EL PIBE DE ORO JEROME POWELL FEDERAL RESERVE 1/2 NOVEMBRE 2022

In rispetto , dovuto , alle molte richieste pervenute , abbiamo fatto il 14mo aggiornamento dell’analisi comparativa 1962 – 2022 , in vista delle due date sicuramente più importanti di questa analisi :

20/22 Ottobre 2022

E soprattutto ,del come sempre, atteso e decisivo

Meeting della Federal Reserve del 1/2 Novembre 2022

EL PIBE DE ORO JEROME POWELL FEDERAL RESERVE 1/2 NOVEMBRE 2022

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Capital Group vede opportunità in arrivo sul mercato azionario giapponese

Le nuove politiche governative e l’aumento della debolezza dello yen potrebbero cambiare lo scenario economico e favorire l’emergere di nuove aziende leader

 di Antonio Cardarelli  21 Ottobre 2022 08:00
financialounge -  Capital Group giappone Kohei Higashi yen

Il mercato azionario del Giappone si conferma un unicum rispetto al resto dei Paesi sviluppati. Questo principalmente perché l’economia del Paese, importatore netto di energia e beni alimentari, risente dell’indebolimento dello yen rispetto al dollaro. Una manna per le aziende esportatrici di beni, ma un rischio per l’inflazione. Tuttavia, anche se di fronte a un’inflazione che non era così alta dagli anni ’70, la banca centrale giapponese non sembra intenzionata a cambiare la storica tendenza a tenere i tassi fermi.

DISALLINEAMENTO CON LA FED

Secondo Kohei Higashi, Gestore di portafoglio di Capital Group, in un contesto del genere lo yen continuerà a rimanere sotto pressione, soprattutto se la Federal Reserve americana continuerà ad alzare i tassi d’interesse. Come in altre parti del mondo, l’esperto sottolinea che l’economia giapponese è stata sostenuta da un mix di spesa dopo le riaperture e dai risparmi accumulati durante la pandemia. “La sostenibilità globale dell’attuale livello dei consumi è tuttavia un’incognita. La mia previsione è che esso rimarrà invariato fino alla fine dell’anno per poi calare nel 2023”, spiega Higashi.

POSSIBILE CAMBIO DI ROTTA DELLA BANCA CENTRALE

L’esperto rileva come il mondo intero sia di fronte a un lungo elenco di incertezze, dovute principalmente a fattori geopolitici. Inoltre, l’andamento dell’economia americana influenzerà il resto del mondo, anche se Higashi sottolinea le differenze tra l’economia Usa e quella del Giappone. Nel secondo caso i salari reali sono in stagnazione e la popolazione potrebbe cominciare a tagliare le spese e ciò potrebbe provocare un cambio di rotta della Bank of Japan. “Per questo le nostre prospettive sull’economia giapponese rimangono caute. Alla luce dei tanti fattori all’opera è importante mantenere un portafoglio di investimenti diversificato”, spiega Higashi.

NUOVA POLITICA DI INVESTIMENTO

Dal punto di vista politico, la recente vittoria alle elezioni dovrebbe dare al primo ministro Kishida e al suo governo tempo a sufficienza per realizzare il proprio programma politico. Uno dei suoi obiettivi è dare impulso all’adozione delle energie rinnovabili e ciò fa ben sperare per la comunità degli investitori data la sempre maggiore importanza acquisita dalle tematiche ESG nel corso degli anni. Il primo ministro sostiene altresì gli investimenti da parte delle famiglie: uno degli slogan di lungo corso del governo è proprio “dal risparmio all’investimento”.

IN ARRIVO NUOVI LEADER AZIONARI

“L’unicità del panorama degli investimenti in Giappone presenta interessanti opportunità di selezione dei titoli – conclude Higashi – Le nostre analisi mostrano che lo stock picking, supportato da una ricerca rigorosa, può generare alfa a lungo termine. Nei prossimi 10 anni assisteremo con tutta probabilità all’emergere di nuovi leader del mercato azionario giapponese. Nonostante gli inevitabili cambiamenti che intervengono nei mercati, rimaniamo concentrati su una gestione attiva, che si trova al centro di tutto ciò che facciamo ed è la chiave per individuare i vincitori di lungo periodo”.

Fugnoli (Kairos): Usa e Cina segnali di forza, sui mercati la svolta è lontana ma occhio a occasioni nel breve

 di Alessandra Caparello

 19/10/2022  13:19

Non è ancora chiaro quando e come la recessione arriverà, ma in America e in Cina si vedono addirittura segnali di ripresa. Così nel podcast “Al 4° piano”, Alessandro Fugnoli, Strategist di Kairos, propone la sua analisi dell’attuale contesto di mercato.

Lo stimolo monetario e fiscale del 2020 e del 2021 è stato in effetti così forte che ancora se ne sentono gli effetti. Il rallentamento della prima metà del 2022 è stato circoscritto al manifatturiero e in particolare alle sue scorte, che erano eccessive e sono state ridotte attraverso una riduzione della produzione. Ora le scorte sono quasi in equilibrio, mentre gli acquisti di fine anno si profilano più elevati rispetto all’anno scorso.

La tenuta dell’economia si accompagna però a un’inflazione più tenace e persistente del previsto. Le banche centrali, di conseguenza, non vedono ostacoli insormontabili al proseguimento della normalizzazione monetaria. I tassi continueranno quindi a salire fino a febbraio. Da lì in avanti ci si fermerà per qualche mese per misurare l’effetto dell’imponente movimento restrittivo. Proseguirà solo il Quantitative tightening.

Ma volgendo lo sguardo all’Europa, secondo l’esperto di Kairos, la situazione è decisamente più fragile, complice il problema energetico. In Europa, la recessione è già partita, ma in presenza di un’America e di un’Asia che stanno andando ancora abbastanza bene, il Vecchio Continente, sottolinea Fugnoli, non dovrebbe precipitare in una recessione troppo profonda. Ma l’orizzonte di medio periodo rimane però coperto di nubi e sarà molto difficile, per l’America, evitare una recessione.  Strategicamente per quanto riguarda i portafogli di investimento, occorre quindi avere ancora molta prudenza perchè il punto di svolta del ciclo è ancora lontano e potrebbe richiedere ancora 12 mesi di attesa. Tatticamente, tuttavia, ovvero in un orizzonte di tre mesi, il recupero potrà essere giocato con qualche acquisto mirato.

WALL STREET: mani forti in fuga. Anche i commercials lasciano il mercato

Il quadro del CFTC di Chicago ci fa vedere mani forti che dismetto no i contratti long ed escono dal mercato. La fiducia nella soluzione del conflitto in tempi brevi è basta e sembra sia l’unica soluzione per far ripartire il mercato. [Guest  post]

Cari amici, dopo circa un mese, torno a scrivere il mio personale post di commento ed interpretazione degli andamenti dei mercati finanziari internazionali. Direi che, nel frattempo, è cambiato ben poco. In particolare, non si registra alcuna novità circa il conflitto tra Russia ed Ucraina, che prosegue ormai da quasi 8 mesi.

I danni economici derivanti, e ad esso connessi, diventano sempre più pesanti ed ingenti soprattutto per imprese e famiglie. L’alta inflazione, causata soprattutto dall’impennata dei prezzi dell’energia, da contingente e transitoria, sta divenendo, ogni giorno di più, un elemento strutturale, e pressoché endemico delle nostre economie.

Le Banche Centrali, in primis la FED Usa, si sono messe in testa di combatterla, mediante forsennati aumenti dei tassi d’interesse. Una politica monetaria restrittiva, che si rivelerà del tutto inefficace, come già dimostrano peraltro i risultati di questi primi mesi d’applicazione, che vedono un’inflazione Usa ancora molto elevata, e pari all’8,2 %.

Trattasi, infatti, d’inflazione derivante da un deficit d’offerta, soprattutto di materie prime energetiche, conseguenza diretta della guerra tra Russia ed Ucraina ancora in corso, e che nessuno s’occupa di far cessare e risolvere. Speriamo, pertanto che molto presto, soprattutto negli Usa nè prendano doverosamente atto, e s’acconcino a predisporre un tavolo di confronto e mediazione, con il presidente russo Putin.

In caso contrario, continueremmo ad assistere, sui mercati internazionali, a quello che abbiamo già visto nel corso di quest’intero anno, finanziariamente disastroso. Ovvero le materie prime continueranno a salire di prezzo, o quantomeno a non scendere, e con esse saliranno ulteriormente i tassi d’interesse, massacrando ancor di più, i già sgomenti ed esterefatti investitori e detentori di bond, e buon ultimo continuerà a scendere anche il valore dell’equity, perché le imprese già colpite dagli aumenti dei prezzi dell’energia, e del capitale ( tassi d’interesse ), vedranno inevitabilmente contrarsi i propri utili.

Insomma le già evidenti e disastrose risultanze finanziarie dell’anno 2022, tuttora in corso, dovrebbero indurre a ben più miti consigli, gli esponenti politici occidentali, e quelli Usa in particolare. Lo faranno ? Lo spero, ma non né sono affatto certo. Non vorrei davvero trovarmi, ed essere nei panni dei gestori di fondi d’investimento, che amministrano, per svariati miliardi di dollari, i risparmi di milioni di risparmiatori, che già in questi primi mesi dell’anno registrano perdite intorno al 20 % anche con il più classico e difensivo fondo costituito dal 60 % di equity, e dal 40 % di bond.

Il mio ben più modesto e rischioso portafoglio, costituito solo da azionario, che registra, ad oggi, una perdita annua del 9,47 % ha retto molto meglio. Ma non né sono di certo soddisfatto e contento, e spero in questi ultimi mesi di limitarne ancor di più le perdite.

Dopo le sopra esposte considerazioni, del tutto personali, vado ad esaminare cosa ci indica, al momento, il sistema intermarket. Il dollar index, anche nell’ultimo mese, sospinto dal forsennato rialzo dei tassi ad opera della FED, ha continuato a lievitare di prezzo, e quota oggi 113,31. I prezzi delle commodities, invece, hanno solo arrestato la loro corsa, e nonostante le strette monetarie della FED, già molto forti, non hanno sinora stornato in modo significativo.

E ciò conferma che tale politica monetaria è del tutto inefficace, nel combattere il fenomeno di un’inflazione, causata da un deficit offerta. Preoccupazioni giungono anche dal mercato obbligazionario. Il rendimento del bond decennale Usa, nell’ultimo mese, ha infatti guadagno altri 57 bps, ed ha raggiunto quota 4,02 %. Il rendimento dei bonds a 2 anni, invece, è lievitato ben 62 bps, ed ha raggiunto quota 4,49 %.

La yield curve Usa, risulta pertanto, ancor più invertita di un mese addietro, ( – 47 bps ), e ciò rende sempre più probabile, ed ormai quasi certa, l’entrata in recessione dell’economia Usa, nei primi mesi del 2023. I mercati azionari, infine, dopo i recuperi ed i rimbalzi estivi, nell’ultimo mese, hanno ripreso a stornare con forza. In particolare, il nostro benchmark azionario mondiale, l’S&P 500, ha ceduto ben il 7,5 % e quota oggi 3.583,07 punti.               .

Tanto premesso, passo ad esaminare gli ultimi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati venerdì sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:

Commercial Traders : + 43.941

Large Traders :  – 32.855

Small Traders : – 11.086

Nell’ultimo mese, non è mutato, ma si è alquanto indebolito, l’assetto del Cot Report sui derivati azionari Usa. Rispetto al mio ultimo post, le variazioni nelle posizioni dei vari operatori sono state infatti pari a ben 34.134 contratti. In particolare, i Commercial Traders, ovvero le MANI FORTI di questo mercato, hanno ceduto, nel corso dell’ultimo mese, l’intero lotto dei 34.134 contratti long, ed indebolito di molto la loro ancora solitaria posizione, Net Long.

I Large Traders, invece, al contrario, hanno acquistato 18.403 contratti long, e ridotto l’entità della loro posizione, Net Short. Gli Small Traders, infine, hanno acquistato anch’essi 15.731 contratti long, indebolendo la loro ancora anomala posizione, Net Short. Le movimentazioni di quest’ultimo periodo, relative alle ultime 4 settimane, giustificano quanto visto, ed accaduto nel contempo nel mercato azionario primario.

Osservare le MANI FORTI cedere tanti contratti long, sui derivati azionari Usa, in favore di operatori notoriamente meno forti ed influenti, non poteva non comportare conseguenze anche sulle quotazioni dei mercati azionari primari. Del tutto motivati e giustificati pertanto gli ingenti storni (- 7,5 %) registrati sull’azionario ed in particolare sul nostro benchmark azionario mondiale, S&P 500. C’è, dunque, da sperare che le MANI FORTI non continuino a dismettere contratti long, altrimenti la situazione, anche sui mercati primari non potrà che peggiorare ulteriormente.

E che si cerchi, con determinazione, una soluzione all’attuale impasse geopolitico, non più sopportabile. Per quanto concerne, invece, la mia operatività, alla luce delle considerazioni sopra esposte, non ho, al momento, alcun motivo per non riconfermare la mia sfiducia e la mia vision negativa circa le prospettive future dei mercati azionari internazionali.

Mercato, dunque, ancora molto impervi

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