche ammesso che la disoccupazione dovrà aumentare per contenere i prezzi al consumo mentre i mercati ora stanno valutando un ritmo di inasprimento più rapido nei prossimi mesi e solo un modesto calo in seguito. A conti fatti, ritengo necessaria una vera e propria recessione”, specifica Steven Bell, Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments.

IMPENNATA DEL COSTO DELL’ENERGIA IN EUROPA

A proposito di recessione, secondo il manager l’impennata del costo dell’energia – i prezzi del gas sono aumentati di 20 volte a causa della riduzione delle forniture da parte della Russia – spingerà sicuramente l’Europa verso la recessione. “E’ evidente che anche nel Vecchio Continente i tassi di interesse dovranno aumentare, tuttavia le fonti interne di inflazione – affitti e salari  – risultano meno forti rispetto agli Stati Uniti” argomenta Bell. Secondo il quale il quadro d’insieme – USA e Europa – rappresenta una cattiva notizia per gli asset di rischio con le azioni destinate a scendere.

GUARDANDO AL REGNO UNITO

Guardando al Regno Unito il Chief Economist EMEA di Columbia TI nota come il persistente forte deficit delle partite correnti e il deficit di bilancio di dimensioni difficili da sostenere, tendano a indebolire la sterlina. “Liz Truss dovrebbe essere il prossimo Primo Ministro e al carovita  risponderà con tagli fiscali non mirati con il risultato di ampliare ulteriormente il deficit, non riuscire a frenare la corsa dell’inflazione e forse, anche propiziare una crisi politica, dal momento che milioni di famiglie faticheranno a pagare le bollette energetiche”, commenta Bell. Non solo. A preoccupare i mercati c’è anche la modifica del mandato della Banca di Inghilterra (BoE).

UN PIANO STRAORDINARIO PER CONGELARE I PREZZI DELL’ENERGIA

“Liz Truss e il suo potenziale cancelliere hanno un piano straordinario per congelare i prezzi dell’energia. Prevede prestiti alle società energetiche, da rimborsare se e quando il prezzi del gas scenderanno,  attraverso un fondo sostenuto dal governo. Un meccanismo che dovrebbe ridurre l’inflazione e i pagamenti della previdenza sociale, frenare il rialzo dei titoli indicizzati, incrementare i redditi personali. Potrebbe persino evitare la recessione. Tuttavia si tratta di un piano che richiederebbe sovvenzioni massicce e a tempo indeterminato, che si basano su un forte calo dei prezzi del gas” spiega il manager di Columbia TI che definisce questo piano “una strategia ad alto rischio e ad alto rendimento”.

UN CONTESTO MOLTO PREOCCUPANTE PER LA STERLINA

Che il contesto sia molto preoccupante in particolare per la sterlina lo dimostra anche la dinamica del mercato in occasione del rialzo delle aspettative sui futuri tassi bancari inglesi a seguito dell’inatteso balzo dell’inflazione britannica comunicato due settimane fa. “Di solito questo tende ad attirare afflussi di capitale invece la sterlina non è riuscita a risalire. Il deficit delle partite correnti è diretto verso il 5% del PIL e i prezzi del gas salgono alle stelle: c’è il rischio concreto di rivedere il minimo storico del cambio con il biglietto verde, fissato nel febbraio 1985, a 1,05”, conclude il Chief Economist EMEA di Columbia Threadneedle Investments.

Strong Economy Is Bad News for Fed’s Inflation Fight

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Data pubblicazione: 1 set 2022

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Consumer confidence is increasing, job openings are rising and unemployment claims are declining. 

That’s all good news, right?

Well, not entirely.

In its battle against soaring prices, the Federal Reserve has been raising interest rates for months now, which theoretically will cool the economy and reduce demand.

There are some signs it’s working — inflation decelerated in July from a four-decade high and the housing market is starting to soften.

That fueled a stock rally in July and early August as market watchers speculated the Fed might not need to be as aggressive as feared.

But Fed Chair Jerome Powell threw cold water on those hopes last week when he said the central bank won’t stop increasing interest rates anytime soon, triggering a selloff that erased $78 billion from the richest Americans’ fortunes in just one day.

That wasn’t an accident: Minneapolis Fed President Neel Kashkari said in an interview with Bloomberg’s Odd Lots podcast Monday that he was “happy” to see how Powell’s speech was received.

As of Wednesday’s close, stocks had dropped 8% from their mid-August high.

Now, any data showing the US economy is still strong may be taken negatively by the stock market since it could lead to more aggressive rate hikes — a “good news is bad news” mindset, said Brian Overby, senior markets strategist at Ally Invest. 

“Worse-than-expected data might mean the Fed could ease off the tightening gas pedal,” he said. 

That counterintuitive take underscores the current economic environment, which is puzzling even the most experienced finance professionals. On one hand, the labor market is still hot, with available positions near a record high. But US companies increased headcount at a relatively sluggish pace in August, and workers say they’re losing the upper hand as layoffs mount. 

Meanwhile, it’s clear the hot pandemic housing market is beginning to cool — new home sales recently tumbled to the slowest pace since 2016 and home price growth decelerated in June. But economists at Goldman Sachs Group Inc. say the housing downturn still has further to go. 

Next up, all eyes will be on the jobs report for August, scheduled to come out Friday. It’s projected to show 300,000 jobs added — still a healthy pace but a moderation from July’s 528,000 surprise — while the unemployment rate is likely to hold steady at a five-decade low of 3.5%. 

Any positive surprises could trigger another selloff, according to Fiona Cincotta, senior financial market analyst at City Index.

“If we do see a strong jobs market still, it means we’ll be in the rate-hiking cycle for longer,” she said.

— Claire Ballentine

GAM: inflazione tenace, richieste di disoccupazione USA dato chiave per gli investitori

Secondo Adrian Owens, Investment Director Global Macro e Currency Fixed Income di GAM Investments, è l’elemento da tenere sotto controllo con maggiore attenzione perché può segnalare un alleggerimento della pressione

di Virgilio Chelli 21 Agosto 2022 09:15
financialounge -  Adrian Owens GAM inflazione mercato del lavoro

Far rallentare l’inflazione diventerà sempre più difficile in una situazione caratterizzata da liquidità in eccesso a breve termine e altri fattori più a medio termine che remano tutti contro, mentre anche le dinamiche demografiche non aiutano. La Cina oggi perde tra 1 e 2 milioni di lavoratori mentre una volta ne immetteva 15 milioni l’anno, e anche in altre economie avanzate la partecipazione al lavoro è diminuita. Un sostanziale aumento delle richieste di lavoro sarebbe un segnale incoraggiante, perché si inizierebbe a rilevare una certa debolezza del mercato del lavoro che alleggerirebbe un po’ la pressione sul fronte inflazionistico.

ANCHE IL DEBITO È SALITO

Lo sottolinea un commento di Adrian Owens, Investment Director Global Macro e Currency Fixed Income di GAM Investments, ricordando che storicamente, nei periodi d’inflazione molto alta, anche il debito pubblico è stato in genere elevato. Anche oggi è così ed è in questo scenario che le banche centrali stanno cercando, in ritardo, di far scendere l’inflazione, dopo che per anni hanno immesso liquidità. Secondo GAM, hanno dormito sugli allori perché l’inflazione è rimasta bassa molto a lungo, e si sono dimenticate che ci vuole tempo perché la politica monetaria agisca, con effetti variabili, alimentando il fuoco dell’inflazione.

SEMPRE PIÙ DIFFICILE

Sfortunatamente, rileva Owens, ci troviamo in una situazione in cui diventerà sempre più difficile, rispetto al passato, far rallentare l’inflazione. Oltre alla minor partecipazione al lavoro, GAM cita i cambiamenti climatici, i fattori ESG, e naturalmente anche la situazione in Russia e Ucraina che non aiuta. Secondo Owens significa che l’inflazione core è persistente e scende molto più lentamente di quanto generalmente si aspetta il mercato, prevedendo che i tassi saliranno ancora un po’ e che poi le banche centrali inizieranno a invertire la tendenza.

MONITORARE IL MERCATO DEL LAVORO USA

Un’area su cui GAM si concentrerà per monitorare la situazione è il mercato del lavoro e, in particolare quello degli Stati Uniti, perché è un mercato chiave. Ma se dovessimo scegliere un singolo dato, secondo Owens, guarderemmo probabilmente le richieste di disoccupazione, che sono uno degli indicatori più puntuali che possiamo esaminare.

PIÙ RICHIESTE DI SUSSIDI UN BUON SEGNALE

Un sostanziale aumento delle richieste di sussidi di disoccupazione, sottolinea nelle sue conclusioni l’esperto di GAM, sarebbe un segnale incoraggiante, perché inizieremmo se non altro a rilevare una certa debolezza del mercato del lavoro che alleggerirebbe un po’ la pressione sul fronte inflazionistico.

Il capo del primo fondo d’investimento ha appena venduto buona parte delle azioni

Larry Fink, CEO di BlackRock, primo fondo d’investimento al mondo, ha venduto l’8% delle sue azioni. Mercati finanziari in allarme.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 11 Agosto 2022 alle ore 06:18

BlackRock, Larry Fink vende parte delle sue azioni

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Chi fa trading dovrebbe almeno conoscere il nome di Larry Fink. E’ il CEO di BlackRock, il primo fondo d’investimento nel mondo con un patrimonio gestito di 10.000 miliardi di dollari, grazie a partecipazioni in migliaia di aziende quotate. L’uomo, come vedremo, è oggetto di opinioni contrastanti. Il 5 agosto scorso, ha venduto 44.500 azioni del suo stesso fondo a un prezzo cadauno di 684,61 dollari. Ha così incassato 30,5 milioni. La vendita ha riguardato l’8% della sua intera partecipazione in BlackRock, che adesso consiste in 563.771 azioni per un controvalore di quasi 394 milioni. Da notare come l’intero patrimonio di Larry Fink ammonterebbe a 1,2 miliardi, stando alle stime di Benzinga.

Segnale allarmante da BlackRock

Perché la vendita della settimana scorsa preoccupa i mercati finanziari? Essa risulta essere stata la più cospicua da inizio 2020, quando precedette di poche settimane il crollo delle borse dovuto alla pandemia. Allora, il manager vendette 46.700 azioni BlackRock a gennaio e altre 44.300 azioni a febbraio, incassando 25,1 milioni per volta. E va detto anche che il 25 luglio scorso ad avere venduto 37.600 azioni BlackRock è stato anche il presidente Robert Kapito, che ha così incassato 23,8 milioni.

Ed ecco che sui mercati finanziari si diffonde il timore che queste cessioni siano frutto di pessimismo o anche di un angolo di osservazione privilegiato circa le future prospettive in borsa. In altre parole, Larry Fink avrebbe monetizzato parte del suo pacchetto azionario scontando un possibile crollo dei prezzi nei prossimi mesi. Per completezza d’informazione, tuttavia, dovremmo notare come il CEO sia solito effettuare disinvestimenti, forse anche per ragioni fiscali. Egli vendette azioni BlackRock a febbraio, maggio, ottobre e dicembre del 2021, incassando rispettivamente 20, 30, 25,3 e 15,1 milioni.

Larry Fink nel mirino della destra americana

Nulla di inconsueto, dunque.

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Senonché il nome di Larry Fink non suscita tanta neutralità sui mercati finanziari. All’inizio dell’anno inviò una lettera ai CEO delle partecipate da BlackRock per indurli a tendere alla decarbonizzazione negli investimenti. Sono diciannove gli stati americani, guidati dall’Arizona e tutti repubblicani, che stanno perseguendo legalmente BlackRock per la sua crociata definita “ideologica” a favore dell’ambiente e che andrebbe a discapito degli investimenti in settori come petrolio e gas. Tale svolta, lamentano i governatori, minaccerebbe i fondi pensione locali.

Quest’anno, l’indice Dow Jones perde il 10%, ma è risalito altrettanto dalla metà di giugno. I mercati finanziari temono che la stretta monetaria globale contro l’alta inflazione finisca per strozzare l’economia. Cosa che sta già avvenendo negli USA. Nell’Eurozona la situazione appare persino peggiore, a causa della grave crisi energetica patita con la guerra tra Russia e Ucraina. Per questo motivo ogni segnale è importante e da Larry Fink ne è arrivato uno non positivo, anche se non possiamo escludere che non abbia alcunché a che vedere con le prospettive finanziarie.

Caccia alle valutazioni azionarie favorite anche nelle fasi di recessione

Secondo Joseph V. Amato (Neuberger Berman) gli investitori devono monitorare la capacità delle aziende di mantenere il potere di determinazione dei prezzi e il controllo sui costi di manodopera e su altri costi in crescita

 di Leo Campagna  10 Agosto 2022 07:55
financialounge -  Joseph V. Amato Morning News Neuberger Berman

La teoria insegna che la recessione tecnica è automatica dopo due trimestri consecutivi con il segno meno. Il PIL degli Stati Uniti, dopo un calo dell’1,6% nel primo trimestre dell’anno, ha registrato una contrazione dello 0,9% tra aprile e giugno.  La “dichiarazione” ufficiale di recessione viene comunicata da un gruppo di otto membri del National Bureau of Economic Research (NBER) degli Stati Uniti che valuta tre criteri: profondità, ampiezza e durata.

NEGLI USA PIÙ DI 500.000 POSTI DI LAVORO NEL MESE DI LUGLIO

Tuttavia, secondo Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer – Equities di Neuberger Berman, chiedersi se ci troviamo veramente in una fase di recessione rischia di essere sterile. Da un lato l’economia è in evidente fase di indebolimento, soprattutto se si tiene conto dell’inflazione. Dall’altro il rapporto sull’occupazione di venerdì scorso, nel quale sono stati annunciati più di 500.000 posti di lavoro nel mese di luglio, è difficilmente compatibile con un contesto di recessione.

UNA FASE DI NORMALIZZAZIONE DELL’ECONOMIA

“Per quanto incoerenti i dati della debolezza del PIL del primo semestre e l’elevato numero di posti di lavoro, si possono contestualizzare in una fase di normalizzazione dell’economia dopo il Covid-19. La flessione del PIL del primo semestre ha riguardato soprattutto i beni, mentre la dinamica positiva sul mercato del lavoro è stata favorita soprattutto dai servizi. Durante i lockdown, i consumatori hanno prevalentemente acquistato beni, mentre ora stanno tornando ad acquistare nuovamente servizi” spiega Amato.

LA DISTINZIONE TRA LIVELLI NOMINALI E REALI DI PIL

Il manager di Neuberger Berman consiglia pertanto agli investitori di focalizzarsi sulla distinzione tra livelli nominali e reali del PIL. Se l’inflazione è pari all’1,5% e la crescita reale è pari al 2%, il PIL nominale è pari al 3,5%: occorre ricordare che le aziende dichiarano gli utili su base nominale. “Ne deriva che quando l’inflazione è molto elevata, come in questa fase, la corsa dei prezzi al consumo può permettere alle società di mantenere inalterato il potenziale di crescita dei ricavi e degli utili, nonostante il rallentamento dell’attività economica complessiva sottostante”, sottolinea Amato.

LE DIVERGENZE RISCONTRABILI IN DIVERSI SETTORI ECONOMICI

A questo proposito, analizziamo i dati pubblicati nell’ultimo trimestre dalle società del settore dei beni di consumo. La catena di negozi alimentari Albertsons ha registrato una crescita delle vendite del 6,8% a parità del numero di punti vendita, in gran parte probabilmente legata all’inflazione, ma con profitti in aumento del 12% rispetto all’anno precedente. Stesso discorso per Procter & Gamble (crescita dai ricavi del 7%) e Home Depot e Lowe’s (che dovrebbero incrementare i profitti per l’anno in corso, anche in presenza di un’inflazione elevata e di un’economia più debole). Per contro altre società, tra cui Colgate-Palmolive e Bed Bath & Beyond, hanno comunicato dati deludenti. Divergenze riscontrabili in diversi altri settori economici.

IL POTERE DI DETERMINAZIONE DEI PREZZI

Oltre alla differenza tra crescita nominale e reale, gli investitori dovrebbero secondo Amato, monitorare anche la capacità delle aziende di mantenere il potere di determinazione dei prezzi e il controllo sui costi di manodopera e su altri costi in crescita. In questo modo possono attenuare l’impatto tipico di un rallentamento economico. Inoltre, sfruttando la leva operativa, tali aziende potrebbero continuare ad aumentare ricavi e utili (o almeno a contenere al minimo il loro calo).

UN OTTIMO IMPULSO PER LA PERFORMANCE DI ALCUNE SOCIETA’

“Ne risulterebbero favorite le valutazioni azionarie, mentre dal punto di vista del credito, i flussi di cassa continuerebbero a garantire il pagamento degli interessi a tasso fisso. Dinamiche capaci di fornire un ottimo impulso per la performance di alcune società e dei mercati azionari e creditizi più in generale, in un’economia che probabilmente continuerà a rallentare nella seconda metà dell’anno”, conclude il CIO Equities di Neuberger Berma

TASSO INFLAZIONE: proiezione e speranze dei mercati

Scritto il 8 Agosto 2022 alle 13:40 da Danilo DT

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Questo grafico credo può sintetizzare tutte le speranze per il 2023.
Come ho scritto in un post precedente,  l’indicatore clou resta il tasso inflazione. Sia perché rappresenta la tassa più pesante che noi tutti dobbiamo pagare in modo subdolo, ma anche perché dal suo andamento dipende l’atteggiamento delle banche centrali e conseguente andamento di mercato obbligazionario e azionario.

Questo grafico quindi riprende le prospettive sul tasso inflazione nel 2023. Come potete vedere si tratta di un movimento di stabilizzazione non indifferente. Guidato dalla recessione, dal raffreddamento dei prezzi sulle materie prime, dalle manovre restrittive delle banche centrali.
La scommessa però è forte, perché se così non sarà, signori, sarà stagflazione vera.

Pictet AM: meglio concentrarsi sulle tendenze strutturali

Andres Sanchez Balcazar, Head of Global Bonds di Pictet Asset Management, suggerisce agli investitori come agire in questo difficile contesto di mercato

 di Anna Patti  4 Agosto 2022 14:45
financialounge -  Andres Snchez Balcazar daily news Pictet Asset Management tendenze strutturali

Gli ultimi mesi sono stati difficili per gli investitori obbligazionari. E’ stato impossibile proteggersi, in quanto la maggior parte delle asset class a reddito fisso è scesa all’unisono.

NON AFFIDARSI ALL’ISTINTO

E’ ormai evidente che l’istinto non ha aiutato gli investitori negli ultimi 6 mesi. E’ costata cara la convinzione che le banche centrali accorrano sempre a salvare i mercati nei momenti difficili così come credere che le obbligazioni di durata più lunga potessero fungere da assicurazione contro la recessione. Il Team Global Bond di Pictet Asset Management ritiene che per gli investitori sia più saggio puntare sulle tendenze strutturali che influenzano i tassi d’interesse, gli spread obbligazionari, le valute, piuttosto che su quelle cicliche di breve termine. Gli esperti di Pictet ne hanno individuate tre tendenze strutturali: un lungo periodo di tassi bassi, la crisi europea e la transizione della Cina dalla crescita trainata dalle esportazioni alla crescita interna.

UN LUNGO PERIODO DI TASSI BASSI

Andres Sanchez BalcazarHead of Global Bonds di Pictet Asset Management dice che delle tre tendenze quella relativa al lungo periodo di tassi bassi potrebbe sembrare la più difficile da motivare razionalmente. Difficile credere a tassi bassi con l’inflazione che nella maggior parte dei paesi sviluppati ha raggiunto l’8%. Inizialmente avevamo anche noi adottato questa idea, convinti che l’invecchiamento della popolazione, combinato con livelli crescenti di debito, banche centrali indipendenti e politiche fiscali prudenti, avrebbero reso le economie sviluppate inclini a una crescita più contenuta e a un contesto di disinflazione, dice l’esperto di Pictet. La situazione però ha mostrato cedimenti già prima della pandemia. Oggi vanno anche considerate le tensioni tra Usa e Cina che mettono in pericolo la globalizzazione e la guerra in Ucraina che fa salire i prezzi delle materie prime a livelli preoccupanti.

IL TREND A LUNGO TERMINE

Tuttavia, continua a sostenere Andres Sanchez Balcazar, le tendenze demografiche non sono cambiate e continuano a indicare una riduzione della crescita economica nel lungo termine. Anche la crescita della produttività ha subìto un rallentamento (al di là delle distorsioni dovute alla pandemia). Di conseguenza, l’esperto di Pictet ritiene che il trend a lungo termine continua a indicare tassi reali bassi. L’estensione dei rialzi dei tassi di riferimento da parte delle banche centrali è limitata alla situazione attuale dei mercati aggravata dalla guerra in Ucraina, dalla crisi immobiliare e dai continui lockdown in Cina.

L’INFLAZIONE E’ LA VERA INCOGNITA

L‘inflazione ha iniziato a muoversi rapidamente oltre gli obiettivi delle banche centrali solo con i problemi delle filiere di approvvigionamento causati dal COVID e con la crescita esagerata degli stimoli monetari e fiscali. La persistenza di questo aumento dell’inflazione ha colto tutti di sorpresa. Secondo un sondaggio condotto da Bloomberg, le stime per gli Stati Uniti variano dal 4,9% al 9% per il 2022 e dal 2% al 5,2% per il 2023, con medie rispettive del 7,5% e del 3,4%. Il ventaglio delle previsioni è altrettanto ampio anche per l’Europa. L’analista di Pictet ritiene che l’obiettivo deve essere mantenere in equilibrio il portafoglio tra inflazione elevata e persistente e inflazione in calo. Va considerato anche che l’inflazione più elevata e persistente ha invertito la correlazione tra i titoli di Stato e le attività più rischiose. In parole povere, l’inflazione più elevata è ora negativa per le asset class più rischiose, mentre l’inflazione più bassa è positiva.

IL PERSISTERE DELLA VOLATILITA’

La volatilità è tornata più forte che mai, non solo per l’incertezza dell’economia globale. Le banche centrali non stanno più frenando la volatilità attraverso il quantitative easing o la “Fed put” sui mercati azionari. Pertanto Pictet ha ridotto il rischio nei portafogli, sia sugli investimenti in titoli di Stato che sulle obbligazioni societarie. Finché l’inflazione rimarrà superiore agli obiettivi della banca centrale, le correlazioni tra le attività a reddito fisso sono destinate a rimanere elevate, così come la volatilità del mercato.

IL DIVERSO OPERATO DELLE BANCHE CENTRALI

Le banche centrali rispondono in maniera diversa alle sfide dell’inflazione. La Banca d’Inghilterra, ad esempio, sembra essere molto più attenta a evitare di innescare una recessione, mentre la BCE è preoccupata dal rischio di una frammentazione all’interno dell’eurozona. La Reserve Bank of Australia (RBA), nel frattempo, è preoccupata per la bolla del mercato abitativo. Andres Sanchez BalcazarHead of Global Bonds di Pictet Asset Management ritiene che la Fed riuscirà a frenare l’inflazione più rapidamente e i tassi si stabilizzeranno prima. Per la BCE le scelte sono più difficili perché deve creare una rete di protezione per evitare che i costi di finanziamento delle economie più deboli e indebitate, come l’Italia, non sfuggano al controllo. Deve inoltre essere credibile nell’affrontare l’inflazione considerato che l’Eurozona sta vivendo uno shock commerciale per la guerra. Riuscirà in questi intenti?

LA CREDIBILITA’ DELLE BANCHE CENTRALI

La credibilità delle banche centrali è fondamentale dice l’esperto di Pictet è fondamentale per decidere quali strategie di investimento seguire. “Se la banca centrale risulta essere credibile, come negli Stati Uniti, pensiamo che valga la pena detenere una quota maggiore della valuta di quel Paese, una maggiore duration (o obbligazioni a più lunga scadenza) e un po’ di credito investment grade di alta qualità. Se la banca centrale non è credibile, si potrebbe pensare di mettersi in posizione corta sulla valuta del Paese, sulle sue obbligazioni e sul suo debito societario”, suggerisce Andres Sanchez Balcazar. Comunque ricorda l’esperto di Pictet. “ i nostri portafogli obbligazionari globali hanno avuto un inizio d’anno difficile, soprattutto a causa del fatto che tutte le asset class obbligazionarie sono scese all’unisono. Abbiamo risposto riducendo il rischio e riconsiderando la strategia”. In conclusione dice l’Head of Global Bonds di Pictet Asset Management: “tutto dipende dall’inflazione (incerta) e dalla credibilità delle banche centrali, dove le azioni compiute parlano più delle parole”.

Terzo trimestre: ecco cosa aspettarsi sui mercati secondo Fidelity International

Secondo Andrew McCaffery (Fidelity International) è iniziato il “Grande Reset”, in cui la Fed guida le banche centrali verso un percorso più restrittivo che privilegia la gestione dell’inflazione rispetto a un soft landing

di Leo Campagna 22 Luglio 2022 09:07
financialounge -  Andrew McCaffery Fidelity International outlook

Il terzo trimestre potrebbe rappresentare un punto di svolta per le Banche Centrali, al punto di rivelarsi fondamentale per determinare la direzione dei mercati e delle economie nei prossimi anni. Lo afferma Andrew McCaffery, Global CIO, Fidelity International, nell’outlook relativo al nuovo trimestre appena iniziato.

LE IMPLICAZIONI DEL GRANDE RESET

“L’inflazione è persistente mentre si stanno ridisegnando le catene di approvvigionamento globali. E’ l’inizio del Grande Reset, in cui la FED guida le Banche Centrali verso un percorso più restrittivo che privilegia la gestione dell’inflazione rispetto a un soft landing”, spiega McCaffery secondo il quale l’attenzione deve concentrarsi sulla gestione del rischio e sulla mappatura delle implicazioni del “Grande Reset” nel medio termine. Tenendo conto, precisa il manager, che i periodi di incertezza creano una serie di opportunità per le singole società in diversi settori.

TRE TEMI CHIAVE PER IL TERZO TRIMESTRE

“Il focus deve essere orientato sia su specifiche aziende esposte a tendenze di lungo periodo che in precedenza avevano registrato acquisti in eccesso, e sia su altre compagnie sottovalutate nella corsa alla crescita e che dovrebbero tornare in primo piano con l’aumento dei tassi” riferisce McCaffery che delinea tre temi chiave che domineranno il terzo trimestre del 2022: hard landing, l’uscita della Cina dal nuovo lockdown, i consumi globali sotto esame.

HARD LANDING

La svolta da “falco” della FED (un aumento dei tassi di 75 punti base (+0,75%) a giugno e un possibile ulteriore aumento di pari entità a luglio) per arginare l’inflazione ha incrementato l’ipotesi di atterraggio duro dell’economia. “La probabilità di uno scenario di hard landing, in cui le Banche Centrali spingono l’economia in recessione (casualmente o di proposito) è aumentato dal 35% al 60%” segnala il Global CIO di Fidelity.

LA CINA ESCE DAL LOCKDOWN

L’uscita della Cina dal nuovo duro lockdown di aprile e maggio imposto a molte delle principali città, in particolare Pechino e Shangai, è un segnale positivo per l’economia, sebbene sia consigliata cautela. “Le vendite di immobili primari sono ben al di sotto dei livelli precedenti , mentre la disoccupazione (in particolare quella giovanile) è in aumento, destando preoccupazione in un Governo che si concentra sulla stabilità sociale. Elementi di assoluto rilievo in vista del 20° Congresso del Partito” argomenta McCaffery. Secondo il manager, tenuto conto del supporto della politica fiscale e monetaria cinese, sta prendendo piede la probabilità che, nel secondo semestre, la Cina si stacchi, in termini di dinamica economica, dal resto del mondo.

I CONSUMI GLOBALI SOTTO ESAME

Il peso dei prezzi al consumo in rialzo e le retribuzioni reali in calo sono alla base del crescente malcontento che si riflette in tutta Europa con gli indicatori di fiducia dei consumatori ai minimi storici. Negli Stati Uniti, invece, a fronte di un sentiment dei consumatori in caduta negli ultimi mesi, le vendite al dettaglio, per il momento, resistono grazie ai contanti ancora disponibili sui conti bancari. Tuttavia, secondo McCaffery, è probabile che l’aumento dei tassi ipotecari e il crollo dei parametri di accessibilità possano presto tradursi in una diminuzione dei livelli di attività. Per quanto riguarda infine il consumatore cinese occorre verificarne il comportamento mentre restano possibili nuovi lookdown (per le restrizioni della Politica Zero-Covid di Pechino) e la disoccupazione in aumento. “Per tutte queste ragioni la resilienza dei consumi globali di fronte all’aumento dei costi e all’inasprimento delle condizioni finanziarie potrebbe rivelarsi fondamentale nel determinare la portata dell’atterraggio economico” conclude il Global CIO di Fidelity.

La Bce alza i tassi di 50 punti base ma vara lo scudo anti-spread e le Borse recuperano

La Bce ha optato per un rialzo di 50 punti base dei tassi d’interesse, le attese erano quasi tutte per un rialzo di 25 punti base. Approvato lo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria (Tpi)

 di Redazione  21 Luglio 2022 14:18
financialounge -  BCE Christine Lagarde politica monetaria

Il Consiglio direttivo della Bce ha deciso di innalzare di 50 punti base i tre tassi di interesse di riferimento della BCE e ha approvato lo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria (Transmission Protection Instrument, TPI). L’obiettivo è far tornare l’inflazione verso il 2%. Pertanto, i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale saranno innalzati rispettivamente allo 0,50%, allo 0,75% e allo 0,00%, con effetto dal 27 luglio 2022.

Il Consiglio direttivo ha ritenuto opportuno adottare un primo intervento più ampio nella normalizzazione dei tassi di riferimento rispetto a quanto segnalato nella riunione precedente. “Questa decisione si basa sulla valutazione aggiornata del Consiglio direttivo sui rischi di inflazione e sul maggiore sostegno fornito dal TPI a un’efficace trasmissione della politica monetaria”, spiega la Bce in una nota. Dopo la pubblicazione delle decisioni della Bce Piazza Affari ha guadagnato terreno, portandosi a -0,3%

NELLE PROSSIME SEDUTE ALTRI RIALZI

Come spiegato nella nota, l’intenzione della Bce è di procedere con altri rialzi dei tassi nelle prossime sedute con l’obiettivo raggiungere un obiettivo del 2%. “Il Consiglio direttivo ha ritenuto necessaria l’istituzione del TPI al fine di sostenere l’efficace trasmissione della politica monetaria. In particolare, mentre il Consiglio direttivo prosegue nel percorso di normalizzazione, il TPI assicurerà che l’orientamento di politica monetaria sia trasmesso in modo ordinato in tutti i paesi dell’area dell’euro. L’unicità della politica monetaria del Consiglio direttivo è un presupposto affinché la BCE possa adempiere il mandato di mantenere la stabilità dei prezzi”, si legge nel comunicato.

A BREVE LE SPECIFICHE SULLO SCUDO ANTI-SPREAD

“Il TPI rappresenta un ulteriore strumento a disposizione del Consiglio direttivo – prosegue la nota – attivabile per contrastare ingiustificate, disordinate dinamiche di mercato che mettono seriamente a repentaglio la trasmissione della politica monetaria in tutta l’area dell’euro. La portata degli acquisti del TPI dipenderà dalla gravità dei rischi per la trasmissione della politica monetaria. Gli acquisti non sono soggetti a restrizioni ex ante. Salvaguardando il meccanismo di trasmissione, il TPI consentirà al Consiglio direttivo di assolvere più efficacemente il mandato di preservare la stabilità dei prezzi”.

PEPP E PAA

Il Consiglio direttivo intende continuare a reinvestire, integralmente, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PAA per un prolungato periodo di tempo successivamente alla data in cui inizierà a innalzare i tassi di interesse di riferimento della BCE e, in ogni caso, finché sarà necessario per mantenere condizioni di abbondante liquidità e un orientamento adeguato di politica monetaria. Per quanto riguarda il PEPP, il Consiglio direttivo intende reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma almeno sino alla fine del 2024. In ogni caso, la futura riduzione del portafoglio del PEPP sarà gestita in modo da evitare interferenze con l’adeguato orientamento di politica monetaria.

Pictet: da digitale e fintech potente spinta alla crescita dei mercati emergenti

Sabrina Khanniche, Senior Economist di Pictet Asset Management, sottolinea che la tecnologia consente agli emergenti un balzo avanti di decenni in telecomunicazioni e energia, oltre che nei servizi finanziari

 di Virgilio Chelli  19 Luglio 2022 08:00

Per i mercati emergenti la rivoluzione digitale potrebbe rivelarsi una vera e propria ‘magia economica’ che potrebbe far saltare a piè pari lunghe fasi di sviluppo, come quelle che sono servite alle economie sviluppate per creare estese e costose reti di telecomunicazione e distribuzione elettrica.

SPINTA SENZA PRECEDENTI

Sabrina Khanniche, Senior Economist di Pictet Asset Management, sottolinea che telecomunicazioni mobili efficienti e relativamente economiche, fonti energetiche locali e sostenibili e digitalizzazione stanno offrendo agli Emergenti una spinta senza precedenti. La penetrazione della telefonia mobile ha superato di gran lunga quella fissa. In termini economici, l’età media inferiore e una solida infrastruttura tecnologica offrono un potenziale vantaggio competitivo. Uno dei tassi più elevati di penetrazione di dispositivi mobili è nel Sud-Est asiatico, dove l’economia digitale ha guidato la ripresa dalla pandemia anche grazie alla forte diffusione degli smartphone.

SERVIZI FINANZIARI DIGITALI

L’esperta di Pictet aggiunge che questa straordinaria espansione delle nuove tecnologie apre anche il mondo della finanza a chi sinora non aveva neppure un conto in banca, come persino nelle maggiori economie dell’America Latina dove tra un terzo e metà della popolazione non ne dispone. In India l’accesso ai servizi finanziari è aumentato rapidamente grazie agli sforzi del governo ma l’economia continua a dipendere fortemente dal contante, che rimarrà sempre molto utilizzato in tutte le Economie Emergenti. I servizi finanziari digitali si stanno invece affermando rapidamente grazie al fintech, diffuso grazie ai dispositivi mobili.

OLTRE IL CONTO IN BANCA

In Indonesia, circa metà della popolazione continua a non avere un conto, ma il 74% può accedere al “mobile money”. L’inclusione finanziaria digitale resta concentrata sulla spesa, ma si sta espandendo rapidamente anche ai prestiti, grazie anche ad algoritmi innovativi noti come “loan engine”. Nel nuovo mondo emergente fintech e big tech sostituiscono le banche con le piattaforme decentralizzate. Anche molti governi emergenti sono consapevoli dei vantaggi che può offrire il digital banking e spingono verso le alternative digitali, come in Messico, Indonesia e Sud Africa.

PAGAMENTI IN MOBILITÀ RADDOPPIATI

Le alternative al sistema bancario tradizionale trovano utilizzo nei mercati emergenti anche nell’ambito delle rimesse internazionali, dove la domanda è cresciuta e i costi sono crollati. Nei Paesi più poveri l’uso di cellulari per i pagamenti domestici è raddoppiato in soli tre anni. Secondo McKinsey, entro il 2025 la finanza digitale potrebbe generare 95 milioni di posti di lavoro e aggiungere 6 punti percentuali al PIL dei mercati emergenti. L’accesso al credito aiuta le piccole imprese ad aumentare produttività e competitività, e a incoraggiare l’imprenditorialità.

ANCHE DOMANDA DI HARDWARE

I mercati emergenti non sono solo fonte di domanda di servizi digitali, ma anche di hardware. Corea del Sud, Cina e Taiwan hanno un ruolo critico nei semiconduttori, la cui importanza sembra destinata a continuare. Ricerca, sviluppo e progettazione di chip sono fortemente concentrati in Malaysia, Singapore, Vietnam, Filippine e Thailandia.

COINVOLTE ANCHE LE BANCHE TRADIZIONALI

l futuro digitale dei pagamenti nei Paesi emergenti coinvolge anche gli operatori consolidati, che conoscono bene la loro clientela locale. Filiali e canali fisici rimangono importanti e, sebbene le banche stiano ridimensionando le reti di penetrazione, non stanno affatto pensando di eliminarle. Neanche in Corea del Sud, in cui i tassi di diffusione di smartphone e banda larga sono tra i più alti al mondo, Internet costituisce l’unico canale di vendita di polizze assicurative per la casa o per l’auto, o ancora per la negoziazione di titoli.

NUOVA FRONTIERA DELLE CRIPTOVALUTE

Infine uno degli sviluppi più interessanti e controversi della rivoluzione digitale che potrebbe cambiare drasticamente il panorama finanziario dei mercati emergenti è rappresentato dalle criptovalute. La loro adozione di criptovalute potrebbe ridurre i costi di transazione, renderebbe più agevole alle comunità rurali l’accesso ai farmaci, ai nuovi mercati agricoli e a un trasporto più efficiente. E con la creazione di portafogli comuni aprono anche la strada a un’amministrazione autonoma delle piccole comunità. L’esperta di Pictet nota che nelle economie emergenti le criptovalute sono già state adottate in misura significativa nei flussi internazionali, in un trend già evidente nella telefonia mobile e nella finanza digitale, che probabilmente si consoliderà negli anni a venire.

WALL STREET: prove di ripartenza

Scritto il 18 Luglio 2022 alle 15:43 da Lukas

Il quadro del CFTC di Chicago ci fa vedere mani forti ancora propositive, come se volessero mettere le basi ad una prossima ripartenza. Ma sappiamo tutti che il percorso è particolarmente complesso. [Guest  post]

Cari amici, anche nella settimana appena trascorsa, nessuna nuova circa il conflitto tra Russia ed Ucraina. La guerra prosegue, e nessuno cerca nemmeno più una soluzione. I danni politici ed economici diventano, nel frattempo, sempre più manifesti ed evidenti. L’inflazione, negli Usa, ha ormai raggiunto il 9 %. Un livello inimmaginabile solo due anni orsono. La recessione è ormai data per scontata dai più. Per la FED si porrà, ben presto, un gran dilemma da sciogliere.

Ovvero cercare di combattere l’inflazione, aumentando ancor di più i tassi, oppure preoccuparsi della recessione, e calmierare di conseguenza i suoi propositi di politica monetaria restrittiva. In Europa la situazione è ancor peggiore. L’inflazione è, anche qui, molto elevata. E potrebbe ulteriormente lievitare se ci sarà il blocco totale delle forniture energetiche ad opera della Russia. La BCE, a differenza della FED, non è sinora intervenuta, per non aggravare ulteriormente l’andamento del nostro ciclo economico, già alquanto debole e compromesso.

Ma fino a quando potrà continuare a restare inerme ? La sua inazione ha già determinato un vero e proprio crollo del valore dell’euro, che ha ormai lo stesso valore del dollaro Usa. Non dimentichiamo che noi paghiamo tutte le nostre importazioni, e soprattutto gas e petrolio, in dollari. Lasciar svalutare ancora l’euro, vuol dire importare automaticamente ulteriore inflazione. E non possiamo di certo permettercelo. Già ora le condizioni del nostro sistema capitalistico di produzione sono davvero difficili, ed impervie. E non è affatto un caso che in pochi mesi le condizioni politiche del Vecchio Continente si siano anch’esse marcatamente deteriorate.

Macron è ormai costretto a governare la Francia, senza aver più una maggioranza parlamentare. L’ineffabile premier della Gran Bretagna, Boris Johnson, dopo le baldanzose scorribande per le strade di Kiev, è stato costretto a rassegnare le proprie dimissioni, su impulso del suo stesso partito. E in ultimo, anche il nostro premier Mario Draghi, venerdì, si è visto costretto a salire al Colle, ed a rassegnare anch’esso le proprie dimissioni. Dimissioni respinte dal nostro Presidente Mattarella, che pretende un nuovo passaggio parlamentare, prima di sciogliere malauguratamente le Camere e mandarci tutti al voto.

Nel frattempo lo spread tra BTP e BUND e già risalito a quota 223 punti, e la borsa ha perso un’ulteriore 4,4 %. Insomma, non vorrei infierire, ma il quadro è davvero poco edificante, e per niente rassicurante. Siamo stati, purtroppo, dei facili profeti, quando qualche mese orsono, allo scoppio di un’assurda guerra, non immediatamente arrestata, anzi insensatamente alimentata, preconizzavamo le nefaste conseguenze che oggi vediamo. Credo che, mai come in questo caso, valga il proverbio, il detto, l’insegnamento che “ Chi è causa del suo mal pianga sé stesso “.

Dopo le sopra esposte considerazioni, d’ordine eminentemente personale, andiamo ad esaminare cosa ci indica, al momento, il sistema intermarket. Il dollar index continua, come ho già accennato, a lievitare, + 0,99 %, e raggiunge quota 108,06. I prezzi delle commodities, invece, stornano dell’1,12 in termini reali. Soprattutto a causa della forza del dollaro, nonchè dei venti di recessione che si fanno sempre più forti. E che si avvertono anche nel mercato obbligazionario.

Il rendimento del bond decennale Usa, cede infatti ben 15 bps e retrocede a quota 2,93 %. Il rendimento dei bonds a 2 anni invece lievita di 2 bps, e sale a quota 3,13 %. La yield curve Usa, appare pertanto, sempre più invertita, – 20 bps, e ciò fà ritenere ormai pressochè certa la recessione dell’economia Usa, nei prossimi mesi. Anche i mercati azionari, né sono ben consci. E lo sono, a dire il vero, ormai da tempo. Anche nell’ultima ottava, il nostro benchmark azionario mondiale, l’S&P 500, cede 0,95 % e retrocede a quota 3.863,13 punti.               .

Tanto premesso, passo ad esaminare gli ultimi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati venerdì sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:

Commercial Traders : + 55.917

Large Traders :  – 44.155

Small Traders : – 11.762

Non muta, anzi si consolida, l’assetto del Cot Report sui derivati azionari Usa. Rispetto alla scorsa ottava, le variazioni nelle posizioni dei vari operatori sono state pari a 5.707 contratti. In particolare, i Commercial Traders, ovvero le MANI FORTI di questo mercato, anche questa settimana acquistano l’intero lotto dei 5.707 contratti long, e rafforzano ancor più la loro solitaria posizione, Net Long.

I Large Traders, invece, cedono altri 5.143 contratti long, e consolidano anch’essi la loro posizione, Net Short. Gli Small Traders, infine, cedono i residui 564 contratti long, e rimpinguano ancor di più la loro anomala posizione, Net Short. Le movimentazioni di quest’ultima ottava, confermano quanto abbiamo già detto nelle scorse settimane. A cercare d’arrestare la caduta degli indici azionari ci sono al momento soltanto le MANI FORTI.

Gli altri operatori appaiono invece sempre più disorientati e pessimisti. In questa occasione però anche le MANI FORTI fanno fatica, perché ci sono elementi di questa crisi, d’ordine prettamente politici, che sfuggono ad ogni loro determinazione ed influenza. Sono però ben coscienti che, anche in questo caso, gli altri impauriti operatori, vendono, come sempre accade, il bambino assieme all’acqua sporca.

Ovvero cedono titoli che valgono molto di più degli attuali valori di mercato. Segnalo, altresì che, nonostante le peculiarità dell’attuale periodo, e le connesse difficoltà, grazie al loro intervento gli indici Usa sono già ad un + 5,12 % rispetto ai minimi segnati 5 settimane orsono. Ciò potrebbe indurre ad un maggiore ottimismo, soprattutto per i mercati Usa, non ancora per l’Europa.

In ogni caso, non credo che, in questo periodo sia molto sensato far previsioni a medio-lungo termine, meglio agire step by step, ed osservare come si evolve la situazione. Per i suesposti motivi, allento un po’ il mio livello di copertura, ma riconfermo, soprattutto per gli indici europei la mia vision negativa sulle prospettive dei mercati azionari.

Mercato, quindi, a mio avviso, ancora difficile

Mercati attendono al varco la Bce: ecco cosa attendersi su tassi e bazooka anti-spread

18/07/2022

La settimana che inizia oggi culminerà giovedì 21 luglio con il meeting BCE che andrà ad alzare i tassi di interesse per la prima volta dopo oltre un decennio. La Bce si è impegnata a un rialzo di 25 punti base, ma tra gli operatori di mercato c’è ancora chi ipotizza una mossa più aggressiva di 50 pb.  “Anche se la BCE potrebbe attenersi a quanto annunciato per questo mese, le crescenti pressioni inflazionistiche, aggravate dai crescenti rischi di scarsità di energia, favoriranno probabilmente l’approccio falco della banca centrale nel breve termine. Il Consiglio direttivo potrebbe confermare un rialzo di 50 punti base a settembre e ulteriori rialzi nel corso dell’anno”, argomenta Pietro Baffico, European Economist di Abrdn. 

Gli economisti vedono il tasso sui depositi, attualmente a -0,5%, in aumento di un quarto di punto questo mese e dello 0,5% a settembre, seguito da altri piccoli passi in ogni riunione successiva fino a marzo toccando un picco dell’1,25%.

I mercati attendono anche i dettagli dello strumento anti-frammentazione volto ad alleviare la pressione sugli spread. “Sembra probabile che il nuovo strumento sarà un mix della flessibilità offerta dal programma PEPP esistente, ma senza un tetto all’importo degli acquisti per dare credibilità allo strumento agli occhi dei mercati. In effetti, si spera che la sua mera esistenza significhi che non dovrà mai essere utilizzato”, asserisce Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM in Italia, che aggiunge: “Ma è difficile credere che le cose si riveleranno così semplici e probabilmente ci saranno richieste per avere una qualche forma di condizionalità collegata al programma. Con la politica italiana che sta affrontando un altro periodo di sconvolgimento, probabilmente crescerà la pressione per aumentare il livello di condizionalità. Tuttavia, dal punto di vista del mercato, maggiore è la condizionalità, minore sarà la credibilità dello strumento, il che rischia di creare l’ennesimo problema circolare per i decisori politici”.

“L’Europa non può permettersi una nuova crisi nella situazione attuale” – afferma Carsten Brzeski, economista di ING – . Ciò significa che la BCE dovrà sembrare ancora più determinata ad agire e significa anche una più facile condizionalità sul nuovo strumento”.

Nei prossimi giorni si riuniranno anche la Banca Centrale turca e quella del  Sud Africa, con quest’ultima attesa alzare i tassi di 50 pb, mentre quella russa (venerdì) è attesa ridurli di 50 pb. In calendario anche la riunione della Bank of Japan, unica banca centrale che non intende abbandonare la politica di tassi zero. Il tema dello yen debole potrebbe essere al centro della discussione nel meeting di giovedì.

Prosegue l’earning season e tornata di PMI di luglio

Intanto oltreoceano proseguirà la stagione degli utili con IBM, Bank of America e Goldman Sachs che riportano oggi i conti del secondo trimestre. Nei giorni successivi toccherà a Netflix,
Tesla e Twitter. Delle 35 società dell’S&P 500 che hanno riportato utili fino ad oggi, l’80,0% ha restituito utili superiori alle stime degli analisti. Ciò si confronta con una media a lungo termine del 66,1% e una media dei quattro trimestri precedenti dell’80,6%, Il tasso di crescita degli utili stimato per l’S&P 500 per il trimestre è del 5,6%, Se si esclude il settore energetico, il tasso di crescita scende al -3,4%.

In settimana sono attese anche le prime indicazioni di luglio degli indici PMI Manifatturiero e Servizi delle principali economie mondiali (venerdì). “Un particolare interesse sarà rivolto al settore manifatturiero tedesco atteso dal consenso di Bloomberg poco sopra 50, ma che non stupirebbe una discesa al di sotto considerata il peso della situazione energetica”, rimarca MPS Capital Services.

Questione gas tiene in ansia l’Europa

Mercoledì 20 luglio focus su Mario Draghi che interverrà in Parlamento. Gli scenari più probabili sono nuovo governo o elezioni anticipate. Sempre mercoledì è atteso il piano energetico promosso dalla Commissione Europea per difendere l’UE dallo stop delle forniture del gas russo.

Sempre sul fronte energetico, tutta l’attenzione questa settimana è sul fronte gas. La manutenzione annuale del gasdotto Nord Stream 1 terminerà il 21 luglio e c’è forte preoccupazione che i flussi di gas non riprendano una volta completata la manutenzione. Già prima dell’inizio della manutenzione annuale, i flussi di gas russo lungo il gasdotto erano di circa il 60% inferiori ai livelli normali. Gazprom ha attribuito questa caduta a un ritardo nella manutenzione delle turbine. Un periodo prolungato di riduzione dei flussi lungo il gasdotto significherebbe che l’Europa dovrà potenzialmente attingere alle scorte durante l’estate, il che lascerebbe la regione molto più vulnerabile in vista dell’inverno. Attualmente, lo stoccaggio di gas in Europa è pieno di poco meno del 63%, poco sotto la media quinquennale di circa il 65%, anche se sopra dei livelli visti in questa fase lo scorso anno a circa il 52%.

L’asset allocation per affrontare uno scenario cupo: è ora di cominciare a comprare?

Peter Kraus di Aperture Investors, parte dell’ecosistema Generali Investments, analizza la possibile evoluzione dello scenario macro e consiglia di iniziare ad accumulare posizioni sia in ambito azionario che in quello del credito

 di Leo Campagna  17 Luglio 2022 09:30
financialounge -  Aperture Investors Generali Investments Morning News Peter Kraus

La Federal Reserve statunitense continua ad essere all’avanguardia nella sua lotta all’inflazione, che ha chiarito essere la priorità numero uno, anche se il successo porta alla recessione. In parallelo, mentre la guerra in Ucraina – che potrebbe proseguire fino alla fine dell’anno – continuerà a spingere i costi dell’energia e dei prodotti alimentari, i tentativi di economizzare i vincoli della catena di approvvigionamento energetico, faranno rallentare la produzione apportando carenze.

NON ABBIAMO ANCORA VISTO IL MINIMO DEI MERCATI AZIONARI

“È difficile che la recessione non si materializzi, se non ci siamo già”, commenta Peter Kraus, CEO di Aperture Investors, parte dell’ecosistema Generali Investments, secondo il quale appare piuttosto ottimistica l’attuale proiezione dell’inflazione del 2,5% della Fed per il 2023. Nell’azionario, secondo il manager, a mano a mano che gli utili saranno rivisti al ribasso e diventerà evidente che la Fed deve continuare ad aumentare i tassi più a lungo del previsto, si profileranno ulteriori ribassi. “Non abbiamo ancora visto il minimo nei mercati azionari statunitensi o in altri paesi, forse con l’eccezione della Cina. All’interno dell’Europa, la Germania sembra affrontare la sfida più grande, seguita da Italia e Francia. Il Regno Unito, sebbene debole, sarà meno colpito da queste condizioni”, puntualizza Kraus.

L’AGENTE DEFLAZIONISTICO DEI TASSI DI INTERESSE

Il manager non vede all’orizzonte un agente deflazionistico diverso dai tassi di interesse capace di rallentare la crescita e, a sua volta, ridurre la domanda, provocando una reazione sui prezzi. Inoltre esprime più di un dubbio sulla visione della Fed di un “atterraggio morbido” dell’economia USA. “I consumatori dovrebbero continuare a spendere anche se le prospettive di lavoro sono incerte e, oltretutto, con livelli di prezzo che sembrano insostenibili”, argomenta il CEO di Aperture Investors.

L’ASSET ALLOCATION IN UNO SCENARIO COSI’ CUPO

In questo scenario così cupo all’orizzonte, Kraus consiglia agli investitori di iniziare a pianificare l’allocazione della liquidità nel comparto azionario. “Penso che i mercati abbiano compiuto oltre due terzi della loro strada verso il punto minimo. Dal momento che è praticamente impossibile prevedere tale fondo in modo coerente, iniziare ad allocare durante la fase di discesa è un approccio sensato”, riferisce il manager che suggerisce la stessa raccomandazione anche nel credito. Il motivo? Al momento sembra ragionevole sfruttare la bassa liquidità e gli spread allargati nei prossimi mesi.

OPPORTUNITÀ NEL CREDITO PRIVATO E NEL PRIVATE EQUITY

Kraus ritiene inoltre che alcune opportunità molto interessanti possano essere catturate nel credito privato e nel private equity. “Nel credito, più che le situazioni di fallimento il focus va orientato sui casi di rifinanziamento. I tassi sono ora significativamente più elevati durante un periodo di debolezza economica e, se i mutuatari non riescono a convincere i prestatori esistenti a prolungare il rifinanziamento, ci saranno sicuramente opportunità interessanti sul mercato. Con un’avvertenza: gli investitori dovranno prestare attenzione a sottoscrivere le società in queste condizioni, con una due diligence approfondita che non faccia affidamento sui rating”, spiega il CEO di Aperture Investors.

PERIODO DI MASSIMO STRESS NEL PRIVATE EQUITY

Nel private equity, invece, secondo il manager le società in crescita che sono state sopravvalutate in modo aggressivo potrebbero andare incontro a un periodo di massimo stress. “Le aziende con liquidità sufficiente per i prossimi due anni, probabilmente non ne risentiranno mentre per le altre, le esigenze di finanziamento per le operazioni in corso determineranno l’emissione di azioni distressed”, conclude Kraus.

Credit Suisse: la crisi politica aumenta i timori per la sostenibilità del debito italiano

Secondo gli esperti della casa d’investimento il rendimento del decennale, per garantire la sostenibilità del debito, deve essere al di sotto del 3%. Speranze dallo scudo anti frammentazione della Bce

 di Antonio Cardarelli  15 Luglio 2022 07:55
financialounge -  Credit Suisse crisi di governo Mario Draghi Morning News spread

La crisi politica ha riportato al centro dell’attenzione la sostenibilità del debito pubblico italiano. Secondo le ultime rilevazioni, il debito italiano ammonta a 2.758 miliardi di euro. Una cifra importante, che diventa ancora più pesante in un contesto di politica monetaria restrittiva e crescita economica modesta. Dall’apertura della possibile crisi di governo in seguito al voto di fiducia sul decreto Aiuti, lo spread tra Btp e Bund è salito a 222 punti con il decennale italiano che rende circa il 3,4%.

SERVONO RENDIMENTI SOTTO IL 3%

Secondo gli esperti di Credit Suisse Asset Management, i rendimenti attuali sono troppo alti dal punto di vista della sostenibilità del debito: “Per mantenere stabile il rapporto debito pubblico/PIL italiano stimiamo che sia necessario mantenere il costo medio di finanziamento al di sotto della soglia del 3%“. Dopo un costo medio dell’indebitamento del governo italiano sceso al 2,4% nel 2021, secondo Credit Suisse AM salirà al 2,9% nel 2022.

DEBITO ITALIANO MOLTO MOBILE

“La buona notizia invece è che generalmente il costo del debito italiano si nuove molto gradualmente al mutare delle condizioni mercato: solo una parte del portafoglio matura e viene reinvestito ogni anno e circa il 77% dei titoli sovrani italiani in circolazione ha un tasso fisso“. commentano Credit Suisse Asset Management. Inoltre, il calo dei rendimenti negli ultimi anni ha consentito all’Italia di estendere la scadenza media ponderata delle sue passività che ora è vicina ai 7 anni e questo riduce ulteriormente la sensibilità alle fluttuazioni a breve termine dei tassi.

NUOVO STRUMENTO DELLA BCE

In un contesto del genere, l’attesa è per il nuovo “strumento anti frammentazione” annunciato dalla Bce. Un nuovo strumento che, per essere credibile, secondo Credit Suisse AM dovrebbe avere quattro caratteristiche ben precise. E che per l’Italia diventa ora più che mai cruciale. Secondo gli esperti di Credit Suisse AM, il nuovo strumento deve essere in primo luogo “illimitato o sufficientemente grande” per avere credibilità. La seconda caratteristica riguarda l’equilibrio: avere un livello equilibrato di condizionalità e seguire un prestabilito insieme di regole, come ad esempio l’essere subordinato “a parametri che garantiscano nel tempo un risanamento fiscale”.

FONDAMENTALE LA CREDIBILITÀ

In terzo luogo, secondo gli esperti di Credit Suisse AM, lo strumento deve contenere un meccanismo per affrontare il potenziale lato inflazionistico: la BCE potrebbe “sterilizzare” l’acquisto di obbligazioni periferiche, ovvero togliere la stessa quantità di denaro dalla circolazione. Infine, il nuovo strumento deve essere “permanente e tempestivo” per fornire fiducia al mercato a più lungo termine. “Questo meccanismo avrebbe dei risvolti politici positivi con una crescente fiducia nelle istituzioni europee in vista delle elezioni generali della primavera del 2023”, concludono gli esperti di Credit Suisse.

Wall Street: futures in rialzo, speranza su picco inflazione Usa e su Fed meno hawkish. Attenzione all’altro spread che fa paura

13/07/2022

A Wall Street i futures sono in lieve rialzo in attesa del market mover cruciale atteso da settimane, che condizionerà le prossime mosse della Fed e l’economia degli Stati Uniti: è il dato sull’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo, relativa al mese di giugno. Ieri chiusura negativa per Wall Street: il Dow Jones Industrial Average è sceso di 192,51 punti o dello 0,62% a 30.981,33, mentre lo S&P 500 ha ceduto lo 0,92% a quota 3.818,80. Il Nasdaq Composite ha perso lo 0,95% a 11.264,73.

Alle 13.19 ora italiana, i futures sul Dow Jones salgono dello 0,16%; quelli sullo S&P 500 avanzano dello 0,22%, mentre quelli sul Nasdaq mettono a segno un rialzo dello 0,34%. Il rialzo si spiega con la speranza che l’inflazione Usa misurata dal CPI abbia toccato il picco nel mese di giugno.

Il consensus degli analisti prevede una ulteriore accelerazione dell’inflazione, ovvero una crescita dell’indice CPI dell’8,8% su base annua, dopo il +8,6% di maggio.

Il dato è cruciale nel determinare le aspettative sulle prossime mosse del Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed, che si riunità il prossimo 27 luglio. Aspettative che per ora sono di una stretta monetaria della Fed di Jerome Powell di 75 punti base, così come nell’ultima riunione del 15 giugno scorso, quando i tassi Usa sono stati portati al nuovo range compreso tra l’1,50% e l’1,75%.

D’altronde la pubblicazione, venerdì scorso, del report sull’occupazione Usa di giugno, ha messo in evidenza una crescita di 372.000 nuovi posti di lavoro, a fronte di un tasso di disoccupazione che è rimasto invariato al 3,6%. La crescita dell’occupazione è stata decisamente più forte di quanto atteso dagli analisti: sia gli economisti di Goldman Sachs che il consensus avevano previsto un aumento di nuovi posti di lavoro di 250.000 unità, inferiore all’aumento delle payrolls di 390.000 del mese di maggio.

Una eventuale nuova fiammata dell’inflazione che verrà probabilmente confermata nella giornata di oggi con il dato CPI, insieme alla solidità del mercato del lavoro, potrebbe avallare le attese di una nuova stretta monetaria, da parte della Fed di Jerome Powell, di 75 punti base.

La crescita dell’inflazione continua ad angustiare tutto il mondo, e diverse banche centrali. Oggi sono stati annunciate due strette monetarie, entrambe di 50 punti base, dalla banca centrale della Corea del Sud e dall’RBNZ, la banca centrale della Nuova Zelanda.

La banca centrale della Corea del Sud ha annunciato di aver alzato i tassi principali di riferimento di 50 punti base, dall’1,75% al 2,25%. La stretta monetaria, in linea con le attese, è stata varata per combattere l’aumento dell’inflazione, così come sta avvenendo nel caso di diverse altre banche centrali del mondo. Nel mese di giugno, l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo (CPI) è salita in Corea del Sud del 6% su base annua, al ritmo più forte dal novembre del 1998, dai tempi dunque della crisi finanziaria che colpì l’Asia.

banca centrale della Nuova Zelanda, ha annunciato di aver alzato i tassi principali di riferimento di 50 punti base, dal 2% al 2,5%, in linea con le attese degli analisti.

Dal comunicato diffuso contestualmente al rialzo dei tassi è emerso che “la Commissione ritiene appropriato continuare a rendere più restrittive le condizioni monetarie, e dunque ad alzare il tasso di riferimento OCR fino al livello in corrispondenza del quale può essere sicura di riportare l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo al livello target.

In Nuova Zelanda, il CPI viaggia al 6,9%, tasso record degli ultimi 32 anni.

Sul mercato dei Treasuries Usa, Si allarga sempre di più lo spread, già negativo da un bel po’ di sessioni, tra i tassi dei Treasuries a 10 anni e i tassi dei Treasuries a due anni, a conferma del fenomeno dell’inversione della curva dei rendimenti Usa.

Per Tom Essaye di The Sevens Report l’allargamento del differenziale “è un chiaro avvertimento di recessione”, soprattutto, a suo avviso, se lo spread raggiungerà i 15 punti base.

I tassi sui Treasuries a due anni rimangono invariati, al momento sopra la soglia del 3%, al 3,037%, mentre i decennali viaggiano attorno al 2,95%, in lieve flessione.

Per Essaye, interpellato dalla Cnbc, se lo spread dei tassi Usa a 10-2 anni dovesse rimanere negativo per segnare anche nuove accelerazioni al ribasso, allora “si tratterebbe di un segnale chiaro di recessione dalla curva dei rendimenti nel tratto 2-10 anni, fattore che ci renderà più cauti nell’allocazione sull’azionario”.

TwentyFour AM vede possibili buone notizie sull’inflazione per gli investitori

Felipe Villaroel, Portfolio Manager di TwentyFour Asset Management, segnala il rientro dei prezzi delle materie prime e delle attese di inflazione. Fondo non ancora toccato dai mercati, ma la Fed ha più margini

 di Virgilio Chelli  13 Luglio 2022 07:55
financialounge -  Felipe Villaroel inflazione Morning News TwentyFour Asset Management Vontobel Asset Management

I mercati hanno disperato bisogno di notizie positive, visti i pessimi rendimenti della maggior parte delle asset class quest’anno. L’alta incertezza permane, e non si può dire di aver visto notizie in grado di risollevare le sorti, ma si sta iniziando a trovare conforto in un paio di trend relativi all’inflazione e alle aspettative di inflazione. Lo sostiene Felipe Villaroel, Portfolio Manager di TwentyFour Asset Management (Vontobel AM), secondo cui si dovranno comunque vedere prove evidenti dell’inversione del trend dell’inflazione prima che gli investitori si sentano sufficientemente confortati da cambiare i deflussi dai fondi e contribuire a modificare gli orribili rendimenti registrati nel primo semestre del 2022.

DOPPIO SHOCK DA DOMANDA E OFFERTA

Alla recente conferenza della BCE a Sintra è emerso che lo shock inflazionistico globale è determinato sia dalla domanda che dall’offerta. Nel primo caso per i persistenti problemi della catena di approvvigionamento, nel secondo per le enormi riserve di liquidità nei conti bancari dei consumatori che ha portato i tassi di risparmio a livelli record. Ma se uno shock dell’offerta si dimostra sufficientemente persistente, è possibile che le aspettative di inflazione aumentino. E sarebbe pericoloso, perché i salari potrebbero adeguarsi perpetuando così lo shock inflazionistico.

SEGNI POSITIVI DALLE MATERIE PRIME

Tuttavia secondo Villaroel ci sono appunto due notizie positive. La prima riguarda i prezzi delle materie prime. È difficile che le aspettative di inflazione si correggano se prima non lo fanno i prezzi delle materie prime e, nell’ultimo mese, abbiamo iniziato a vedere proprio questo. La maggior parte delle materie prime ha registrato cali piuttosto consistenti, con il petrolio sceso di quasi il 10% in un solo giorno e del 17% nell’ultimo mese. Anche altri hanno seguito l’esempio, con l’alluminio in calo del 12,25%, il rame e il nichel del 20% circa e soprattutto il grano del 27,5%.

IL RALLENTAMENTO ‘GESTITO’ DALLA FED

Tutte buone notizie dal punto di vista dei mercati e anche umanitario. Ad avviso dell’esperto di TwentyFour AM queste notizie riflettono il fatto che la domanda aggregata probabilmente rallenterà. Sarebbe il segno che il “rallentamento gestito” che la Fed sta tentando sta mostrando segni di funzionamento. Prima la Fed raggiunge il suo obiettivo, prima può mettere in pausa la restrizione monetaria. La seconda notizia positiva segnalata da Villaroel proviene riguarda la cosiddetta ‘inflazione breakeven. Fed e altre banche centrali non possono nemmeno pensare di mettersi in pausa se le aspettative di inflazione rischiano di essere disancorate.

INFLAZIONE BREAKEVEN SCESA DAL PICCO

Il breakeven dell’inflazione a un anno negli USA è sceso dal picco del 6,30% all’attuale 3,75%, e a cinque anni è sceso dal 3,75% al 2,50%. L’esperto di TwentyFour AM avverte che non sta suggerendo che la Fed stia per fermarsi proprio ora, ma la condizione necessaria per farlo quando l’inflazione inizierà a diminuire seriamente è soddisfatta. La correzione delle aspettative di inflazione è in parte dovuta proprio ai prezzi delle materie prime.

MOVIMENTO NELLA GIUSTA DIREZIONE

Villaroel sottolinea che non sta dicendo che il mercato ha toccato il fondo, ma sarebbe sciocco ignorare che il principale motore dell’aggressivo inasprimento delle banche centrali potrebbe mostrare alcuni primi segnali di movimento nella giusta direzione. Per gli investitori e per la Fed, la speranza è che questo delicato gioco di equilibri, vale a dire rallentare la domanda aggregata per far scendere la crescita e i prezzi delle materie prime senza causare una grave recessione, possa continuare. Il tempo lo dirà, conclude l’esperto di TwentyFour AM, ma ritiene che sia una possibilità da non escludere del tutt

Pictet: con rischio recessione più T-Bond per diversificare

Pictet AM, nell’Outlook mensile firmato dall’Head of Euro Multi Asset Andrea Delitala, spiega che il reddito fisso può tornare a un ruolo di diversificazione rispetto al rischio azionario. Speranza di recessione leggera

 di Virgilio Chelli  12 Luglio 2022 08:00
financialounge -  Andrea Delitala obbligazioni Pictet T-bond

Le banche centrali, sulla scia della Fed, hanno abbracciato la causa della lotta all’inflazione in un contesto di continui shock stagflazionistici e negativi per la crescita, ma forieri di pressioni inflazionistiche. Tra questi ancora il Covid, la guerra in Ucraina con effetti soprattutto in Europa, dove se le sanzioni arriveranno ad azzerare le forniture di gas russo avremo sicuramente recessione con inflazione persistente. Il tutto sta preoccupando i mercati, mentre la determinazione delle banche centrali si è fatta sempre più stentorea nonostante la natura prevalentemente esogena dell’inflazione.

MENO PRESSIONI INFLAZIONISTICHE

Lo sottolinea l’Outlook mensile di Pictet Asset Management, a cura di Andrea Delitala, Head of Euro Multi Asset, che rileva tuttavia qualche accenno di attenuazione della pressione sui prezzi che si evince dal complesso delle materie prime, noli e materie alimentari e dalle prime lievi sorprese positive sul fronte dei dati di inflazione al consumo in America. Secondo Delitala però la vera novità delle ultime settimane sono le preoccupazioni sulla tenuta della crescita. Il rischio recessione tra fine anno e il 2023, secondo alcune stime, sfiora ormai o supera il 50%. Ad esempio, la Fed di Atlanta, per il secondo trimestre stima una crescita negativa.

TASSI USA VERSO LA NEUTRALITÀ

Questo quadro è un risultato coerente con la posizione del presidente della Fed Powell che a giugno ha portato le previsioni sul tasso dei Fed fund poco al 3,75% per dicembre 2023, sciogliendo ogni riserva sulla disponibilità a sacrificare la crescita pur di riportare l’inflazione vicino al target del 2%. Non potendo la Fed fare molto per alleviare le pressioni sull’offerta, si rassegna a contenere la domanda. Il mercato sconta che entro i prossimi tre trimestri i tassi raggiungano il livello di neutralità, circa lo 0-0,5% reale o il 3% nominale in America. Delitala ricorda che storicamente quando la Fed si spinge oltre quasi sempre l’economia finisce in recessione.

RAGIONEVOLE SPERANZA DI RECESSIONE LEGGERA

La ragionevole speranza, prosegue l’analisi dell’esperto di Pictet AM, è che se recessione deve essere che sia almeno leggera, cosa plausibile perché le finanze familiari e delle società sono in ottime condizioni, per cui non ci sarebbe bisogno delle ‘convalescenze’ tipiche delle recessioni degli ultimi 50 anni, in cui bisognava smaltire la leva finanziaria. Il cambio di passo delle banche centrali ha impattato tutte le asset class nella prima metà del 2022. Il prezzo dei T-bond è crollato spingendo i rendimenti verso l’alto, con un effetto anche sui rendimenti attesi delle azioni, imponendo una perdita importante.

L’EUROPA PAGA IL PREMIO GUERRA

Delitala osserva che il premio di rischio delle azioni verso le obbligazioni rimane inalterato in America e circa un punto percentuale più elevato in Europa, dove si è aggiunto il premio per la guerra in Ucraina. Ora che i rendimenti americani hanno raggiunto la zona di neutralità, questa funge da tetto almeno ai rendimenti di medio e lungo termine, dato che una banca centrale ancora più aggressiva imporrebbe dei tagli maggiori in futuro a causa di una recessione.

AZIONI ORA APPESE AGLI UTILI

Con premi di rischio azionario invariati, secondo l’esperto di Pictet AM, le azioni non sono veramente care da un punto di vista oggettivo, a meno che gli utili previsti non siano deludenti, cosa che in effetti è ancora del tutto possibile se i rischi recessivi aumenteranno. Le stime degli utili sono ancora in crescita di circa il 10% sia per quest’anno che per il prossimo, ma molto è dovuto al settore energia e materiali, ovviamente, sono gli scudi quest’anno, mentre per tutti gli altri settori le previsioni sono già molto più contenute.

OBBLIGAZIONI DI NUOVO FATTORE DI DIVERSIFICAZIONE

Ma in caso di crescita negativa, osserva in conclusione Delitala, i rendimenti obbligazionari dovrebbero rivedere le prospettive di medio periodo, prevedendo dei tagli di tassi sempre più profondi man mano che la recessione appare inevitabile o più profonda. Questo riassegna un ruolo di diversificazione rispetto agli attivi rischiosi alla parte lunga delle obbligazioni americane di buona qualità, ovvero i titoli di Stato come i T-Note o il T-Bond a 30 anni, che per la prima volta troviamo anche nei portafogli delle principali strategie muti-asset di Pictet AM.

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WALL STREET: recessione prevista meno invasiva?

Scritto il 11 Luglio 2022 alle 15:53 da Lukas

Il quadro del CFTC di Chicago ci fa vedere mani forti sempre propositive, come se chi è ben informato, si aspettasse una recessione meno forte di quanto si pensa. Forse perchè il ruolo delle banche centrali nella gestione di questo momento può diventare determinante. [Guest  post]

Cari amici, anche nella settimana appena trascorsa, nessuna novità sul conflitto tra Russia ed Ucraina. La guerra continua, ed anziché ricercare una qualche soluzione, sembra ormai prevalere un senso di colpevole assuefazione. D’altronde non ci si può meravigliare. Agli Usa la guerra non crea particolari impatti economici. Per Loro è solo una questione di natura geo-politica, ovvero di contenimento del risorgente imperialismo Russo.

A tal scopo il conflitto è utile, e deve quindi necessariamente continuare. In questo momento, in America, preoccupa molto di più la gestione della politica monetaria, ossia la necessità di dover ritirare dal mercato gran parte della moneta creata durante la fase acuta della pandemia. Il compito è istituzionalmente affidato alla FED che, come ben sapete, ha già iniziato ad agire in maniera alquanto decisa ed aggressiva. Ed è questa politica monetaria restrittiva, che dovrà necessariamente proseguire, che fa temere una possibile recessione dell’economia Usa, e non la guerra.

Ben diversa, purtroppo, la situazione nel nostro Continente. Qui scontiamo il fortissimo rincaro dei prezzi di gas e petrolio, e di tutte le commodities in genere, causato dalla guerra. Addirittura v’è il timore di un blocco definitivo delle nostre forniture ad opera della Russia. L’inflazione ha  raggiunto livelli molto elevati, come non vedevamo ormai da alcuni decenni. La BCE, finora, s’è astenuta dall’intervenire, ma già sappiamo che a breve sarà costretta anch’essa ad agire. D’altronde il differenziale tra  tassi USA ed Europei non è più tollerabile, pena l’ulteriore caduta dell’Euro, che ha già raggiunto livelli davvero inimmaginabili ed infimi.

Restrizione monetaria, necessitata, che aggraverà inevitabilmente la già precaria situazione economica del Continente, e dell’Italia in particolare. Molto probabile, pertanto, una recessione anche in Europa, ma diversa e ben più grave di quella che potrebbe verificarsi negli Usa. I mercati azionari, com’è ben noto, hanno già scontato tutto ciò, stornando perspicacemente in maniera davvero ingente e significativa. Molti credono che si sia, addirittura, già raggiunto il bottom, ossia il fondo della discesa dei valori azionari. Sono, evidentemente, degli ottimisti.

Personalmente non sono proprio dello stesso avviso. Innanzitutto perché la recessione annunciata, non è ancora davvero iniziata. Eppoi, se è vero che i prezzi dell’azionario hanno già corretto di circa il 20 % i propri valori, ciò che ancora non si vede, soprattutto in Europa, sono le modalità e le condizioni di una possibile ripresa economica, post recessione.

Non credo infatti che, se prosegue la guerra, la recessione faccia davvero stornare i prezzi delle commodities. Ad esser buoni, i valori azionari potrebbero aver sì raggiunto il bottom, ma la loro ripresa e risalita, assieme a quella dell’economia, è ancora tutta da scrivere.

Dopo le sopra esposte considerazioni, d’ordine prettamente personale, andiamo ad esaminare cosa ci indica, al momento, il sistema intermarket. Il dollar index continua, per le ragioni sopra accennate, imperterrito a lievitare, + 1,78 %, e raggiunge quota 107. I prezzi delle commodities, invece, quantunque se ne dica, non crollano, anzi rimbalzano dello 0,74 % in termini reali. E sarà dura, credo, far rientrare l’attuale livello e tasso d’inflazione.

Coerenti, con tale considerazione, i movimenti del mercato obbligazionario. Il rendimento del bond decennale Usa, lievita infatti di 19 bps e risale a quota 3,08 %. Il rendimento dei bonds a 2 anni invece lievita anch’esso di ben 27 bps, e risale a quota 3,11 %. La yield curve Usa, appare pertanto, per la seconda volta in tre mesi, nuovamente invertita, e ciò fà ritenere che una recessione dell’economia Usa, nonchè dell’intero occidente, sia davvero molto probabile e prossima.

I mercati azionari, sia Usa che europei, invece, come già accennato, rimbalzano. In particolare, il nostro benchmark azionario mondiale, l’S&P 500, lievita dell’1,94 % e ritorna a quota 3.899,38 punti. Il podromo di una possibile ripartenza ? Attendiamo conferme.              .

Tanto premesso, passo ad esaminare gli ultimi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati venerdì sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:

Commercial Traders : + 50.210

Large Traders :  – 39.012

Small Traders : – 11.198

Non cambia, ed anzi si consolida, l’assetto del Cot Report sui derivati azionari Usa. Rispetto alla scorsa ottava, le variazioni nelle posizioni dei vari operatori sono state pari a 8.646 contratti. In particolare, i Commercial Traders, ovvero le MANI FORTI di questo mercato, anche questa settimana acquistano l’intero lotto degli 8.646 contratti long, e rafforzano la loro solitaria posizione, Net Long.

I Large Traders, invece, cedono altri 5.836 contratti long, e consolidano anch’essi la loro posizione, Net Short. Gli Small Traders, infine, cedono i residui 2.810 contratti long, e rimpinguano ancor di più la loro anomala posizione, Net Short. Le movimentazioni di quest’ultima ottava, danno il senso di ciò che stà realmente avvenendo sui mercati primari. Il rimbalzo delle ultime ottave, è ascrivibile direttamente al forte attivismo delle MANI FORTI.

In sole 3 settimane hanno acquistato più di cinquantamila contratti long, dando un forte contributo alla ripresa dei mercati. Non credo abbiano buone notizie sulla guerra. Più probabilmente hanno notizie meno gravi circa l’ormai probabile recessione Usa. La si ritiene forse solo una recessione necessitata, e tecnica, e pertanto meno prolungata e meno invasiva di quanto oggi si pensa e si creda.

Ciò a mio avviso, potrebbe esser vero per gli Usa, ma non per l’Europa. Possibile pertanto dover assistere ad una divaricazione degli andamenti dei mercati azionari Usa rispetto a quelli Europei. Sinora ciò non è accaduto. Ma v’è da dire che la BCE, a differenza della FED, non si è ancora mossa. Ma il tempo ormai stringe. Per questo motivo, ritengo oggi del tutto prematuro parlare di bottom per l’azionario, e riconfermo la mia vision negativa sulle prospettive dei mercati azionari, in primis per quelli europei .

Mercato, quindi, a mio avviso, ancora molto difficile

L’alba di un’era ad alta volatilità stile anni ’70: BlackRock sconsiglia il ‘buy the dip’ sottopensando Wall Street e Borse UE

11/07/2022 BlackRock prevede per l’azionario il perdurare delle difficoltà finchè le banche centrali inaspriranno la politica monetaria per contrastare l’inflazione. Il colosso dell’asset management ha così tagliato l’esposizione alle azioni dei mercati sviluppati (Stati Uniti, Europa e UK) a underperform a causa del peggioramento delle prospettive economiche. “Stiamo sfidando un nuovo mondo di maggiore volatilità macro e premi di rischio più elevati sia per le obbligazioni che per le azioni”, scrivono gli strategist di BlackRock Investment Institute nel report di metà anno.

Così come già affermato nelle scorse settimane, non è il caso di azionare il ‘buy the dip’, ossia comprare la debolezza. “Potremmo tornare alla volatilità vista nel 1970 – afferma Blackrock – e questo regime non è necessariamente propedeutico per il buy the dip. La politica non interverrà rapidamente per arginare il forte calo dei prezzi degli asset”.

BlackRock, che ha invece una posizione neutral nei titoli giapponesi, cinesi e dei mercati emergenti, rimarca che non bisogna più aspettarsi che le azioni e il reddito fisso corrano in tandem, come è avvenuto negli ultimi 20 anni, hanno affermato gli strateghi di BlackRock. “L’opzione Goldlocks è ora fuori discussione”, ha affermato Wei Li, global chief investment strategist di BlackRock Investment Institute.

Va però rimarcato come i flussi dei fondi suggeriscano che gli investitori sono rimasti rialzisti quest’anno nonostante un mercato ribassista dell’S&P 500 (-20% nella prima metà del 2022) e la peggiore prima metà dell’anno per le obbligazioni statunitensi nella storia moderna.

Nonostante l’impennata dei rendimenti, BlackRock rimane ribassista sui titoli di Stato sia su base strategica che tattica e sottopesa il debito pubblico a lunga scadenza, compresi i Treasury statunitensi. Questo perchè l’elevata inflazione e gli alti livelli di debito – che il Fondo monetario internazionale stima al 256% del prodotto interno lordo globale – significano che gli investitori chiederanno una maggiore compensazione per detenere questo tipo di attività.

Borse Ue in negativo, oggi chiude per dieci giorni il gasdotto russo Nord Stream 1

Avvio in rosso per i listini del Vecchio Continente, con gli investitori che attendono il dato dell’inflazione Usa e temono una stretta monetaria più veloce del previsto. In calo il prezzo del petrolio

 di Fabrizio Arnhold  11 Luglio 2022 09:19
financialounge -  borse gasdotto mercati Nord Stream 1

Le Borse europee iniziano al settimana in calo, con gli investitori che attendono i numeri dell’inflazione Usa. A Milano il Ftse Mib apre a -1,46%, il Dax di Francoforte a -1,73%, il Cac 40 di Parigi a -1,97%, l’Ibex 35 di Madrid a -1,48% e il Ftse 100 di Londra a -1,28%. La Borsa di Tokyo chiude in rialzo, con l’indice Nikkei a +1,11%, trainato dal dato sulle elezioni in Senato che conferma stabilità ai mercati.

OCCHI SU INFLAZIONE USA

Gli investitori attendono il dato sui prezzi al consumo di giugno, con il rischio di un aumento dei timori per una strategia più aggressiva del previsto da parte della Fed. Sul fronte corporate, l’attenzione è sui numeri delle trimestrali bancarie, con Jp Morgan che comunicherà i numeri giovedì 14 luglio.

CHIUDE IL GASDOTTO NORD STREAM 1

Altro fattore di rischio sui mercati resta la crisi energetica. Nord Stream 1, il gasdotto che collega la città russa di Vyborg alla tedesca Greifswald garantendo 15% delle forniture del Vecchio continente, verrà chiuso per dieci giorni. Secondo Mosca le turbine hanno bisogno di una riparazione complicata dal fatto che mancano i componenti, a causa delle sanzioni imposte alla Russia dall’Ue, dopo l’invasione dell’Ucraina.

PETROLIO IN CALO

Il prezzo del greggio è in discesa, dopo i ribassi della scorsa settimana: i future del Wti agosto perdono l’1,38% a 103,34 dollari al barile, quelli del Brent settembre cedono l’1% a 105,34 dollari al barile. Sul versante valutario, l’euro recupera terreno e torna sopra la parità a 1,01 dollari, restando comunque sui minimi da dicembre 2022. Lo spread torna sotto i 200 punti base.

AllianceBernstein alza le stime di inflazione globale e abbassa quelle di crescita

Nell’Outlook firmato da Eric Winograd e Adriaan du Toit la grande casa prevede che alla fine comunque l’inflazione perderà slancio, consentendo alle banche centrali di concentrarsi di più sulla crescita economica

 di Virgilio Chelli  10 Luglio 2022 09:30

Le prospettive economiche globali sono peggiorate repentinamente. Secondo le previsioni di AllianceBernstein nel 2023 la crescita sarà nettamente inferiore al potenziale, ma non tutte le flessioni sono catastrofiche, e appena le banche centrali avranno distolto in parte l’attenzione dall’inflazione potranno favorire una rapida ripresa. L’inflazione non sembra in procinto di diminuire nell’immediato e le autorità monetarie continuano una stretta aggressiva che farà rallentare la crescita. La recessione è in forse, ma i prossimi trimestri saranno duri e sui mercati cresce il timore che presto o tardi arrivi.

LA LOTTA DIVENTA GLOBALE

Nel suo Outlook economico titolato “La lotta all’inflazione diventa globale” firmato da Eric Winograd, Director of Developed Market Research, e Adriaan du Toit, Director of Emerging Market Economic Research and Senior Economist—Africa, AllianceBernstein ha rivisto al rialzo le previsioni d’inflazione e al ribasso quelle sulla crescita e nel 2023 si aspetta un PIL ampiamente inferiore al potenziale in quasi tutte le principali economie. Inoltre non si aspetta una tregua sui mercati finché l’inflazione non si attenuerà in misura sufficiente a indurre le banche centrali a rallentare il ritmo dei rialzi.

COMPITO DIFFICILE PER LE BANCHE CENTRALI

Molti fattori alla base del rialzo dei prezzi esulano dal controllo delle banche centrali, come le continue interruzioni delle catene di fornitura e le materie prime, con la guerra in Ucraina che ha gettato benzina sul fuoco. Nessuno di questi problemi si risolve con la politica monetaria che può solo alzare i tassi e ridimensionare i bilanci per riportare la domanda verso l’attuale livello di offerta. Un compito non facile: una stretta insufficiente o troppo lenta potrebbe far salire le aspettative di inflazione, ma una stretta eccessiva provocherebbe una recessione e possibilmente una rapida deflazione.

PROSPETTIVA STORICA

Gli esperti di AllianceBernstein sono scettici sulla capacità delle autorità monetarie di orchestrare un ciclo di inasprimento più energico, con i rialzi concentrati nelle fasi iniziali, tale da minimizzare il rischio di ribasso e prevedono che restino aggressive. Nel breve periodo si asterranno probabilmente dal sostenere i mercati finanziari, il che dovrebbe comportare ulteriore volatilità. In una prospettiva storica, non tutte le flessioni economiche sono catastrofiche come quelle della pandemia e della crisi finanziaria globale. I rallentamenti di solito sono meno pronunciati, e il punto di partenza di quello attuale è relativamente robusto.

L’INFLAZIONE NON È OVUNQUE

Le famiglie godono di finanze solide con risparmi in aumento, il mercato del lavoro è in fermento e il reddito rimane elevato, il che dovrebbe consentire alla domanda di rallentare senza crollare almeno nei prossimi trimestri. Inoltre il settore privato non sembra aver accumulato un eccesso di leva finanziaria. Una ripresa della Cina sarebbe importante per riportare l’economia globale verso la normalità e AllianceBernstein continua a prevedere un’espansione superiore al consensus.

RISCHI SOCIALI E FISCALI

L’alta inflazione comporta rischi sociali per le economie emergenti e potrebbe causare un deterioramento dei loro debiti pubblici, un problema già visibile in diversi Paesi. Più tempo si impiega a riportare sotto controllo l’inflazione, maggiore è il rischio di frammentazione fiscale. Ma le economie emergenti sarebbero messe a dura prova anche da un inasprimento accelerato delle condizioni finanziarie globali, per cui i prezzi degli asset potrebbero restare a un bivio finché la morsa della stagflazione non si attenua.

ALLA FINE L’INFLAZIONE PERDERÀ SLANCIO

In sintesi, secondo gli esperti di AllianceBernstein, le prospettive economiche sono difficoltose, con inflazione ostinatamente elevata anche a fronte di un rallentamento della crescita. Per il momento tutta l’attenzione delle autorità monetarie è focalizzata sulla lotta all’inflazione, anche a costo di una crescita più lenta e di una debole performance dei mercati finanziari. Una volta che l’inflazione, come prevede AllianceBernstein, avrà perso slancio, e a condizione che le aspettative rimangano ancorate, le banche centrali potranno iniziare a porre più enfasi sulla crescita. Una svolta di questo genere sarebbe, secondo Winograd e du Toit, il segnale di una ripresa economica e finanziaria imminente. Ma nel frattempo la volatilità dovrebbe rimanere il tema dominante.

La FED si appresta ad alzare i tassi americani al 2,50% a luglio. E poi?

La FED alzerà i tassi al 2,50% a fine mese con ogni probabilità. Vediamo cosa ha in mente la banca centrale americana.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 09 Luglio 2022 alle ore 07:38

Tassi FED al 2,50% a luglio

Tassi FED ancora su

A giugno, il governatore Jerome Powell annunciò un rialzo dei tassi FED dello 0,75%, il maggiore sin dal 1994. Il costo del denaro fu portato nel range 1,50-1,75%. Era allo 0-0,25% fino al marzo scorso, prima che iniziasse la stretta monetaria. Questo significa che alla fine di questo mese i tassi saliranno ancora al 2,50%. Sarebbe il livello più alto da oltre tre anni a questa parte. Fino a dove si spingerà l’istituto?

Partiamo con le aspettative del mercato. Stando ai contratti derivati di CME Group, alla fine di quest’anno i tassi FED si attesteranno al 3,50%. Ciò presuppone un aumento di altri 100 punti base o 1% dopo luglio. Questo sarebbe il culmine, dato che nel corso del 2023 non sono più intravisti ulteriori aumenti. Anzi, il mercato inizia a prezzare la possibilità di un taglio dei tassi già a partire dall’estate dell’anno prossimo.

Quanto alle aspettative d’inflazione, risultano scese in area 2,50% per i prossimi cinque anni. Praticamente, già con il board di luglio la FED riuscirebbe a portare il livello dei tassi fuori dall’area negativa.

Con un minimo rialzo a settembre, i tassi diverrebbero nuovamente positivi in termini reali dopo anni. Il Treasury a 10 anni si è impennato dal 2,77% al 2,93% dopo la pubblicazione dei verbali (quasi al 3,10% venerdì), segno che la durezza delle parole usate dall’istituto per contrastare l’inflazione non fosse stata del tutto scontata.

Sale il rischio recessione

Resta il fatto che a metà giugno il rendimento decennale americano fosse salito a poco meno del 3,50%. Il ripiegamento non sarebbe affatto tecnico, bensì frutto delle crescenti probabilità di recessione per l’economia americana nel breve termine. Più tali probabilità salgono, meno probabile che la stretta prosegua ancora a lungo. In altre parole, Powell difficilmente riuscirebbe a portare i tassi FED al 3,50% previsto. D’altra parte, insieme al resto del board deve fare di tutto per convincere il mercato che così sarà. La faccia dura contro l’inflazione serve a “raffreddare” le aspettative e ad avvicinarle all’obiettivo di medio termine del 2%.

Così come nei mesi scorsi c’è stata una sottovalutazione dell’inflazione, nelle prossime settimane lo stesso accadrà con il rischio recessione. A dirla tutta, qualche trimestre di crescita negativa per l’economia americana gioverebbe alla FED, la quale potrebbe meglio e prima raggiungere i suoi obiettivi se i consumi ristagnassero o diminuissero, riducendo la pressione sui prezzi al consumo. Per il momento, nessun problema per il dollaro. Resterà “super” anche qualora i tassi FED dovessero salire un po’ meno del previsto dopo luglio. Le altre banche centrali, BCE in testa, sono ancora molto indietro con la stretta.

Riassunto mensile di giugno: sui mercati si sveglia l’Orso, banche centrali protagoniste

Di Redazione AdviseOnly

COMMENTO AL MERCATO

La fine di giugno ha mandato in soffitta un semestre “impegnativo” sui mercati azionari. In America il paniere principale di Wall Street, l’S&P 500, ha chiuso i sei mesi peggiori dal 1970 con una perdita del 20,6%. Ancora peggio ha fatto il Nasdaq, l’indice dei titoli tecnologici, che ha lasciato per strada il 29,5%. L’Europa però non è andata molto meglio. Basti pensare che il nostro Ftse Mib ha perso da inizio anno il 22,13% (di cui -13,1% nel solo mese di giugno).

Questi numeri da ecatombe sono la conseguenza di un quadro geopolitico instabile, con la guerra in Ucraina che ormai dura da oltre 4 mesi e le conseguenti sanzioni occidentali alla Russia. L’aumento dei prezzi delle materie prime ha fatto schizzare verso l’alto l’inflazione, portando le principali banche centrali del pianeta a ritoccare verso l’alto i tassi d’interesse. Tutte circostanze che non hanno fatto bene al mercato azionario, ormai orientato a vedere all’orizzonte una possibile recessione.

In tutto questo, alcuni esperti appaiono convinti del fatto che il mercato Orso durerà ancora per un pezzo. Il noto gestore di fondi Michael Burry, famoso per il film “La Grande Scommessa”, addirittura stima che al momento siamo solo a metà del calo sui mercati (ma ricordatevi sempre quello che vi abbiamo detto sulle previsioni).

I fatti salienti del mese di giugno

Abbiamo accennato ai rialzi dei tassi decisi dalle banche centrali. Gli istituti centrali sono spaventati dall’inflazione. Negli Stati Uniti, il carovita a maggio ha toccato l’8,6% su base annua, il massimo da 40 anni a questa parte. E la Federal Reserve ha agito di conseguenza: per rallentare la crescita dei prezzi, il presidente Jerome Powell ha varato un rialzo dei tassi d’interesse dello 0,75%, il più alto osservato dal 1994. Ma non è finita, perché l’istituto vorrebbe arrivare con i tassi poco sopra il 4% a inizio 2023: adesso sono tra l’1,50% e l’1,75%.

Pur rimanendo un po’ più attendista, anche la presidente della Bce Christine Lagarde ha deciso di muoversi. Con la riunione del 21 luglio, è già stato anticipato, ci sarà un ritocco ai tassi di un quarto di punto e l’uscita dall’era del costo del denaro basso o negativo. Si proseguirà poi a settembre, con un altro rialzo, probabilmente da mezzo punto percentuale. E poi si vedrà, in base alla reazione dell’inflazione.

Un’altra novità di giugno è stato il cosiddetto scudo anti-spread. Dopo il meeting Bce del 9 giugno, infatti, Lagarde non aveva parlato in modo esplicito di uno strumento per contenere l’allargamento dei rendimenti dei titoli di stato dell’Eurozona, da considerare fisiologico in uno scenario di aumento dei tassi.

Questo ha provocato una tempesta sui mercati, con i titoli di Stato dei Paesi più indebitati, tra i quali l’Italia, che hanno visto i rendimenti volare verso l’alto. Ci è voluta una riunione d’urgenza, una settimana più tardi, per tamponare la situazione e annunciare lo strumento che dovrebbe essere pronto per la riunione del 21 luglio.

Intanto, in Ucraina sono successe diverse cose. Da un lato si inasprisce la battaglia sul Donbass, dove i russi hanno conquistato posizioni sul campo. Dall’altra, dal vertice del G7 è emerso l’impegno dei Paesi a studiare un tetto al prezzo del gas e del petrolio russi, cosa che andrebbe a danneggiare gli affari del presidente Vladimir Putin. Si è pensato anche a un embargo sull’oro di Mosca, che è la seconda voce di ricavi per il Cremlino dopo la vendita di petrolio e gas.

La Russia ha peraltro dimezzato le forniture di gas a Paesi come Italia e Germania, che stanno correndo per riempire gli stoccaggi prima che arrivi il prossimo inverno. La fiammata del prezzo del gas conseguente non ha fatto altro che incrementare il carovita nel nostro Paese che, a giugno, è arrivato all’8%, record dal 1986.

Va un po’ meglio giusto in Cina, dove si stanno allentando le restrizioni anti-Covid e l’economia sta dando segnali di ripresa, favorita anche dalla politica monetaria accomodante della banca centrale.

Come si sono mossi i mercati

In Europa i listini sono andati tutti maluccio. Il Ftse Mib in Italia ha chiuso il mese a 22.667 punti (-13,10% da inizio mese), il Dax tedesco ha perso l’11,08%. Un po’ meglio il Cac40 francese, giù “solo” dell’8,44%.

Negli Usa l’S&P 500 è arretrato dell’8,39%, dopo il recupero di maggio. Ancora pesante il Nasdaq, l’indice che raccoglie i titoli tecnologici, che ha visto una perdita a giugno pari al 9% della sua capitalizzazione.

In Asia, il Ftse China A 50 ha visto invece una corposa ripresa del +10,15%. Meno brillante, ma comunque positivo, l’Hang Seng a Hong Kong (+2,08%). In Giappone, il Nikkei ha vissuto un mese negativo, chiudendo in ribasso del -3,25%.

Sul fronte obbligazionario, il rendimento del bond decennale USA è cresciuto nel corso del mese fino a toccare quota 2,9% (dal 2,8%). In Europa, lo spread Btp/Bund è stabile sulla fine di maggio a quota 198 punti base (anche se nel corso di giugno ha sfondato anche i 250 punti).

Per quanto riguarda le commodity, l’oro è sceso a quota 1.788 dollari l’oncia (da 1.845). Il gas naturale europeo, invece, è salito corposamente nel corso del mese e ora viene scambiato a 144 euro al megawatt/ora. Il petrolio è calato leggermente a 111 dollari al barile per il Brent. Poco più sotto, invece, il Wti, a quota 108 dollari.

Sul fronte delle valute, il dollaro si è avvicinato all’euro e ora è scambiato a 1,04.

Eventi da tenere d’occhio nel mese di luglio

Nel mese di luglio i riflettori saranno tutti sulle banche centrali, che nel recente meeting di Sintra, in Portogallo, si sono impegnate ad agire in modo determinato contro l’aumento dei prezzi.

Il 21 luglio sarà la volta della Bce, che annuncerà il primo rialzo dei tassi da 11 anni a questa parte. Attese anche le indicazioni su funzionamento e dotazione dello scudo anti-spread, strumento che interessa molto da vicino i Paesi molto indebitati dell’Eurozona, come l’Italia (seconda solo alla Grecia).

Il 27 luglio, invece, sarà di nuovo il turno della Federal Reserve che, salvo sorprese, dovrebbe varare il secondo aumento da 0,75 punti percentuali dei tassi d’interesse.

Sempre focus su possibili nuove sanzioni dell’Occidente alla Russia e sulle reazioni del Cremlino. Un eventuale segnale di de-escalation sarebbe molto gradito dai mercati, che potrebbero reagire con euforia. Ma, allo stato attuale delle cose, è difficile prevedere che tutto questo possa accadere nel mese di luglio.

Natixis: Borse verso un rimbalzo a breve, ma non è il momento di sovrappesare le azioni

Mabrouk Chetouane e Nicolas Malagardis, Global Market Strategy, di Natixis analizzano le probabilità di rimbalzo con uno spaccato su base geografica ed un approfondimento sui listini dei Mercati Emergenti

 di Virgilio Chelli  8 Luglio 2022 11:48

Di recente i principali indici azionari hanno perso quasi l’8%, attestandosi su una flessione complessiva di quasi il 20% da inizio anno. Il calo riflette i timori degli investitori che un’inflazione fuori controllo o una politica monetaria troppo restrittiva portino gli Stati Uniti ad una recessione più rapida del previsto. Ma diversi fattori fanno pensare alla probabilità di assistere ad un rimbalzo dei mercati azionari nel breve periodo.

UTILI VISTI SEMPRE IN CRESCITA

Lo sottolineano in un commento Mabrouk Chetouane e Nicolas MalagardisGlobal Market Strategy, di Natixis IM Solutions, notando in primo luogo che finora le preoccupazioni che ruotano intorno alla recessione hanno riguardato solo le variabili macroeconomiche, mentre gli utili, altra variabile formalmente microeconomica, continuano a non essere coinvolti. La crescita degli utili prevista per il 2022 per l’S&P500 e lo Stoxx600 è rispettivamente del 10% e del 14%. Un altro fattore segnalato dai due esperti di Natixis IM è che la velocità con cui i prezzi azionari sono calati appare una reazione eccessiva se si considerano alcune misure di stress del mercato, che hanno gradualmente recuperato i livelli normali.

VOLATILITA’ RIMASTA CONTENUTA

Anche la volatilità implicita dell’S&P500 è rimasta contenuta nelle ultime settimane, suggerendo che la correzione sembra ora un po’ eccessiva e che i prezzi potrebbero rimbalzare nel breve termine. Inoltre, secondo Chetouane e Malagardis, sebbene le economie emergenti differiscano notevolmente da una regione all’altra, i loro listini si sono dimostrati abbastanza resistenti a tutti gli shock che hanno colpito l’economia globale.

SOVRA PERFORMANCE DI AMERICA LATINA

La significativa esposizione della regione America Latina ad un’ampia gamma di materie prime, come quelle energetiche, non energetiche e agricole, insieme alla relativa stabilità delle sue valute anche dinanzi ad un aumento dell’inflazione e ad un inasprimento delle condizioni finanziarie globali, hanno contribuito in modo determinante alla sovra-performance dell’intera regione.

BANCHE CENTRALI EMERGENTI IN ANTICIPO

Inoltre, sottolineano i due esperti di Natixis IM, quasi tutte le principali Banche Centrali nell’universo emergente sono riuscite a inasprire la politica monetaria limitando i deflussi di capitale, avendo iniziato ad aumentare i tassi quando le economie stavano ancora andando bene.

MANCA ANCORA VISIBILITA’

Nel complesso, Natixis IM mantiene una posizione di neutralità ritenendo che il mercato abbia probabilmente sovrastimato il rischio di recessione nel breve termine. Natixis ha anche lasciato invariata la composizione del portafoglio azionario, perché la volatilità dei titoli azionari ha raggiunto un livello tale da ridurre la visibilità e non consentendo di esprimere forti convinzioni.

La ricetta di Schroders per superare le turbolenze dei mercati azionari

L’attenzione di Alex Tedder (Schroders) è rivolta al “pricing power”, la capacità di trasferire gli aumenti dei costi senza compromettere la domanda. Focus anche su cambiamento climatico e digitalizzazione

 di Leo Campagna  7 Luglio 2022 07:55

In un contesto in cui l’inflazione mostrava consistenti segnali di risveglio, la guerra in Ucraina ha provocato un’impennata delle quotazioni dell’energia e delle materie prime, con un ulteriore rialzo dei prezzi al consumo. Le banche centrali hanno adottato politiche monetarie restrittive mentre il mercato azionario globale ha accusato un crollo di oltre il 20% con un’elevata volatilità.

L’ANALOGIA CON IL 1951

“Molti osservatori paragonano l’attuale contesto a quello degli anni ’70, quando l’inflazione era dilagante e la spirale costi-salari-prezzi si era consolidata prima dell’azione aggressiva delle banche centrali. In realtà, per trovare un periodo in cui l’inflazione negli Stati Uniti fosse superiore all’8% e il tasso di disoccupazione inferiore al 4% bisogna tornare al 1951”, fa sapere Alex Tedder, Head and CIO of Global and US Equities, Schroders.

UNA NORMALIZZAZIONE RELATIVAMENTE RAPIDA DELL’ECONOMIA

Dal 1948, aggiunge il manager, ci sono stati solo 15 mesi in cui si è verificata una tale polarizzazione tra inflazione e disoccupazione. Ogni volta che ciò è accaduto, nel giro di 18 mesi si è verificata una recessione, seguita da un periodo di relativa stabilità e crescita. “Una recessione sembra probabile ma, sulla base di questa statistica, potrebbe anche verificarsi una normalizzazione relativamente rapida dell’economia globale”, puntualizza Tedder.

LO SCENARIO DI BASE DI SCHRODERS

Lo scenario di base di Schroders prevede una risposta positiva da parte delle banche centrali, ma non si può purtroppo escludere il rischio che lo slancio dell’inflazione si riveli inarrestabile. “Una tempesta perfetta di questo tipo sarebbe certamente una sfida notevole sia per le azioni che per le obbligazioni” riferisce il manager. Il quale, a proposito di scelte di portafoglio ritiene sensata, almeno per il momento, un’esposizione alle società del settore energetico e minerario i cui utili e flussi di cassa si stanno gonfiando sulla scia della  forza dei prezzi delle materie prime.

ATTENZIONE AL PRICING POWER

“Più in generale” specifica Tedder  “la nostra attenzione è al pricing power, la capacità di trasferire gli aumenti dei costi senza compromettere la domanda. Tra i settori dove il potere di determinazione dei prezzi è generalmente molto forte figura il sanitario, guidato dall’innovazione con molte compagnie detentrici di prodotti unici che danno loro la possibilità di stabilire i prezzi e far crescere gli utili. Anche la tecnologia si distingue, in particolare nell’ambito dei software e nella produzione di semiconduttori all’avanguardia, settori in cui le aziende possono prosperare anche in tempi difficili” spiega il manager.

FOCUS SU CAMBIAMENTO CLIMATICO E DIGITALIZZAZIONE

Tedder  poi suggerisce di non essere eccessivamente concentrati sul breve termine, perché c’è il rischio di perdere di vista i trend di fondo che probabilmente domineranno le nostre vite per molti anni a venire. “Il cambiamento climatico è una realtà, eppure negli ultimi mesi le società legate al clima sono andate relativamente male. Un altro tema di investimento di lungo periodo è la digitalizzazione che sta accelerando nonostante l’attuale contesto economico e la disaffezione degli investitori negli ultimi mesi. I progressi nelle biotecnologie proseguono a ritmo sostenuto, ma anche in questo caso il settore è stato fortemente ridimensionato dopo la pandemia. Riteniamo che gli investitori che hanno la capacità e la pazienza di guardare oltre le attuali turbolenze possono individuare interessanti opportunità in queste aree di crescita strutturale ed essere ripagati nel lungo periodo” conclude l’Head and CIO of Global and US Equities di Schroders.

Wall Street nella morsa della volatilità: attesa per la Fed e per market mover clou della settimana

06/07/2022

Wall Street cauta, in preda alla forte volatilità che non molla la sua presa sui mercati. La forte rimonta di Wall Street ha visto il Nasdaq Composite balzare dell’1,75% a 11.322,24, dopo un avvio in deciso ribasso; lo S&P 500 salire dello 0,16% a 3.831,39 dopo aver perso più del 2% nei minimi della seduta, e il Dow Jones Industrial Average chiudere in flessione di 129,44 punti, o dello 0,4%, a 30.967,82, dopo essere scivolato di oltre 700 punti nelle prime ore della sessione di trading.

Pochi minuti dopo l’avvio della giornata di contrattazioni, in un contesto in cui domina la volatilità, il Dow Jones oscilla attorno alla parità, lo S&P 500 scende dello 0,09% e il Nasdaq sottoperforma, con una flessione dello 0,19%.

Attesa per le minute della Fed relative all’ultima riunione del Fomc, il braccio di politica monetaria della banca centrale Usa guidata da Jerome Powell, che saranno rese note oggi, alle 20 ora italiana.

La Fed ha alzato i tassi Usa, lo scorso 15 giugno, di 75 punti base, con quella che è stata la stretta monetaria più forte dal 1994, al fine di sconfiggere un’inflazione che viaggia negli Stati Uniti al record degli ultimi 40 anni.

La pubblicazione delle minute della Fed farà luce sulle intenzioni dei banchieri. Il presidente della Fed Jerome Powell è rimasto vago nell’ultima riunione, sottolineando che la banca centrale potrebbe alzare i tassi o di 50 pb o di 75 pb nel meeting di luglio.

In rialzo i tassi sui Treasuries a 10 anni, che rimangono tuttavia sotto la soglia del 3%, a conferma di come l’attenzione degli investitori sia rivolta ora più al rischio di una recessione che di una ulteriore fiammata dell’inflazione.

L’alert sulla recessione è confermato in particolare dall’inversione della curva dei rendimenti nel tratto compreso tra 2 e 10 anni, avvenuta nelle ultime ore: i tassi dei Treasuries a due anni, in particolare, hanno superato quelli decennali, avanzando al 2,798% rispetto al 2,793% dei rendimenti 10 y.

L’inversione della curva è nota per essere considerata segnale che anticipa l’arrivo di una recessione, anche se diversi sono gli economisti che hanno cercato di sfatare la correlazione.

L’ultima volta che la curva dei rendimenti si è invertita è stata a giugno, seppur per una breve durata. L’inversione si era manifestata già nella sessione del 31 marzo scorso.

Oltre che per le minute della Fed, l’attesa degli investitori è per la pubblicazione del grande market mover Usa rappresentato dal report occupazionale di giugno, in calendario dopodomani 8 luglio, alle 14.30 ora italiana.

Gli analisti intervistati da Dow Jones prevedono una crescita di nuovi posti di lavoro di 250.000 unità, inferiore all’aumento delle payrolls di 390.000 del mese di maggio. Il tasso di disoccupazione è previsto invariato al 3,6%.

La Bce al test dello scudo anti-spread: ecco cosa può cambiare sui mercati

Neuberger Berman sottolinea le differenze con la crisi del debito e analizza i nodi da chiarire sul funzionamento del nuovo strumento annunciato da Christine Lagarde

 di Virgilio Chelli  6 Luglio 2022 14:46
financialounge -  BCE Christine Lagarde daily news Neuber Berman spread

Mercati e investitori si chiedono che sia in arrivo un’altra crisi dell’Eurozona, o se la BCE riuscirà ad elaborare uno strumento efficace per gestire la volatilità degli spread periferici. Negli USA l’obiettivo della Fed è frenare un’inflazione che corre all’8,6% senza provocare una recessione o perdite eccessive di posti di lavoro. La BCE dovrà raggiungere gli stessi due obiettivi partendo da tassi negativi e da un’inflazione che viaggia agli stessi livelli, ma ha anche una terza variabile da bilanciare, l’ampliamento degli spread tra i titoli di Stato tedeschi e quelli dei Paesi dell’Europa meridionale, che riporta alla mente la crisi esistenziale di un decennio fa.

IL “TRILEMMA” DELLA BCE

Neuberger Berman, nelle Prospettive settimanali del CIO firmate da Patrick Barbe, Head of European Investment Grade Fixed Income e Ugo Lancioni, Head of Global Currency, parla di dal titolo “trilemma della BCE”, partendo dal problema dell’inflazione e sottolineando che la debolezza dell’euro su dollaro non aiuta. La caduta della moneta unica ha contribuito all’aumento del costo dell’energia importata. Se la Fed è stata presa allo sprovvisto dalla corsa dei prezzi, la debolezza dell’euro è un’indicazione di quanto la BCE si trovi indietro. L’euro continua a perdere terreno nonostante i mercati scontino più rialzi dei tassi della BCE che della Fed nei prossimi tre anni.

UN’AGGRESSIVITÀ CHE NON AIUTA

Secondo Barbe e Lancioni, il problema è che l’atteggiamento aggressivo della BCE non sta facendo aumentare solo i rendimenti dei titoli tedeschi ma ancora più velocemente quelli dei Paesi periferici, a partire dal rendimento del decennale italiano. L’atteggiamento aggressivo della BCE porta a un deterioramento delle condizioni nei mercati del credito mentre gli investitori considerano spesso la vendita allo scoperto di obbligazioni dell’Europa meridionale come un modo per coprire il beta di portafoglio dall’esposizione ad asset rischiosi o al credito.

FONDAMENTALI ITALIANI SOLIDI

Questo nonostante le prospettive, secondo Neuberger Berman relativamente solide, sui fondamentali dell’Italia, che sembra destinata a sovraperformare sul fronte del deficit grazie alla spesa dei principali Paesi europei per tutelare i consumatori dall’inflazione. La BCE sta lavorando a uno strumento “anti-frammentazione” e l’annuncio è stato sufficiente a ridurre lo spread italiano di 50 punti riportandolo ai livelli di metà maggio. Ma per ottenere la fiducia del mercato secondo Barbe e Lancioni ci sono tre domande a cui rispondere.

CAPIRE SE CI SONO LIMITI O CONDIZIONI

La prima è se gli acquisti nell’ambito del nuovo strumento prevedono limiti o condizioni, che potrebbero dissuadere i Paesi potenzialmente beneficiari dall’accettare gli acquisti. Poi bisogna capire se gli acquisti interesseranno solo specifici Paesi. In passato il sostegno non era incanalato verso i Paesi che ne avevano più bisogno, e oggi il problema risulterebbe ancora maggiore perché spingere al ribasso i rendimenti core dell’Eurozona inasprirebbe le pressioni inflazionistiche. Per questo, secondo Neuberger Berman, il nuovo strumento dovrebbe essere rivolto a specifici Paesi.

OPPURE TARGET SPECIFICI

Il terzo quesito riguarda l’obiettivo o meno di uno specifico livello “fondamentale” degli spread. Barbe e Lancioni non credono che la BCE veda questo come parte del suo compito, ritenendo invece che punterà a ridurre parte della volatilità speculativa degli spread, persuadendo il mercato che le vendite allo scoperto non rappresentino più una copertura efficace dei rischi. Se il nuovo strumento dovesse avere successo, secondo Neuberger Berman gli spread potranno riavvicinarsi gradualmente alle attese sui fondamentali.

CONDIZIONI MIGLIORI DI 10 ANNI FA

In generale, le condizioni oggi sono più favorevoli di un decennio fa, la guerra ha rafforzato la solidarietà Europea, Mario Draghi gode di grande favore. Inoltre, fattore forse più importante, la Germania ha chiaramente bisogno di una soluzione a causa delle sue difficoltà sul fronte del caro energia. Nonostante l’arretramento degli spread seguito all’annuncio dello strumento “anti-frammentazione”, gli esperti di Neuberger Berman ritengono che il suo potenziale impatto non sia stato scontato appieno.

MARGINI DI RIENTRO

Gli investitori con un orizzonte di lungo periodo sembrano voler attendere maggiori dettagli. Tutti gli asset rischiosi, tra cui i titoli di Stato italiani, rimangono vulnerabili a una possibile recessione e al sentiment negativo. Ciononostante, sottolineano in conclusione Barbe e Lancioni, il nuovo strumento “anti-frammentazione” potrebbe fornire agli spread italiani un certo margine di riduzione rispetto ai livelli attuali.

El-Erian: su sell off mercati dice No Panic. Azioni e bond : ecco ‘i tre fattori positivi’

06/07/2022

Da Mohammed El-Erian, ex numero uno di Pimco e voce tra le più ascoltate del mondo della finanza, arriva agli investitori sconfortati da un trimestre e un semestre da incubo un consiglio: valutare la realtà e prendere atto dei forti sell off che si sono abbattuti sulla maggior parte degli asset detenuti, dunque azioni, corporate bod, mercati emergenti, crypto e tanto altro ancora, che non sia stato petrolio e alcune commodities, senza riuscire a trovare riparo neanche nei  debiti sovrani, dunque titoli di stato, anch’essi stramazzati dalle vendite. E, allo stesso tempo, considerare anche i fattori positivi che, in questo contesto, esistono, e sono per la precisione tre.

In attesa che gli smobilizzi colpiscano anche il private equity – e così sarà a suo avviso -il responsabile delle consulenze economiche di Allianz ed ex Pimco mette in evidenza quelli che ritiene essere i principali silver linings, ovvero lati positivi, in un articolo appena pubblicato.

https://2be72f8997a395e462781317e769ba5b.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

El-Erian presenta i tre ‘silver lining’ per chi investe

Il primo ‘silver lining’, ovvero lato positivo è rappresentato dal fatto che, per dirla in gergo, finalmente sui mercati si è fatta un po’ di pulizia e, in alcuni casi, anche troppa: fattore, quest’ultimo, che indica che alcuni asset hanno testato il fondo e che, dunque, potrebbero essere pronti a rimbalzare.

El-Erian utilizza termini più eleganti, affermando che, “dopo un periodo in cui il valore degli asset è stato gonfiato in via artificiale e distorto dalle enormi e prevedibili iniezioni di liquidità delle banche centrali”, finalmente “è stato ripristinato del valore sano e più sostenibile”.

In poche parole, visto che le bolle speculative in diversi casi sono esplose, quello che è rimasto è ora sostenibile e riflette maggiormente i fondamentali dell’asset a cui si riferisce.

Il secondo lato positivo individuato da El-Erian à che, dopo essere stati colpiti anch’essi dagli smobilizzi, ricalcando il trend dell’azionario, i debiti sovrani o bond governativi hanno imboccato la via della ripresa, riappropriandosi anche del ruolo che li contraddistingue: quello della mitigazione del rischio in portafogli di investimento diversificati.

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Il recupero delle valutazioni dei debiti sovrani è stato messo in evidenza anche dal recente outlook firmato Barclays, che ha messo in evidenza, per l’appunto, come di recente le dinamiche dei mercati siano cambiate, proprio in quanto chiodo fisso degli investitori è diventato il timore di una recessione, che ha surclassato quello dell’inflazione.

Il terzo silver lining presentato da Mohammed El-Erian è il fatto che i tre principali elementi di rischio sui mercati non si sono presentati nello stesso momento.

Peer principali fattori di rischio El-Erian intende 1) il rischio legato ai tassi di interesse; 2) quello del credito, e 3) il rischio capace di creare più danni: quello dello stress che colpisce lo stesso funzionamento del mercato.

El-Erian ricorda che il sell off sui mercati è partito con la crescita del rischio sui tassi di interesse. Il boom dell’inflazione in diverse parti del mondo, come negli Stati Uniti e nell’area euro, è stato il primo timore scontato dai mercati, che ha scatenato il forte sell off che si è abbattuto sia sulle azioni che sulle obbligazioni.

Questo rischio è stato successivamente seguito dal “rischio sul credito”, scatenato in questo caso dal chiodo fisso della recessione, che si è andato a sostituire al timore di un’inflazione difficile da imbrigliare.

Con la sua nota El-Erian ha poi spiegato che, maggiore è la permanenza di entrambi i rischi, più forte è la minaccia che sui mercati si presenti il rischio peggiore: lo stress, per l’appunto, del funzuionamento del mercato.

Detto questo, “per gli investitori che ragionano in un’ottica di lungo termine, sarà vantaggioso nel corso del tempo che i mercati escano dal regime artificiale provocato per troppo tempo dalla Fed, responsabile di quelle valutazioni ‘frothy’, delle distorsioni, dell’allocazione sbagliata delle risorse”.  Tutto ciò ha portato infatti “gli investitori a perdere di vista i fondamentali delle aziende e degli stessi paesi sovrani”.

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