2021 : Ancora difficoltà per la Classe Media

Mancano poche ore oramai alla conclusione del 2020 , anno che per molti è stato complicato e difficile forse come non mai.

2021 : Ancora difficoltà per la Classe Media 

Il 2021 si presenta ,per Imprese (vedi Covid19 e DPCM ) e Classe Media ,vista la “consueta” raffica di aumenti in arrivo , già in salita :


Bollette, scattano gli aumenti: elettricità +4,5% e gas +5,3%
Le materie prime fanno aumentare il costo di gas e luce.
Coldiretti: rincari pesano su cittadini e imprese già in crisi per la pandemia –

 
Considerando poi le nostre analisi rialziste sui Cereali , che stanno da tempo  trovando conferme ( e che sono alla base non solo dell’alimentazione  per molti Popoli del Mondo   ma anche importanti Materie Prime per i Mangimi utilizzati negli Allevamenti Bovini , Suini e Pollame vario (Gallinacei da allevamento galli, galline, oche, capponi, tacchini ecc.)   la ricaduta sui prezzi dei prodotti da essi derivati (Farina, Pane , Pasta, Latte , Carne , Uova ecc ecc ) non mancheranno di arrivare puntuali nei prossimi mesi.

 

 
Quindi alle difficoltà create da questo “fantomatico” Virus Covid19 , (uscito dal nulla ma con un timing molto preciso nell’ Anno del Topo del calendario Cinese 25 Gennaio 2020 – 12 Febbraio 2021 ) e  alla difficoltà di svolgere il proprio lavoro (200.000 lavoratori autonomi hanno cessato la loro attività nel 2020, settore Turismo e Ristorazione in grandissima difficoltà , moltissime attività chiuse come da Dati Confcommercio ) si uniranno anche rincari di tariffe e alimenti che ovviamente andranno a colpire e indebolire ancora di piu’ la classe media.

 
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Se non bastasse questo , Nuove Normative provenienti dall’Europa sui Conti Correnti renderanno possibile la segnalazione al CRIF , quindi faranno diventare cattivi pagatori, per scoperti magari di pochi euro , persone Fisiche e Giuridiche impedendo loro di accedere a Mutui e Prestiti.

Dai conti correnti “scoperti” arriverà una grossa frenata ai prestiti bancari

Basterà un “rosso” di pochi euro per essere segnalato al Crif come cattivo pagatore. Duro colpo alle piccole imprese


Insomma , il quadro che si sta componendo non è certo entusiasmante , ma nonostante tutto quanto elencato , SFI TRADING ADVISOR , continua a pensare che  gli Italiani siano molto migliori di chi li Governa e che questa meravigliosa Nazione che è l’Italia colma di Tesori e Genialità non può permettersi di mollare e non mollerà .


Buona Resilienza Italia ! Buon 2021 !

Ad Maiora !

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NEWS ARRIVATE DOPO NOSTRO ARTICOLO

ARTICOLO CHIUSO IN DATA 28 DICEMBRE 2021

A UN ANNO DALL’EMISSIONE POSSIAMO INSERIRLO

TRA LE GOLD IDEA DI SFI TRADING ADVISOR

Caro energia e condomini, Francesco Burrelli (Anaci): “A rischio la pace sociale, serve un decreto ad hoc”

In questo periodo emergenziale bisogna avviare un tavolo con i manutentori, i fornitori di energia e gli amministratori per studiare ogni singola situazione

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Caro energia

GTRES

Authors:

@Stefania Giudice

2 Novembre 2022, 8:06

Il caro energia non risparmia i condomini. Per capire quali sono i possibili rischi e quali interventi sono necessariidealista/news ha rivolto qualche domanda a Francesco Burrelli, presidente nazionale Anaci (Associazione nazionale amministratori condominiali e immobiliari).

“La situazione è gravissima”, ha spiegato Burrelli. Il presidente nazionale Anaci chiede quindi che venga avviato un tavolo con i manutentori, i fornitori di energia, gli amministratori, e che venga fatto un decreto ad hoc.

Secondo Burrelli, il caro energia ha fatto quasi raddoppiare i costi condominiali. In questa situazione, sono molte le persone che hanno sempre pagato e che ora – trovandosi costi raddoppiati o triplicati – sono in difficoltà. Burrelli ha dunque parlato di allarme sociale e ha sottolineato la necessità di prendere al più presto adeguati e modulati provvedimenti, analizzando ogni singola situazione, senza generalizzare. Ecco quanto spiegato a idealista/news.

Francesco Burrelli, presidente nazionale Anaci

Francesco Burrelli, presidente nazionale Anaci

Anaci

Il caro energia investe anche i costi condominiali. Che tipo di aumenti si rischiano?

“I costi dell’energia per la gestione 2021-2022 che stiamo chiudendo in molti casi sono quasi raddoppiati. Per fare un esempio, se prendiamo un condominio con 25-27 condomini che nella gestione precedente – quella del 2020-2021 – spendevano intorno ai 22/23mila euro, quest’anno hanno speso 39mila euro. Quindi, prima di iniziare la gestione 2022-2023, si trovano un conguaglio da pagare di circa 20/22mila euro. E se non si paga, si diventa subito morosi. Ma quel pagamento non è morosità, rappresenta un costo in più.

Il costo delle bollette, sia dell’energia che del gas, è aumentato molto e le persone adesso non riescono a pagare in una volta le cifre richieste, anche perché c’è il preventivo della gestione 2022-2023. Bisogna ricordare che nei condomini ci può essere il moroso, ma ci può essere anche chi non può pagare, chi non ce la fa e chi non ha le risorse”.

Quali sono, secondo lei, gli interventi necessari?

“A mio avviso serve un decreto specifico da parte del governo, che in questo periodo emergenziale deve avviare un tavolo con i manutentori, i fornitori di energia, gli amministratori.

Gli amministratori di condominio sono pronti a sedersi al tavolo con tutti e fare un piano di azione per andare a ‘bastonare’ quelli che hanno sempre fatto i furbi, ma allo stesso tempo sono fortemente pronti ad aiutare tutti coloro che hanno bisogno”.

In che modo?

“Serve l’aiuto delle aziende, soprattutto perché hanno degli extra guadagni. Beninteso, è giusto che le aziende abbiano il loro guadagno, ma bisogna aiutare coloro che vogliono e possono pagare a poco a poco e anche coloro che sono in difficoltà e non possono pagare, in tal caso è necessario capire cosa fare.

Bisogna sedersi a un tavolo con il manutentore, con il gestore, con i fornitori del gas, con un delegato del governo o con chi abbia titolo rispetto a un decreto o meno, per analizzare la situazione condominio per condominio, vedere come modulare le diverse rate e come intervenire”.

Per affrontare questo problema quello che si richiede dunque è proprio un decreto specifico?

“Sì, serve un decreto ad hoc ed è necessario studiare situazione per situazione. Non si può agire in modo generalizzato e bisogna fare attenzione perché dentro a tutto questo si rischia di includere indigenti, deboli, fragili, persone che stanno male, che hanno perso l’alloggio, magari anche l’azienda. Attenzione, dunque, a non farne una situazione generalizzata, perché questo è un allarme sociale.

Quando 6/7 persone su 10 iniziano ad avere questo tipo di problema in condominio, il problema è sociale, la pace è sociale. Non si tratta di morosi. Qui, se non si interviene, si mette a rischio la pace sociale dell’intera nazione. E non bastano gli amministratori di condominio. Noi siamo pronti a sederci al tavolo, ma il governo deve prendere delle decisioni e metterci in condizione di andare a discutere con i fornitori e dire alle persone cosa devono pagare.

La situazione è gravissima. È necessario rendersi conto di questo. Se i cittadini non vengono messi dignitosamente in grado di gestire i costi, sono alla fame. E le persone alla fame delinquono. Non andiamo a ‘bastonare’ le persone che hanno sempre pagato e che trovandosi costi raddoppiati o triplicati sono in difficoltà; non ‘bastoniamo’ gli indigenti, i fragili e quelli che non ce la fanno. In questi casi bisogna intervenire con una garanzia, con un fondo sociale.

Dobbiamo garantire i servizi fondamentali come l’acqua, la luce e il gas. Bisogna sedersi al tavolo e noi siamo pronti. Questa non è politica, questa è una questione sociale”

Prezzo benzina sale ancora, gasolio +37,5% rispetto a a un anno fa

20/06/2022

Ancora rialzi per i prezzi dei carburanti. La benzina in modalità self-service oggi ha raggiunto la media di 2,075 euro al litro e il gasolio segna una media di 2,03 euro al litro, mentre in modalità servito la benzina viaggia spedita verso i 2,3 euro al litro (2,276 euro in alcuni impianti).

Il Codacons sottolinea come un litro di verde costa il 28,5% in più rispetto allo stesso periodo del 2021, e per un pieno di benzina occorre sborsare circa 23 euro in più. Va peggio per il gasolio, il cui prezzo sale del 37,5% su base annua con un maggiore costo per il pieno di 27,7 euro.

Considerata un’auto di media cilindrata, una famiglia spende oggi 552 euro in più all’anno per i rifornimenti di benzina, e addirittura +664 euro annui per quelli di gasolio. Senza considerare gli effetti indiretti sui prezzi al dettaglio, ovviamente.

“Siamo in presenza di una emergenza nazionale e il Governo non sembra pronto ad adottare misure di contrasto – afferma il presidente del Codacons, Carlo Rienzi – I rincari delle ultime settimane si registrano nonostante il sensibile calo delle quotazioni del petrolio, oggi attorno ai 112 dollari al barile, a dimostrazione delle speculazioni che interessano i prezzi dei carburanti. Per questo ci siamo rivolti con un esposto all’Antitrust e a 104 Procure della Repubblica di tuta Italia, a attendiamo con fiducia l’apertura di nuove indagini da parte della magistratura volte ad accertare possibili illeciti sui listini alla pompa” – conclude Rienzi.

Stangata Bollette luce e gas 2022: ecco l’entità degli aumenti a tre cifre per le famiglie

07/06/2022 La spesa per luce e gas è aumentata in modo significativo, fino a raggiungere una punta del +142% nel confronto tra 2021 e 2022. Contestualmente, si registra un notevole incremento del risparmio garantito dal Mercato Libero rispetto alla Maggior Tutela: la convenienza aumenta fino al +170%.
Così emerge dal nuovo Osservatorio di SOStariffe.it realizzato in collaborazione con Tariffe.Segugio.it e che “fotografa” lo stato attuale del mercato energetico italiano, analizzando l’evoluzione della spesa per le bollette per tre diversi profili di consumo (Single, Coppia e Famiglia di 4 persone), confrontando la spesa per le bollette del 2022 con quella registrata negli anni precedenti.

Perché l’inflazione in Italia ai massimi dal 1986 fa paura alle famiglie

L’inflazione in Italia è salita ai massimi da 36 anni a questa parte e le famiglie sono scosse per l’aumento vertiginoso dei prezzi al consumo

05 Giugno 2022

La paura dell'inflazione in Italia

Nella primavera del 1986, usciva nei cinema americani “Top gun” con Tom Cruise. Nel nostro Paese, arrivava dopo l’estate. In quei mesi, le classifiche musicali erano capeggiate da Madonna con “Papa, dont’ preach” e spopolava anche Ivana Spagna con “Easy lady”. Perché vi diciamo questo? L’inflazione in Italia è salita a maggio al 6,9%, il dato più alto dal marzo 1986, quando si attestò al 7%. I prezzi al consumo stanno correndo come fossimo negli anni Ottanta, ma ci troviamo nel 2022. E questa non è una differenza di poco conto. La causa di questo male si chiama crisi energetica. Principalmente, è il boom di gas e petrolio a trainare il costo della vita. La brutta notizia è che accadde lo stesso negli anni Settanta e ci volle oltre un decennio per uscire dall’inflazione a doppia cifra.

Inflazione in Italia nell’ultimo mezzo secolo

Se guardiamo all’andamento dei tassi d’inflazione in Italia, scopriamo che in media si attestarono al 13% negli anni Settanta, scendendo solo al 10,5% negli anni Ottanta. Negli anni Novanta, però, registravamo una caduta al 3,9% scarso. Nel primo decennio del Duemila, ancora più giù: +2,1% in media all’anno. Sembrò che avessimo toccato il fondo, mentre nel secondo decennio al 2019 l’inflazione in Italia fu in media dell’1%.

Invece, tra inizio 2020 e oggi, i prezzi al consumo sono aumentati nel nostro Paese a un ritmo medio annuo del 3%. Questa brusca accelerazione, che per il vero è avvenuta nell’ultimo anno dopo una fase di quasi deflazione sotto la pandemia, colpisce ancora più negativamente le famiglie italiane, perché non più abituate da circa trenta anni ad avere a che fare con prezzi instabili. Non solo. Negli anni Ottanta, il salario medio di un operaio crebbe al ritmo medio del 12% all’anno, cioè sopra l’inflazione.

Non era stato così nel decennio precedente, quando era cresciuto in media dell’11%, cioè un paio di punti in meno dell’inflazione in Italia.

Redditi giù, rischio malcontento

Sarà un caso, ma gli anni Settanta si caratterizzarono per scioperi, tensioni sociali, malcontento diffuso e terrorismo. Gli anni Ottanta furono di quiete e riscoperta della vita mondana culminata nella “Milano da bere”. Oggi, invece, abbiamo stipendi che stanno perdendo potere d’acquisto al ritmo medio del 6% su base annua. Tantissimo. Non è sostenibile, a meno di non assistere a un tracollo dei consumi come raramente accaduto nella storia economica recente. Oltretutto, veniamo da decenni di scarsi progressi proprio sul fronte salariale. Tra il 1990 e il 2020, i redditi dei lavoratori in termini reali risultano diminuiti del 3%.

La stagnazione secolare che ha paralizzato l’economia italiana negli ultimi trenta anni rischia di essere inasprita dall’alta inflazione. Finché i prezzi erano rimasti stabili, la mancata crescita dei redditi era risultata quasi sopportabile, pur alla lunga destabilizzante sul piano sociale, demografico ed economico stesso. Ma adesso che l’inflazione in Italia ha ripreso a correre, redditi fermi implicano minori possibilità di consumare. Gli standard di vita rischiano di peggiorare in fretta e di sfociare in una nuova ondata di malcontento.

Referendum reddito di cittadinanza, il sussidio rischia di essere abolito presto?

Il partito di Matteo Renzi ha avviato la raccolta firme per celebrare il referendum per l’abolizione del reddito di cittadinanza

29 Maggio 2022  

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Italia Viva di Matteo Renzi ha annunciato che dal 15 giugno inizierà la raccolta firme per l’abolizione del reddito di cittadinanza tramite referendum. L’iniziativa dell’ex premier non è un fulmine a ciel sereno per la politica italiana. Da sempre, egli ha ostentato contrarietà rispetto a un sussidio, che in molti ritengono stia disincentivando al lavoro, specie tra i più giovani. La misura è fortemente difesa dal Movimento 5 Stelle, che ne fu l’ideatore con il primo governo Conte, quello “giallo-verde” in alleanza con la Lega. Ma negli ultimi tempi, anche Matteo Salvini si mostra contrario al reddito di cittadinanza, che nel 2019 digerì solamente come moneta di scambio per ottenere quota 100 sulle pensioni.

L’iter ad ostacoli della raccolta firme

I beneficiari del sussidio staranno tremando all’idea che presto possa essere abolito. E’ davvero così? L’art.75 della Costituzione prevede la possibilità di indire referendum abrogativi di leggi, ad eccezione di quelle di bilancio, tributarie, su indulto, amnistia e autorizzazioni a ratificare trattati internazionali. Allo scopo, è necessario raccogliere almeno 500.000 firme nell’arco di massimo 90 giorni. E queste vanno presentate alla Corte di Cassazione, superato il vaglio della quale sarà la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla legittimità della richiesta.

La Costituzione rimanda a una legge dello stato per disciplinare la materia ed essa ad oggi permette il deposito delle firme in Cassazione dall’1 gennaio al 30 settembre di ogni anno, ad eccezione dell’anno che precede le elezioni politiche e nei sei mesi successivi ad esse. Poiché la scadenza naturale della legislatura si ha nella primavera del prossimo anno, risulta che non sia possibile presentare le firme raccolte per tutto quest’anno e neppure il prossimo.

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Al più presto, Renzi potrebbe depositarle nel 2024 e con ogni probabilità il referendum per abolire il reddito di cittadinanza si celebrerebbe tra il 15 aprile e il 15 giugno del 2025.

Abolizione del reddito di cittadinanza non immediata

Dunque, la raccolta firme dei renziani serve semplicemente a fare campagna elettorale. Del resto, se solo i partiti volessero realmente abolire il reddito di cittadinanza, basterebbe che lo facessero in Parlamento. Senza il Movimento 5 Stelle, unica formazione strenuamente a favore del sussidio, circa i due terzi di Camera e Senato sarebbero in grado di votare contro. Se non accade, è perché i “grillini” servono a garantire stabilità al governo Draghi fino a fine legislatura e perché, ad essere onesti, nessuno vuole inimicarsi sotto elezioni una fetta considerevole dell’elettorato, concentrato nel Meridione.

Il PD non potrebbe prendere posizione ufficiale contro il reddito di cittadinanza, in quanto punta ad allearsi con i 5 Stelle alle prossime elezioni. Il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi ha assunto una posizione sorprendentemente non pregiudiziale pochi mesi fa. Sarà stata pure tattica, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica, ma tant’è. Come possiamo capire, la strada per l’abolizione del sussidio si rivela più lunga di quanto immaginiamo. C’è ad oggi solo una corsa dei partiti a posizionarsi con finalità elettoralistiche sul tema assai divisivo. Di concreto, però, c’è nulla.

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La Commissione europea boccia Draghi sui conti pubblici e chiede la stangata sulle case

I commissari scrivono che l’Italia non contiene la spesa corrente e sui conti pubblici paventano l’apertura della procedura d’infrazione

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 24 Maggio 2022 alle ore 06:33

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Il Patto di stabilità rimarrà sospeso anche per tutto il 2023, ma l’anno prossimo la Commissione europea si riserva il diritto di aprire la procedura d’infrazione per deficit eccessivo a carico di alcuni paesi. Una doccia fredda che certamente non si attendeva il premier Mario Draghi, perché nel mirino dei commissari vi sono i conti pubblici italiani. A loro dire, infatti, il nostro Paese non starebbe contenendo la spesa pubblica corrente. Ed ecco le richieste di Bruxelles a Roma: avanti con le riforme previste dal Pnrr, tra cui particolarmente quella fiscale. Bisogna, anzitutto, spiega la Commissione, portare i valori catastali in linea con quelli di mercato. Per l’Europa, l’Italia continua a mostrare uno squilibrio macroeconomico eccessivo, a causa del suo elevato debito pubblico e della debole competitività. Ma il commissario agli Affari monetari, Paolo Gentiloni, si è affrettato a rassicurare che non vi sarebbe alcuna richiesta europea di innalzare la tassazione sulle case.

La Commissione vuole più tasse sulla casa

Sarà che Gentiloni creda che gli italiani abbiano così scarse capacità intellettive da non capire che aumentare i valori catastali significa automaticamente tassare di più le case. A meno di non ridurre proporzionalmente le aliquote IMU, un fatto che non eviterebbe comunque la stangata a carico di alcune famiglie. Il gettito nel migliore dei casi rimarrebbe invariato nel suo complesso, ma alcuni pagherebbero certamente di più e altri di meno (molto improbabile). E i valori catastali incidono sulla determinazione di una serie di imposte, oltre che dei redditi ISEE.

Insomma, Draghi è stato bocciato sui conti pubblici, che sarebbero dovuti essere il suo fiore all’occhiello. Non si sarebbe mostrato in grado di contenere la spesa corrente, cioè quella slegata da fattori eccezionali come pandemia e guerra.

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E come dare torto ai commissari, se è vero che spese come il reddito di cittadinanza sono state aumentate. Per non parlare della patologia dei bonus, che con l’attuale governo non è affatto venuta meno. Tutt’altro.

Torna l’attenzione sui conti pubblici

Ma non sarà quasi certamente Draghi a raccogliere la sua stessa eredità. Tra un anno al massimo, le elezioni politiche decreteranno la nascita di un nuovo governo. E possiamo stare certi che i toni dell’Unione Europea, complice la fine (si spera) della pandemia e della guerra (si spera anche questo), muteranno. Mentre la BCE dovrà restringere le condizioni monetarie per contrastare l’alta inflazione – Christine Lagarde ha parlato di uscita dai tassi negativi “entro settembre” – la Commissione tornerà a pretendere il rispetto delle regole fiscali. Non saranno verosimilmente quelle pre-Covid, sebbene non siano state ancora riformate. Ma pare di capire che i commissari assegneranno obiettivi specifici a ciascun paese, violati i quali si aprirebbe la procedura per deficit eccessivo.

All’Italia sarà con ogni probabilità richiesto il rientro dall’alto rapporto debito/PIL. La discesa appare al momento facile per via dell’elevata crescita del PIL nominale. Ma dall’anno prossimo le cose si complicherebbero. Le stime della stessa UE parlano di una crescita dell’Italia dell’1,9%. Per abbassare il rapporto almeno di un paio di punti percentuali, ci servirà confidare nell’inflazione, che non è certo un bene per l’economia italiana. La pacchia sta per finire, anzi i mercati ci segnalano che sia già finita. Se non ci fosse Draghi a Palazzo Chigi, staremmo gridando all’allarme spread da mesi

Benzina vicina ai 2 euro, gas e petrolio alle stelle: consumatori in un incubo

La benzina a 2 euro è un brutto presagio per gli italiani, costretti a subire il boom dei prezzi di petrolio e gas. Portafogli svuotati.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 06 Febbraio 2022 alle ore 16:19

Benzina quasi a 2 euro al litro

Come un brutto sogno senza che ci si riesca a svegliare. La benzina è salita in prossimità di 2 euro al litro in Italia, mentre alcune stazioni di servizio hanno già aggiornato i prezzi oltre tale soglia per la modalità servito. Su base annua, i rincari si aggirano intorno al 25% ed equivalgono a quasi 400 euro in più per le tasche degli automobilisti.

E la corsa dei prezzi non sarebbe finita. Questa settimana, la quotazione del petrolio ha segnato nuovi record, salendo sopra 92 dollari al barile per il Brent, ai massimi dal 2014. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il balzo è del 50%. Ancora peggio va al gas, la cui quotazione in Europa sostava l’altro ieri a 82 euro per megawatt-ora, implicando un aumento tendenziale di oltre il 350%. Completa la raffica di cattive notizie il boom anche dei prezzi delle emissioni di CO2 scambiate sul mercato Ets. Hanno segnato un ennesimo record sopra i 94 euro per tonnellata, qualcosa come il +152% anno su anno.

L’Unione Europea impone a oltre 11.000 aziende un tetto massimo alle emissioni inquinanti. Superato il limite consentito, le aziende possono continuare ad inquinare solo acquistando tonnellate di CO2 sul mercato da chi evidentemente riesce a stare al di sotto della soglia. Di anno in anno, questa si abbassa per costringere i produttori a disinquinare. Il risultato di questi mesi è sotto gli occhi di tutti: le subitanee politiche ambientaliste “gretine” stanno facendo esplodere i prezzi agli Ets, ripercuotendosi sui prezzi dei beni prodotti.

Benzina a 2 euro e malessere generale

La situazione è drammatica. In settimana, i vetrai di Murano sono state costrette a fermare la produzione a causa dell’esplosione dei prezzi di luce e gas.

Un problema particolarmente avvertito dal comparto siderurgico, dove numerose piccole aziende che fondono e lavorano l’acciaio da settimane hanno lamentato l’impossibilità di tenere il passo con il caro bollette. Si tratta di realtà energivore, che hanno bisogno di parecchia energia elettrica per produrre e che non riescono più a sostenerne i costi.

La benzina a 2 euro è la spia di un malessere ben più generale rispetto a quello che sta colpendo i soli automobilisti. E a sua volta, esso si ripercuote sui costi di trasporto su gomma, accelerando il tasso d’inflazione. Una dinamica nota da sempre e che pensavamo di esserci messi alle spalle dopo un lungo decennio di prezzi stabili. Gli autotrasportatori chiedono al governo interventi per mitigare il caro carburante. Peraltro, il prezzo media di un litro di benzina è schizzato a 1,85 euro. Di questi, 1,06 euro sono tasse, il 57,4%. Parliamo delle accise per 72,84 centesimi e dell’IVA per i restanti 33 centesimi e rotti. Insomma, lo stato ha precise responsabilità dietro al carovita. La sua ingordigia lo spinge a segare l’albero su cui sta seduto, credendo erroneamente di fare un affare stangando i consumi di carburante. Questi gli fruttano sui 35 miliardi di euro all’anno tra accise e IVA, quasi 2 punti di PIL.

Una via d’uscita immediata non esiste. Hai voglia ad invocare l’energia nucleare per sopperire alla dipendenza storica dell’Italia verso l’estero. Se tutto andasse bene, i primi risultati li avremmo tra una ventina di anni, avendo smantellato le centrali nucleari dalla fine degli anni Ottanta. La crisi ucraina aggrava lo scenario. La Russia sta volutamente fornendo meno gas all’Europa per tenerci sulle spine e lontani dai proclami bellici di Washington sul rischio di un’occupazione di Kiev da parte di Mosca. La Germania ha sinora reagito bloccando l’autorizzazione a favore di Nord Stream 2, il gasdotto con cui la Russia porterebbe il gas nel continente attraverso il Mare Baltico. E la tensione geopolitica sostiene anche il petrolio e finisce per soffocare consumi e ripresa economica dopo la pandemia.

Bollette: previsti aumenti tra 770 e 1.200 euro a famiglia nel 2022, rischio effetto cascata

28/12/2021

L’aumento delle bollette di luce e gas, oltre ad aggravare la spesa energetica delle famiglie, provocherà una ondata di rincari di prezzi e tariffe a danno dei consumatori, determinando una stangata, a parità di consumi, pari a circa +1.200 euro a nucleo familiare nel corso del 2022. Lo afferma il Codacons, commentando i dati forniti oggi da Nomisma Energia.

“Condividiamo l’allarme lanciato da Nomisma, ma ai dati forniti dall’istituto occorre aggiungere gli effetti indiretti degli aumenti delle bollette di luce e gas – spiega il presidente Carlo Rienzi – Attività produttive, negozi e imprese dovranno adeguare i propri listini al pubblico per sostenere i maggiori costi energetici a loro carico e non fallire, scaricando i rincari di luce e gas su prezzi e tariffe”.

Una situazione che determinerà una ondata di aumenti in tutti i settori, dalla ristorazione agli alimentari, dai servizi al turismo, con effetti diretti sul tasso di inflazione e, conseguentemente, sulle tasche delle famiglie.

In base alle stime del Codacons, gli aumenti delle bollette di luce e gas manterranno l’inflazione attorno al 3% nel corso del 2022, causando una stangata per gli italiani pari in media a +1.197 euro annui a famiglia. Una situazione particolarmente pericolosa perché, a fronte dell’ondata di rincari in arrivo, le famiglie reagiranno contraendo i consumi, con immensi danni per l’economia nazionale.

La domanda che mi sono posto guardando questo video non credendo da tempo alla casualità degli eventi è stata : Perchè il nostro Governo vuole aspettare Aprile? AUMENTI GAS E LUCE STRATOSFERICI ED AIUTI ALLE FAMIGLIE? IL GOVERNO VUOLE ASPETTARE APRILE!

Bollette: stangata di inizio anno? Possibile un rincaro di oltre 370 euro in un anno

22/12/2021

Possibile stangata di inizio d’anno per luce e gas. Se nel primo trimestre del 2022 il costo della materia energia aumenterà nella stessa misura in cui è aumentato nell’ultimo trimestre 2021, tra luce e gas l’aggravio sulle bollette sarà di oltre 216 euro rispetto agli ultimi mesi del 2021 e addirittura di oltre 370 euro rispetto al primo trimestre 2021, secondo le simulazioni di Facile.it.

“Sebbene in assenza di indicazioni precise su come verranno impiegati i fondi destinati a calmierare gli aumenti sia molto difficile formulare previsioni troppo precise – affermano gli esperti del comparatore – basandoci sul recente passato abbiamo potuto calcolare con buona approssimazione gli impatti sui costi che le famiglie italiane dovranno affrontare per pagare il conto di gas ed energia elettrica”.

La simulazione ha preso come campione una famiglia tipo residente a Milano, con consumo di gas naturale pari a 1.400 smc e, per l’energia elettrica, con consumo pari a 2.700 kWh con una potenza impegnata di 3 kW, tenendo conto sia dell’ormai probabile intervento del Governo, sia dell’annunciato abbassamento al 5% dell’Iva sul gas, sia simulando l’azzeramento degli oneri di sistema di luce e gas che già erano stati introdotti qualche mese fa.

Una patrimoniale sulla casa nel nome dell’ambiente, ecco come

Ecco come il governo italiano finirebbe per imporre una patrimoniale sulle case senza neppure dichiararlo e dietro la maschera ambientalista

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 14 Dicembre 2021 alle ore 07:38

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Oggi, la Commissione europea dovrebbe presentare la direttiva con cui intende rivoluzionare il mercato immobiliare continentale per ragioni ambientali. Uno scoop de Il Messaggero della settimana scorsa ha anticipato le linee guida, in base alle quali dal 2033 non sarebbe possibile vendere o affittare un immobile di classe energetica inferiore a C. La riforma entrerebbe in vigore gradualmente dal 2027 (2030 per i condomini). Solo se l’acquirente nel caso di compravendita o del proprietario nel caso di locazione s’impegnassero ad adeguare l’immobile agli standard energetici previsti entro tre anni, l’operazione sarebbe consentita.

E’ evidente che una siffatta direttiva impatterebbe molto negativamente sul mercato immobiliare italiano, dove una larga percentuale di abitazioni rientra nelle classi energetiche più basse, molte in G, la più bassa di tutte. Il loro valore di mercato si azzererebbe, mentre le banche smetterebbero di erogare denaro dietro la garanzia degli immobili fuori standard e a loro volta si ritroverebbe in pancia molte ipoteche dal valore nullo. Una tragedia socio-economica, insomma.

Verso una patrimoniale “gretina”

E una delle conseguenze di questa follia sarebbe la possibile introduzione di una patrimoniale mascherata nel nome dell’ambiente. Il governo Draghi intende varare la riforma del catasto con effetto a decorrere dal 2026. L’intento consiste nell’adeguare i valori catastali, fermi alla fine degli anni Ottanta, a quelli di mercato. Poiché ciò significherebbe in media raddoppiarli, ai fini impositivi i contribuenti subirebbero una stangata fiscale.

Con la direttiva UE contro gli immobili di bassa classe energetica, si arriverebbe a una vera e propria patrimoniale ai danni delle fasce socialmente più deboli della popolazione: i valori catastali sarebbero adeguati a valori di mercato aumentati solo sulla carta, ma che nei fatti a seguito della direttiva crollerebbero.I proprietari pagherebbero una montagna di tasse, pur detenendo immobili senza valore.

C’è di più: il governo italiano potrebbe approfittare della palla al balzo passatale dalla Commissione europea e sfruttare l’isteria ambientalista per imporre una patrimoniale su tutte le abitazioni sotto una data classe energetica. Che si tratti di prima o di seconda casa, tutti i proprietari di immobili di classe inferiore alla C (?) dovrebbero pagare annualmente un’imposta nel nome dell’ambiente. Bruxelles sarebbe accontentata, dato che chiede da anni all’Italia di aumentare la tassazione degli immobili, eliminando l’esenzione fiscale per le prime case. E Roma non perderebbe la faccia: non ripristinerebbe l’IMU sulle prime case, ma semplicemente un balzello contro quelle che inquinano.

Oltre al caro-bolletta, c’è anche il caro-caffè: prezzi al record in dieci anni (+85%). Tazzina al bar diventerà un lusso?

Annotazione 2021-12-01 163159

Inflazione: 1 italiano su 2 taglia carrello spesa, è allarme su aziende agricole

19/11/2021

Oltre un italiano su due (52%) taglia la spesa nel carrello a causa dell’aumento dei prezzi che va ad aggravare una situazione resa già difficile dalla pandemia e dal riacutizzarsi dei contagi che mettono a rischio anche il Natale. E’ quanto emerge dai risultati di un sondaggio sul sito http://www.coldirett.it diffuso in occasione della XIX edizione del Forum Internazionale dell’Agroalimentare in programma a Roma.

A causa delle fiammate inflazionistiche il 36% degli italiani dichiara di aver ridotto la quantità degli acquisti, mentre un 16% si è orientato verso prodotti low cost, rinunciando alla qualità – spiega Coldiretti – e solo un 48% di cittadini non ha modificato le abitudini di spesa. Un fenomeno che evidenzia come l’effetto dei rincari record dei costi energetici si trasferisca a valanga lungo tutta la filiera alimentare. E non solo.

Oltre che sul carrello la scure dei rincari – spiega Coldiretti – si abbatte, infatti, sulle aziende agricole messe sotto pressione dall’incremento congiunto di gas, carburanti, energia elettrica, plastiche e trasporti. Il rischio concreto, afferma l’associazione, è che molte aziende agricole scelgano di fermare la coltivazione dei terreni per timore di non riuscire a coprire neppure i costi di produzione, con ripercussioni sulla capacità di autoapprovvigionamento alimentare nazionale.

Grano: Codacons, +10% i prezzi del pane. A Trento la pagnotta più cara fino a 6,4 euro al Kg

03/11/2021

Volano i prezzi al dettaglio del pane, con rincari medi del +10% in Italia e fortissime differenze sul territorio. Lo afferma il Codacons, che segnala come la spesa degli italiani per il pane risulti in forte crescita a causa dei rincari delle materie prime, e salirà complessivamente di +690 milioni di euro su base annua.

Le quotazioni record del grano stanno avendo ripercussioni dirette sui listini al dettaglio del pane, con i prezzi che risultano oggi più cari mediamente del 10% rispetto ad inizio anno – spiega il Codacons – Analizzando i dati Istat relativi alla spesa media mensile degli italiani per tale alimento, i rincari dei listini produrranno, a parità di consumi, un aggravio di spesa pari in media a +26,5 euro annui a famiglia solo per l’acquisto di pane, una stangata per la totalità delle famiglie italiane pari a +690 milioni di euro annui.

I prezzi di questo prodotto in Italia sono fortemente diversificati sul territorio – prosegue il Codacons – A Milano un kg di pane arriva a costare 6 euro al kg, a Trento raggiunge addirittura i 6,4 euro al kg, mentre a Perugia non supera i 2,8 euro al kg, 3 euro/kg a Catanzaro.

inflazione

Fino a +70% prezzi frutta e rischio stangata anche per caffè al bar, latte e vini. Anche settore alimentare paga crisi materie prime e caro-energia

21/10/2021

Il caro-energia e l’aumento generale dei prezzi delle materie prime sta avendo ripercussioni dirette sui prezzi al dettaglio dei prodotti alimentari, con una moltitudine di rincari che in questi giorni si stanno registrando nei banchi di mercato, supermercati e negozi alimentari. L’associazione dei consumatori Consumerismo No Profit, ha stilato una stima degli incrementi dei listini al dettaglio con frutta e verdura che sono i generi alimentari che stanno subendo i rincari più pesanti. “I maggiori costi della logistica, tra caro-energia e carburanti alle stelle, unitamente a problemi meteorologici, hanno prodotto aumenti dei listini che raggiungono il +70% per le banane, +60% per i funghi, +35% per le patate, +25% pere e zucche”, rimarca Consumerismo.

“Le conseguenze dell’impazzimento del clima si fanno sentire, la prolungata siccità ha devastato le produzioni ortofrutticole la scorsa estate e continua a far sentire oggi i suoi effetti. L’andamento anomalo del meteo incide sia sui prezzi dei derivati dei cereali come pasta, pane, farine ma anche indirettamente sul prezzo delle carni, perché se i cereali destinati all’allevamento sono meno disponibili anche il prezzo delle carni sarà condizionato. L’economia odierna vive di strette relazioni che influenzano settori produttivi apparentemente lontani” – spiega il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele.

Sui mercati ortofrutticoli all’ingrosso, inoltre, si registrano sensibili rialzi su base annua per carote (fino al +25% su Roma), cachi (+68% Torino), cavoli (+20% Roma), cicoria (+43% Bologna), castagne (+22% Roma).

Le tensioni nel settore delle materie prime, a partire dalle farine, hanno determinato poi incrementi del +10% nel prezzo del pane nelle principali città italiane e sino al 30% sulla pasta, mentre rincari medi del +5% si registrano per latte e carne.

A rischio rincari anche vini e bevande, a causa dei maggiori costi di imbottigliamento legati agli incrementi di vetro, carta, legno, mentre la pausa caffè potrebbe diventare un salasso: il costo della tazzina al bar potrebbe presto raggiungere quota 1,50 euro, a causa dei maggiori costi in capo agli esercenti e dei rincari delle miscele il cui prezzo è cresciuto del 20% da inizio anno. “Una ondata di rincari che avrà effetti sull’inflazione e impoverirà le tasche delle famiglie – in particolare quelle meno abbienti – trattandosi di beni primari di cui i consumatori non possono fare a meno – afferma il presidente Luigi Gabriele – Ma le conseguenze saranno negative per l’intera economia, perché le famiglie reagiranno ai rincari e alla perdita del potere d’acquisto riducendo i consumi con effetti pesanti sulla ripresa economica del paese”.

RALLY ENERGIA: prezzi insostenibili per l’economia italiana

Scritto il 4 Novembre 2021 alle 11:11 da Marco Dal Prà

GUEST POST: abbiamo letto tutti del rally energetico degli ultimi mesi. Ma quale sarà l’impatto sull’economia italiana?

Fallimento. E’ il rischio che si profila per imprese e famiglie italiane se i prezzi di elettricità e gas si stabilizzeranno sui livelli a dir poco esorbitanti preannunciati a settembre. Nessuno lo ha detto, ma la nostra economia non è concepita per funzionare con l’elettricità ad un prezzo maggiore del 60% di quello che abbiamo avuto mediamente negli ultimi 10 anni. O almeno può farlo se ha il tempo di adattarsi.

Ma attualmente non hanno lo spazio per gestire aumenti di questa entità né gli stipendi né i bilanci delle aziende.

E’ la convinzione a cui sono arrivato dopo una telefonata che ho avuto con un dirigente d’azienda del nordest nei giorni scorsi. Mi raccontava, tra l’inorridito ed il disgustato, quasi con un rifiuto di trattare l’argomento, che nella fattura di settembre dell’energia elettrica ha trovato un prezzo medio di 24 centesimi di Euro per chilowattora, contro i 15 che pagava in precedenza. Cioè un aumento del 60%.

Aziende: e dove trovano i fondi?

Ma dove trova una azienda i fondi in bilancio per pagare questi aumenti? Senza contare che all’appello manca la bolletta del gas.

E’ un problema di una vastità mai vista. Un problema per il quale non possiamo fare la politica degli struzzi, anche se i media non ne parlano; aumenti di questo genere incideranno in modo pesante nei costi di produzione di qualunque bene e si vedranno anche nei generi di prima necessità. A parte l’incidenza energetica di luce e gas nei processi di produzione, che solitamente sono lontani dalle nostre case, proviamo a fare un esercizio pensando semplicemente ai negozi che trattano generi alimentari deperibili: i prodotti come latticini, surgelati, carni, ortaggi, pesce e quant’altro che debba stare dentro frigoriferi saranno i primi a subire gli aumenti dell’energia elettrica.

E così le famiglie italiane, oltre a trovare una bella sorpresa nelle bollette di luce e gas, in breve tempo vedranno ridotto il loro potere d’acquisto tra i banchi dei supermercati. Una doppia mazzata.

E siamo solo all’inizio perché nella borsa italiana dei prodotti energetici (il GME, link qui ), la tenenza al rialzo di elettricità e gas non sembra essersi del tutto calmata.

Volano i prezzi all’ingrosso dell’energia

Tanto per fare qualche esempio, il prezzo dell’elettricità all’ingrosso è passato da una media di 5 centesimi al chilowattora (kWh) che si è vista negli ultimi dieci anni, a circa 20 centesimi che stiamo vedendo in questi giorni. Un aumento vertiginoso che si è scatenato soprattutto durante l’estate e che si farà sentire in modo pesantissimo su tutta l’economia nazionale, compresi ad esempio treni e tram. Nel mercato del gas metano le cose non sono andate altrettanto meglio dove nello stesso arco di tempo il prezzo è passato dai 20 ai 70 €.

Di certo un problema per le imprese esportatrici, che vedranno calare la propria competitività già compromessa dall’aumento dei costi dei trasporti, soprattutto marittimi.

Ma anche per chi si rivolge sul mercato interno non sarà una passeggiata, dato che la raffica di aumenti sui beni di prima necessità affosserà i prodotti meno necessari. Senza contare che il gas è usato anche in molti processi industriali, compresi quelli dell’industria alimentare, per i quali ci sarà l’impatto degli aumenti di entrambe le fonti energetiche.

Altro discorso da fare è l’impatto degli aumenti del prezzo del gas sugli impianti di riscaldamento. Ad esempio, cosa succederà questo inverno quando arriveranno le fatture del riscaldamento agli amministratori di condominio ? Avranno in cassa scorte sufficienti per far fronte al +15% prospettato a settembre ? E gli anziani con la pensione minima come faranno a pagare le “rinnovate” bollette del gas senza che la pensione gli venga adeguata?

Sono domande pertinenti che non hanno risposta, visto che nessuno si è degnato di mettere in guardia i cittadini del problema e renderli coscienti di quanto si troveranno davanti nei prossimi mesi, tranne il comunicato dell’autority (link qui).

Qualcuno mi accuserà di pessimismo, ma è pura illusione pensare che un aumento del 60% dell’energia elettrica e del 350% del gas non avrà ripercussioni sul funzionamento delle imprese e sulla vita degli italiani.

Il rischio, se il trend di aumento dei prezzi continuerà, è di portare i paesi europei sull’orlo del collasso con conseguenti disordini di natura sociale. La gente infatti non accetterà di veder compromesso il proprio stile di vita da un giorno all’altro, senza alcun minimo preavviso, tanto meno di stare al buio o al freddo per colpa di una classe politica che non ha sorvegliato il mercato e che non ha mosso un dito, nemmeno in ambito europeo, per difendere le aziende e soprattutto i propri cittadini.

Commodity: prezzi YTD

A proposito, dimenticavo un’ultima cosa.

Lasciare esplodere i prezzi dei futures sui prodotti energetici e dei certificati europei sulla CO2 senza correre ai ripari è, a dir poco, cosa delinquenziale.

La colpa di questi aumenti infatti non è della transazione verde, dei cambiamenti climatici, o altre amenità del genere, ma semplicemente nell’incompetenza della nostra classe politica.

E quel che è peggio, è che governa spacciandosi per salvatore della patria

Canone Rai troppo basso e va esteso ai cellulari. Il nuovo ad Fuortes prepara la stangata

13/10/2021

Fanno clamore le dichiarazioni del nuovo amministratore delegato della RAI, Carlo Fuortes. Nel corso dell’audizione davanti ai deputati e senatori della Commissione di Vigilanza Rai, il massimo dirigente della tv di Stato ha affermato che il canone Rai andrebbe esteso anche alle persone che usano cellulari e tablet per guardare la tv, senza avere un televisore in casa. A detta di Fuortes questa misura non avrebbe un impatto immediato sulle tasche degli italiani in quanto è esiguo il numero di persone che guardano la Rai dai device senza avere un televisore in casa. “Il problema è il futuro quando questa modalità di visione si affermerà sempre di più”, ha precisato Fuortes.

Il nuovo ad della Rai si è anche soffermato sull’entità del canone (90 euro), ritenuta “incongrua” se si guarda agli altri paesi. Fuortes ha citato paesi quali la Francia dove il canone ammonta a 138 euro, la Gran Bretagna (185 Euro), la Germania con 220 euro e la Svizzera in testa con ben 312 euro.

Lavoro: perse 302mila Partite Iva a causa del Covid

11/10/2021

Dal febbraio 2020, mese pre Covid, allo scorso agosto, ultima rilevazione disponibile, il numero complessivo dei lavoratori indipendenti è sceso di 302 mila unità (-5,8 per cento). Nello stesso periodo, invece, i lavoratori dipendenti sono diminuiti di 89 mila (-0,5 per cento). Insomma, in un anno e mezzo il Covid ha messo a dura prova il mondo del lavoro italiano, anche se a pagarne le conseguenze è stato, in particolar modo, il cosiddetto popolo delle partite Iva. A denunciarlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Ai tradizionali problemi che da sempre assillano le micro imprese (tasse, burocrazia, mancanza di credito, etc.), le chiusure imposte per decreto, le limitazioni alla mobilità, il crollo dei consumi delle famiglie e il boom dell’e-commerce registrati in questo ultimo anno e mezzo hanno peggiorato la situazione di tanti autonomi che sono stati costretti a chiudere definitivamente la propria attività. Queste micro realtà, ricordiamo, vivono quasi esclusivamente di domanda interna, legata al territorio in cui operano. Solo nel 2020, in Italia i consumi delle famiglie sono scesi di circa 130 miliardi di euro, soldi che in gran parte alimentavano i ricavi delle piccolissime attività che, a seguito di questa contrazione, non sono più riuscite a far quadrare i propri bilanci.

Riforma Catasto: Confedilizia, è già chiaro il finale del film

di Giorgio Spaziani Testa, presidente Confedilizia 5 Ottobre 2021

Secondo le anticipazioni di stampa, oggi il Governo includerà nel disegno di legge delega sulla riforma fiscale anche un intervento sul catasto.

La prima considerazione da fare è che questa scelta si pone in palese contraddizione con un documento approvato solo la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri, la Nadef.

In esso, infatti, si legge che la riforma fiscale deve avere come base la relazione di indirizzo approvata dalle Commissioni Finanze del Senato e della Camera lo scorso 30 giugno. Ma in tale testo le forze di maggioranza convennero – dopo un lungo ciclo di audizioni e un ampio confronto fra i partiti – di non inserire un invito ad intervenire sul catasto; era infatti risultata minoritaria la posizione favorevole a includere tale indicazione. La decisione del Parlamento, pertanto, risulterebbe clamorosamente calpestata.

La seconda osservazione è anch’essa di natura politica.

Ben due partiti di maggioranza – Lega e Forza Italia – si sono dichiarati fino a ieri sera contrari a qualsiasi ipotesi di intervento sul catasto. Logica vorrebbe, dunque, che queste forze agissero in modo conseguente in seno all’Esecutivo, impedendo tale esito (che vede la netta contrarietà, oltre che di Confedilizia, di Confcommercio e di tutte le associazioni degli agenti immobiliari).

Nel merito, in assenza di testi o di indicazioni precise, poco può essere detto, se non commentare le dichiarazioni rilasciate dal Presidente del Consiglio in conferenza stampa qualche giorno fa. Due, in particolare.

La prima è quella secondo la quale «nessuno pagherà di più e nessuno pagherà di meno». Che cosa vuol dire? Rivedere gli estimi catastali e ottenere quel risultato è, evidentemente, impossibile, anche considerati i diversi tributi interessati (Imu, Irpef, imposta di registro, imposta di successione), oltre ai parametri Isee per le prestazioni sociali. Significa, allora, che il nuovo catasto non si applicherà subito? Se il senso dell’affermazione è questo, è evidente che l’appuntamento con i rialzi – prima casa inclusa – è solo rinviato.

L’altra affermazione è quella che si tratterà di «una delega molto generale, che prepara il contesto per i futuri decreti delegati, che sono quelli dove si farà la riforma del fisco». Nulla di più preoccupante. Come è evidente a chiunque, infatti, più la delega è «generale», maggiore è la libertà che il Governo (leggasi Agenzia delle entrate) potrà avere in sede di predisposizione dei decreti delegati. E il Parlamento che ci sta a fare?

Le misure di cui il settore immobiliare ha urgente bisogno sono ben altre, in primis una riduzione dell’imposizione patrimoniale, triplicata dal 2012, e adeguati sgravi per gli affitti commerciali. Ma da un mese a questa parte si parla solo di catasto e della necessità di dare seguito alle richieste della Commissione europea. La quale – è bene evidenziarlo – nei suoi documenti indica espressamente l’aumento della tassazione sugli immobili quale obiettivo dell’aggiornamento degli estimi catastali da essa richiesto. È chiaro il finale del film?

Stangata per le auto a metano, costo di un pieno raddoppia e annulla vantaggi della scelta

04/10/2021

L’aumento record del metano si ripercuote in maniera non indifferente sui proprietari di auto alimentate a metano, che da un lato subiscono un incremento dei costi dei rifornimenti vedendo così annullati i vantaggi legati alla scelta del veicolo a metano. “Oggi un pieno ad un auto a metano arriva a costare oltre il doppio rispetto a inizio anno – spiega il Codacons – Lo scorso gennaio il prezzo medio nazionale del metano era pari a 0,981 €/kg, mentre oggi in alcuni distributori supera i 2 euro al kg: questo significa che il costo di un pieno ad un’auto a metano passa da una media di 13,7 euro al record di 28 euro, con un incremento di oltre il 104%”.

“Un rincaro che rischia di annullare del tutto i vantaggi economici per chi ha scelto l’auto a metano – prosegue Carlo Rienzi, presidente del Codacons – Tale tipologia di carburante, infatti, se da un lato consente di percorrere 100 km spendendo la metà rispetto al diesel, dall’altro impone costi di manutenzione delle auto sensibilmente più elevati rispetto ai veicoli tradizionali. Costi che ora vanno ad aggiungersi a prezzi alla pompa praticamente raddoppiati rispetto al passato, di fatto annullando i vantaggi per gli automobilisti legati al possesso di un’auto a metano”.

batosta

Bollette: il bonus di Draghi non basta, stangata sempre più vicina

L’eliminazione degli oneri di sistema non risolve il problema. I rialzi prospettati dal governo sono decisamente più alti.

di Pietro Pisello , pubblicato il 24 Settembre 2021 alle ore 08:27

Il governo sta discutendo un nuovo decreto che consentirà di mitigare gli aumenti delle bollette.

La misura, già ribattezzata bonus bollette, permetterà l’eliminazione, per l’ultimo trimestre dell’anno, degli oneri di sistema del gas e dell’elettricità per famiglie e piccole imprese. Lo ha afferma di recente il premier Mario Draghi, Intervenuto all’assemblea di Confindustria.

Il problema è che cancellare gli oneri di sistema non è sufficiente ad eliminare il problema dei rincari. I rialzi previsti sono decisamente superiori. Di recente, ne ha parlato anche l’Unione Nazionale Consumatori. Ecco cosa sta succedendo.

Bollette: gli interventi del governo non basteranno. Stangata sempre più vicina

L’eliminazione degli oneri di sistema, seppur auspicata, non è risolutiva. I rialzi prospettati dal governo (tra il 40% e il 30% del prezzo complessivo della bolletta), sono decisamente più alti, è quanto appena dichiarato da Marco Vignola, responsabile del settore energia dell’Unione Nazionale Consumatori.

“Per una famiglia tipo, considerato i dati del secondo trimestre 2021, prima cioè del taglio da 1,2 miliardi avvenuto a giugno, l’annullamento totale degli oneri implicherebbe, su una bolletta media per la luce pari a 562 euro (non riferita all’anno scorrevole), una riduzione pari a 113 euro, a fronte, però, di un aumento teorico (quello prospettato da Draghi del 40% sul prezzo complessivo della luce) di 225 euro. Insomma, la bolletta salirebbe, comunque, su base annua, di 112 euro (28 euro su base trimestrale, a fronte di consumi equivalenti in ogni trimestre). Una stangata non da poco”

Stesso discorso, ovviamente, vale anche per la bolletta del gas.

“Insomma, conclude Vignola, se davvero gli aumenti sono di quella portata, sarebbe comunque astronomico. Per questo bisogna intervenire anche su accise, addizionali regionali e Iva”,

Caro bolletta, Draghi: ‘oggi in CdM intervento di oltre 3 miliardi’. Su inflazione: ‘non sappiamo se sia transitoria o permamente’

23/09/2021

“In assenza di un intervento del governo, nel prossimo trimestre il prezzo dell’elettricità potrebbe salire del 40%, e quello del gas del 30%. Per questo abbiamo deciso di eliminare per l’ultimo trimestre dell’anno gli oneri di sistema del gas per tutti, e quelli dell’elettricità per le famiglie e le piccole imprese. Potenziamo il bonus luce e gas per proteggere soprattutto le fasce meno abbienti. Si tratta complessivamente di un intervento di oltre 3 miliardi, che fa seguito a quello da 1,2 miliardi avvenuto a giugno”. Così ha detto il presidente del Consiglio, intervenendo all’assemblea annuale 2021 di Confindustria.

L’intervento, ha sottolineato il premier, andrà “oggi in Cdm” e “ha una forte valenza sociale, per aiutare in particolare i più poveri e i più fragili. A queste misure deve seguire un’azione, anche a livello europeo, per diversificare le forniture di energia e rafforzare il potere contrattuale dei Paesi acquirenti”.

“L’economia globale – ha puntualizzato il presidente del Consiglio -attraversa una fase di aumento dei prezzi, che riguarda anche i prodotti alimentari, i noli e tocca tutte le fasi del processo produttivo. Non sappiamo ancora se questa ripresa dell’inflazione sia transitoria o permanente. Se dovesse rivelarsi duratura, sarà particolarmente importante incrementare il tasso di crescita della produttività, per evitare il rischio di perdita di competitività internazionale. Per le imprese sono particolarmente importanti i rincari sui materiali da costruzione, sul gas e sull’energia, e i problemi di approvvigionamento dei semiconduttori. Il Governo è impegnato a trovare soluzioni immediate a questi problemi, e a disegnare strategie di lungo periodo perridurre le nostre vulnerabilità”.

“Per quanto riguarda il prezzo delle materie prime, esso è in parte temporaneo perché legato alla forte ripresa dell’economia globale. Già quest’estate abbiamo approvato un intervento per arginare i rincari e per aiutare le imprese di costruzione impegnate in opere pubbliche. Anche l`aumento del prezzo del gas e dell`elettricità è legato a fenomeni in parte transitori”.

Taglio dell’IRPEF? Ecco perché l’abbassamento delle tasse in Italia si allontana

Il taglio dell’IRPEF sembra la priorità del governo Draghi, ma tra veti in maggioranza e scarse risorse c’è scarsa fiducia. E all’estero …

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 22 Settembre 2021 alle ore 07:48

Governo Draghi pronto a varare la riforma fiscale, con il taglio dell’IRPEF come obiettivo largamente condiviso all’interno della maggioranza. Ma le certezze sull’ abbassamento delle tasse in vista si fermano qui. Anzitutto, perché i partiti litigano su cosa e come tagliare. Il PD vorrebbe la riforma del catasto, la patrimoniale e l’aumento dell’imposta di successione. Lega e Forza Italia sono fortemente contrarie (neanche il Movimento 5 Stelle vuole colpire gli immobili), chiedono di cancellare l’IRAP e la prima, in particolare, invoca la “flat tax”.

Complice il clima pre-elettorale (si vota in grandi comuni a inizio ottobre), nel governo è una Babele di linguaggi. C’è poi la sostanza. Ed è ancora peggio: solo 3 miliardi di euro per il taglio dell’IRPEF. Sarebbe come immaginare di organizzare il pranzo di Natale avendo in cucina solo un tramezzino. Il premier Mario Draghi vorrebbe abbassare l’aliquota del 38% che grava sul terzo scaglione dei redditi, quelli che vanno dai 28.000 ai 55.000 euro lordi all’anno.

C’è un problema: tagliare un punto percentuale costerebbe mediamente proprio 3 miliardi. Questo significa che o Draghi immagina di portare l’aliquota dal 38% al 37% senza che i contribuenti coinvolti praticamente si accorgano di nulla o abbia in mente di “spezzettare” lo scaglione, così da abbassare l’aliquota di più per una fetta minore di contribuenti. In ogni caso, briciole. Ma sullo scetticismo del taglio dell’IRPEF pesa anche la congiuntura internazionale. Ci riferiamo a quella politica. L’abbassamento delle tasse si ebbe dagli anni Ottanta in avanti sull’onda della “reaganomics” e del thatcherismo. I governi di destra di USA e Regno Unito non solo prospettarono alle altre economie vantaggi dalla riduzione del carico fiscale, ma in un certo senso quasi le costrinsero a farlo per restare competitive.https://3b869f26ce4015bea667d88e2cbf398c.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

Taglio IRPEF sempre meno concreto

In questi mesi, la storia sta andando nella direzione opposta. Gli USA di Joe Biden si sono spostati molto a sinistra sulle tasse, tanto da essersi intestati l’aliquota globale minima del 15% sui profitti delle multinazionali. Il Congresso a maggioranza democratica invoca l’aumento delle tasse sui contribuenti più ricchi. Nel frattempo, il conservatore Boris Johnson ha annunciato aumenti delle imposte per 12 miliardi di sterline all’anno al fine di migliorare il welfare, mentre il probabile nuovo cancelliere tedesco sarà un sostenitore dell’aumento della pressione fiscale sui più ricchi per finanziare un corposo piano di investimenti pubblici.

Se l’Italia non è riuscita ad abbassare le tasse nei lunghi decenni in cui tale stimolo arrivava dall’estero, pensate che varerà un vero taglio dell’IRPEF ora che le principali economie sembrano andare nella direzione opposta? Non solo la riduzione della pressione fiscale diventa un po’ meno conveniente, ma il sostegno a una simile linea sarebbe verosimilmente scarso presso gli organismi internazionali, più preoccupati che l’Italia dopo il Covid metta in ordine i suoi conti pubblici. E se taglio dell’IRPEF sarà, OCSE e Fondo Monetario Internazionale pretendono che sia finanziato da aumenti delle tasse su casa (IMU), consumi (IVA) e ricorrendo a una patrimoniale.

Bonus Bollette per ridurre i rincari. La proposta di Draghi

Il governo starebbe lavorando a un nuovo decreto per consentirà di mitigare i rincari. Si parla già di un nuovo bonus Bollette.

di Pietro Pisello , pubblicato il 21 Settembre 2021 alle ore 08:29

La stangata sulle bollette fa meno paura. Il governo sta discutendo un nuovo decreto che ne consentirà la loro sterilizzazione, quantomeno in parte. Vediamo meglio di cosa si tratta.

In arrivo la stangata: + 40 per cento l’anno

Soltanto qualche giorno fa, il Ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, attraverso un comunicato stampa riferiva quanto segue:

“I dati tendenziali sugli aumenti dei costi dell’energia sono noti e monitorati da tempo dagli addetti ai lavori: le variazioni delle bollette sono stabilite ogni trimestre dall’autorità per l’energia sulla base del costo delle materie prime come il gas e dal costo della CO2. Il governo, continua il ministro, è fortemente impegnato per la mitigazione dei costi delle bollette dovuti a queste congiunture internazionali e per fare in modo che la transizione verso le energie più sostenibili sia rapida e non penalizzi le famiglie”.

Si parla, in particolare, di rincari che potrebbero arrivare al 40%: fino 100 euro l’anno per il gas e fino a 400 euro per la luce.

Arriva un nuovo bonus bollette, ecco di cosa si tratta

Come già detto in apertura, il governo starebbe lavorando a un nuovo decreto per consentirà di mitigare questi rincari.

Secondo il Messaggero, saranno stanziati 4-5 miliardi di euro. Risorse, comunque, non sufficienti ad eliminare del tutto i rincari, ma circa un terzo del conto totale. In questo modo, Arera, l’autorità dell’energia, potrà intervenire nelle prossime bollette. Inoltre, dovrebbe essere potenziato il cosiddetto bonus sociale destinato alle famiglie più povere per il pagamento di elettricità e gas.

Biglietti Ryanair, forti rincari in vista a partire da ottobre

Il CEO di Ryanair, Michael O’Leary, ha anticipato forti rialzi di prezzo per i biglietti aerei sin dal mese di ottobre.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 16 Settembre 2021 alle ore 12:42

Brutte notizie anche per i viaggiatori dei cieli. Il CEO di Ryanair, Michael O’Leary, ha da poco dichiarato di attendersi aumenti dei prezzi dei biglietti sin dal mese di ottobre e in coincidenza con le vacanze di Natale. Ha paventato “forti” aumenti, in particolare, per la prossima estate. Motivo? Per i voli a breve raggio, la capacità delle compagnie risulterebbe diminuita del 20% rispetto a prima del Covid.

Ma la compagnia aerea irlandese non si ferma. O’Leary annuncia che aprirà 10 nuove basi in Europa e che sta già cercando di rimpiazzare le compagnie fallite o che hanno ridotto la flotta con la pandemia per ottenere nuovi slot. Punta a creare 5.000 nuovi posti di lavoro in 5 anni e a far volare 225 milioni di passeggeri all’anno dal 2026, ben più dei 149 milioni trasportati nel 2019, l’anno prima della pandemia. Le stime di crescita a 5 anni, infatti, sono state riviste al rialzo dal 33% al 50%. Secondo i calcoli di Citi, la sua quota di mercato in Europa sarebbe salita al 20% dal 13% di 2 anni fa.

Biglietti Ryanair, lo spettro dell’inflazione

Proprio l’avanzata di Ryanair starebbe spingendo due compagnie rivali come easyJet e Wizz Air a fondersi per difendere le proprie quote di mercato. Tuttavia, l’aggregazione comporterebbe problemi, visto che il vettore ungherese è noto per offrire voli più low cost del potenziale partner. Il rischio per esso sarebbe di diventare meno efficiente.

Il rincaro annunciato dei biglietti Ryanair conferma le preoccupazioni di queste settimane circa il rischio di una reflazione fuori controllo. La pandemia potrebbe avere distrutto definitivamente capacità produttiva in alcuni settori, abbassando strutturalmente l’offerta. Nel caso specifico, diverse compagnie aeree sono fallite e altre hanno ridotto i voli, nonché tagliato gli investimenti per il futuro.Man mano che la domanda di voli si riporterà ai livelli pre-Covid, le tariffe saliranno. Nel frattempo, poi, sono aumentate le quotazioni di un po’ tutte le materie prime, petrolio in testa. Il caro-carburante si farà sentire.

Taglio bollette luce e gas, ecco le tre strade del governo Draghi per sgonfiare i rincari

Consiglio dei ministri convocato per trovare una soluzione contro i forti rincari attesi per le bollette di luce e gas. Grattacapo per Draghi

16 Settembre 2021 alle ore 10:35

La stangata costerebbe quasi 1.300 euro a famiglia in un anno, stando ai calcoli elaborati da Assoutenti e Movimento Consumatori con riferimento ai rincari delle bollette di luce e gas. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, li prevede del 40%. Di questi, 500 euro impatterebbero direttamente una famiglia con due figli attraverso le forniture di energia elettrica e gas, mentre altri 768 euro deriverebbero dall’aumento dei prezzi di beni e servizi.

Una prospettiva che avanza in tutto il mondo, a causa di un mix di fattori che sta incidendo negativamente sui costi delle aziende fornitrici. Per questo pomeriggio è stato convocato un Consiglio dei ministri, che all’ordine del giorno avrà proprio i rincari delle bollette di luce e gas. Il governo Draghi vuole evitare in ogni modo che questi finiscano per frenare la ripresa economica in corso, sottraendo alle famiglie potere di acquisto con cui rilanciare i consumi.

IVA e aste CO2 per ridurre le bollette di luce e gas

Le soluzioni che si prospettano non appaiono risolutive. La prima strada da percorrere con ogni probabilità sarà quella di un taglio dell’IVA. L’aliquota pesa oggi al 22% sulle imprese e al 10% sulle famiglie, anche se diverse imprese beneficiano dell’aliquota agevolata al 4%. Si tratterebbe di abbassare almeno quella sulle famiglie al 4%. Una riduzione che da sola non sarebbe, però, in grado di impedire che i rincari siano percepiti. Per questo, c’è chi come Forza Italia chiede che l’intera IVA sia azzerata. Il PD si batte, invece, per ridurre i cosiddetti oneri di sistema, tra cui spiccano i costi caricati dallo stato per dismettere le centrali nucleari. Sarebbe una seconda strada da battere, ma la soluzione sarebbe anch’essa “una tantum”.

E allora, una terza soluzione sarebbe di utilizzare tutti i proventi delle aste di CO2 per disattivare i rincari delle bollette di luce e gas. Il governo lo ha già fatto per il secondo trimestre, stanziando allo scopo 1,2 miliardi. L’Unione Europea fissa limiti alle emissioni inquinanti per oltre 11.000 aziende dislocate sul suo territorio. Coloro che non riescono a contenerle entro tali quote assegnate, devono acquistare i permessi per inquinare da altre aziende con a disposizione ancora quote libere. Sul mercato, si crea un meccanismo di incontro tra domanda e offerta di CO2.

I proventi di queste aste sono girate ai governi. In questi mesi, si registra il boom dei prezzi. In un anno, siamo passati da 26 a 62 euro per tonnellata. Il governo italiano si attende di incassare 3 miliardi nei 12 mesi, esattamente la cifra che metterebbe a disposizione oggi per sventare i rincari. Che sia una coincidenza? Possibile. Ad ogni modo, ora si capisce di più la ragione per cui il premier Mario Draghi intende eliminare il canone RAI in bolletta. Trattasi di oneri impropri e, in una fase come questa, contribuisce ad accrescere l’importo delle bollette della luce, mandando su tutte le furie i consumatori.

Inflazione al top dal 2013, Codacons: +614 euro annui a famiglia, governo blocchi rincari luce e gas

15/09/2021

L’inflazione al 2%, così come rilevato oggi dall’Istat per il mese di agosto, si traduce in una maggiore spesa annua, considerata la totalità dei consumi di un nucleo familiare, pari a +614 euro. Lo afferma il Codacons, commentando i dati: “Il caro-benzina trascina con se i prezzi al dettaglio, determinando tensioni nel settore alimentare, con i listini al dettaglio del comparto che salgono del +0,8% – ha sottolineato Carlo Rienzi, il presidente dell’associazione – Una vera e propria batosta invece per i trasporti, che crescono del +5,3% e una maggiore spesa per gli spostamenti che raggiunge +286 euro annui a famiglia”.

Il Codacons, preoccupato degli effetti che l’aumento dell’inflazione possa avere sui consumi, esorta l’intervento del governo affinchè blocchi i rincari di luce e gas previsti a ottobre. “Sul rialzo dei prezzi al dettaglio incombe inoltre come una spada di Damocle il prossimo aumento delle tariffe di luce e gas – avverte Rienzi – Se infatti ad ottobre scatteranno i maxi-rincari dell’energia, si registrerà una ondata di aumenti per i listini al dettaglio in tutti i settori, con effetti pesanti sulle famiglie e conseguenze depressive sui consumi. Il Governo deve quindi correre ai ripari, adottando misure per evitare l’ennesima stangata sulle tasche degli italiani”.

Boom gas (+318%) fa esplodere bolletta, fiammata prezzo energia in Europa. In Italia shock +40%. Intanto Francia, Grecia e Spagna intervengono

14/09/2021

Un caro bolletta shock, una batosta di quelle pesanti sulle famiglie italiane, proprio in un momento di ripresa post pandemia Covid-19 che chissà, sottolineano diversi esperti, quanto sia alla fine sostenibile, con l’incognita della variante Delta in agguato: e un rincaro dei prezzi che si innesta nel dibattito della transizione ecologica, su cui punta tanto il governo di Mario Draghi.

La doccia fredda è arrivata ieri sera con le dichiarazioni del ministro Roberto Cingolani, che è intervenuto a un convegno della Cgil a Genova parlando proprio di transizione ecologica, con tanto di attenti:

“La transizione ecologica non può essere fatta a spese delle categorie vulnerabili” – ha detto il ministro – Lo scorso trimestre, la bolletta elettrica è aumentata del 20% e in questo aumenterà del 40%. Se l’energia aumenta troppo di costo, le nostre imprese perdono competitività e i cittadini, soprattutto quelli con un reddito medio-basso, faticano ulteriormente per pagare dei beni primari come l’elettricità in casa”.

Le associazioni dei consumatori non hanno tardato a esprimere tutto il loro sconcerto e una nota di Equita SIM ha fatto oggi il punto della situazione in Italia.

“Il ministro della Transizione ecologica Cingolani ha sottolineato che l’incremento delle bollette elettriche ad ottobre per i clienti a maggior tutela sarebbe fra il 31-42%. Il ministro ha aggiunto che il governo è impegnato per mitigare l’impatto sulle famiglie dei rincari dei prezzi dell’energia ed accelerare la transizione verso le energie sostenibili. Il Corriere sottolinea che a fine giugno, su segnalazione dell’Arera, il governo aveva stanziato un fondo da 1,2 miliardi, con l’obiettivo di ridurre gli incrementi tariffari delle bollette di luglio. Lo stesso meccanismo potrebbe essere applicato per ridurre gli incrementi delle bollette ad ottobre. Una misura alternativa e di natura strutturale, suggerita dall’ARERA, sarebbe l’eliminazione degli oneri di sistema dalle bollette elettriche. Il Sole riporta le richieste dell’Unione dei consumatori secondo cui Governo e Parlamento dovrebbero destinare i proventi delle aste per la CO2 ad abbassare le bollette, eliminare gli oneri di sistema (messa in sicurezza del nucleare e agevolazioni tariffarie per il settore ferroviario) oltre a spostare sulla fiscalità generale gli incentivi per lo sviluppo delle rinnovabili. Una soluzione che porti ad un’eliminazione degli oneri generali in bolletta, già circolata sui giornali nei giorni scorsi, e lo spostamento di altre voci sulla fiscalità generale sarebbe positivo per il settore perché si ridurrebbe il rischio di interventi regolatori a sfavore degli operatori elettrici, sulla scia dei recenti interventi in Spagna (che nelle scorse settimane ha proposto tagli ai rendimenti delle tecnologie idroelettriche)”.

Cingolani: non esiste transizione ecologica se non c’è quella sociale

Nel discorso proferito ieri, Cingolani ha sottolineato che “non esiste la transizione ecologica se non c’è anche quella sociale” e che “dobbiamo ricordarci che c’è una transizione sociale che deve andare di pari passo alla transizione ecologica”.

Insomma, “bisogna essere molto realisti: non possiamo pensare di fare la transizione ecologica non curandoci del fatto che centinaia di migliaia di famiglie possano rischiare qualcosa. Dobbiamo essere bravi a gestire questa operazione che non è solo ambientale, ma anche di tipo sociale”.

Dunque?

Nelle ultime settimane abbiamo sentito parlare di inflazione provocata da intasamenti nella catena di approviggionamento, abbiamo letto di aziende alle prese con il rincaro dei costi delle materie prime:

dall’America all’Europa, le banche centrali hanno rimarcato come l’inflazione sia un fenomeno transitorio, provocato soprattutto dal balzo dei prezzi energetici, quelli più volatili.

Ma volatile o meno l’inflazione sta già toccando direttamente le tasche dei consumatori, con il rincaro delle bollette di oltre il 40% paventato da Cingolani.

Occhio al petrolio, con uragano Nicholas e nuove stime Opec

All’origine c’è anche il rialzo dei prezzi del petrolio – con la recente fiammata che si spiega sia con il nuovo rapporto Opec, che con i timori legati al passaggio di Nicholas, appena trasformatosi da tempesta tropicale a uragano,  approdato in Texas, che minaccia di mettere KO gli impianti di gas naturale liquefatto.

Sulla scia di queste preoccupazioni, nel Regno Unito e in Olanda si assiste  alla fiammata dei prezzi del gas naturale, che toccano, come fa notare Bloomberg, livelli record: anche qui il timore è che l’offerta non riesca a tenere il passo della domanda, che aumenta.

Da marzo il rally del gas misurato dall’indice benchmark è stato pari a ben +318%.

E’ dunque guerra tra l’Europa e l’Asia per accaparrarsi l’LNG (gas naturale liquefatto).

“La competizione tra i buyer europei e asiatici per attrarre (con prezzi più alti) le navi cargo di LNG (gas naturale liquefatto), sembra essere iniziata, senza alcun limite”, si legge in una nota di Engie EnergyScan, riportata da Bloomberg.

Offerta gas langue: boom prezzi sui mercati di Norvegia e Olanda

L’offerta, d’altronde, langue: in Norvegia la capacità di gas è crollata al minimo dallo scorso giugno, a causa di un nuovo round di manutenzione presso gli impianti di produzione. Il risultato è che i futures sul gas europeo scambiati in Olanda sono volati del 7% fino a 65,57 euro al megawatt/ora (MWh), mentre il contratto UK con scadenza al prossimo mese è salito del 6,9% a 163,81 pence per therm, al record di sempre.

I governi europei, quelli di Spagna e Grecia in primis – ora anche di Italia, dopo lo shock di Cingolani – sono già sotto pressione per proteggere i consumatori dalla stangata imminente.

I prezzi del gas e dell’elettricità, ha spiegato Bloomberg in un altro articolo, stanno continuando a correre in Europa, balzando a nuovi livelli record in paesi come Germania, Francia e Regno Unito.

Nella tarda serata di ieri la Spagna si è mossa per tentare di ridurre il costo delle bollette a carico dei consumatori, e la Francia ha detto di star considerando una mossa simile.

Spagna, Sanchez abbassa luce e gas a spese compagnie elettriche

Così oggi il quotidiano El Pais:

“Il Governo abbassa luce e gas a spese delle compagnie elettriche. Il presidente del governo Sanchez ha annunciato che il Consiglio dei ministri approverà oggi un piano d’urto per abbassare la bolletta elettrica di fronte alla spirale al rialzo dell’energia elettrica, che dall’inizio dell’estate ha stabilito record storici quasi ogni settimana. Sánchez, in un’intervista a RTVE, ha delineato nuovi tagli fiscali sull’elettricità e altre misure per rendere l’elettricità e il gas più economici. “Ci sono compagnie energetiche che stanno facendo profitti straordinari in questo momento. Ciò non mi sembra accettabile” ha affermato Sánchez, il quale assicura che toglierà vantaggi fiscali alle società energetiche, che possono permetterselo, per coprire la bolletta del gas.

Con questa decisione, l’Esecutivo intende onorare l’impegno assunto in un’intervista a EL PAÍS:

“Stiamo lavorando aveva detto Sanchez affinché a fine 2021 gli spagnoli paghino in bolletta elettrica un importo simile a quello del 2018”. La promessa di Sanchez si è già abbattuta sul mondo Corporate e, in particolare, su Enel.

Grecia: sussidi a favore 70% famiglie contro caro bolletta

Nel fine settimana, la Grecia ha invece annunciato un sussidio per la maggior parte delle famiglie.

C’è una crisi energetica internazionale – ha detto il ministro dell’Energia greco Kostas Skrekas, parlando con i giornalisti – Il nostro governo ha deciso di sostenere chi ha visto gonfiare la propria bolletta”.

In particolare, il meccanismo finanziato dal governo di Atene, con un costo stimato di 150 milioni di euro, includerà un sussidio di 9 euro per i primi 300 kilowatt/ora consumati dalle famiglie greche al mese. Lo schema, ha sottolineato Skrekas, verrà applicato al 70% di tutte le famiglie.

In Francia, il ministro delle Finanze Bruno Le Maire, in un’intervista alla televisione LCI rilasciata nella giornata di ieri, ha detto che Parigi sta valutando l’opzione di ridurre i costi in aumento delle bollette a favore dei consumatori francesi.

Il governo sta già distribuendo voucher – o cosiddetti assegni energetici – del valore di 150 euro l’anno a quasi 5,5 milioni di famiglie povere.

“Può essere (l’assegno) uno strumento efficiente per proteggere i francesi dall’aumento dei prezzi energetici – ha detto Le Maire – Vedremo nelle prossime settimanbe se avremo bisogno di utilizzare questo assegno energetico”.

Così oggi Le Parisienne oggi:

“Potere d’acquisto. L’inquietante fiammata dei prezzi alla pompa. Il litro di benzina senza piombo flirta ormai con la soglia simbolica dei due euro, la passa anche in alcuni distributori in Vandea. Aumenti che impattano sul bilancio degli automobilisti e si aggiungono al forte incremento delle bollette di gas ed elettricità”.

AD Total Energies: è il denaro del petrolio che finanzia transizione energetica

Inquietanti le dichiarazioni rilasciate alla Tribune – riportate dalla rassegna stampa internazionale di Rainews – da Patrick Pouyanné, numero uno di Total Energies:

E’ il denaro del petrolio che finanzia la transizione energetica”

A maggio Total ha cambiato nome, è diventata Total Energies, cosa significa? Il ragionamento del Consiglio di Amministrazione e dell’Amministratore Delegato di Total è stato semplice:

“o la nostra azienda, che ha 100 anni – è stata fondata nel 1924 -, rimane sull’attuale autostrada del petrolio e del gas, mercati importanti ma in declino. E in questo caso, l’attività non durerà molto a lungo. O decidiamo di impegnarci francamente nell’energia che consentirà la decarbonizzazione, ovvero l’elettricità. E così si apre davanti a noi un enorme campo di opportunità nelle energie rinnovabili. Abbiamo quindi deciso di aggiungere, oltre al petrolio e al gas naturale, altre cinque energie: elettricità, idrogeno, biomasse e ovviamente eolica e solare. Total Energies sarà protagonista della transizione energetica, con l’obiettivo di essere tra i 5 maggiori produttori di energie rinnovabili entro il 2030″.

Caro bolletta: altri rincari in inverno? Rinfocolata paura inflazione

“L’aumento dei prezzi delle commodities colpirà probabilmente le bollette delle aziende e dei consumatori, questo inverno – ha commentato John Musk, analista presso RBC Europe – Tuttavia, ci potrebbe essere la probabilità di una interferenza politica per prevenire un aumento significativo della bolletta a carico dei consumatori”.

Il balzo dei prezzi energetici sta alimentando il timore dell’inflazione, che serpeggia nell’area euro e negli Stati Uniti già da un po’.

Nel mese di agosto, l’indice dei prezzi al consumo della Spagna è balzato del 3,3%, riportando un incremento che è stato sostenuto in gran parte dal boom dei prezzi dell’energia elettrica, secondo i dati dell’Istituto Nazionale di Statistica del paese.

Anche l’inflazione svedese ha superato le attese, sul fronte dei prezzi dell’energia.

In Germania, il tasso di inflazione è volato del 3,4% ad agosto, al record da almeno il 2008, praticamente al valore più alto in 13 anni.

Gli analisti rimangono bullish: quelli di Citigroup, per esempio, prevedono un balzo del 20% per le famiglie europee: e basta questa stima per alimentare le aspettative che più governi si faranno avanti per stemperare il rally.

Le stesse indicazioni che arrivano dall’Opec sono bullish, anche se contrastate: il cartello ha rivisto al rialzo le proprie stime sulla crescita della domanda globale di oil del 2022 a +4,15 milioni di barili al giorno, rispetto ai +3,28 milioni di barili al giorno del mese scorso.

Tuttavia, l’Opec ha rivisto al ribasso allo stesso tempo l’outlook sulla domanda mondiale di petrolio relativa all’ultimo trimestre del 2021, citando l’impatto della variante Delta del Covid e affermando che una ulteriore ripresa dell’economia sarà posticipata parzialmente all’anno prossimo.

Bollette luce e gas, ci aspetta un inverno salato e il governo corre ai ripari

Lievitano le bollette di luce e gas ancor prima che arrivi l’inverno, che si annuncia rigido e salato di suo. Ecco le cause dei rincari.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 10 Settembre 2021 alle ore 15:45

Rincari per bollette di luce e gas

Le bollette di luce e gas vi sembrano più care? Non è una semplice sensazione, bensì una solida realtà. Nel terzo trimestre di quest’anno ancora in corso, i rincari sono stati del 9,9% per le prime e del 15,3% per le seconde. Un salasso, che sarebbe stato persino doppio per l’energia elettrica, se non fosse intervenuto il governo per calmierare i prezzi.

Che cosa sta succedendo? Anzitutto, il confronto si ha con il 2020, quando la pandemia fece crollare le tariffe anche delle bollette di luce e gas, attraverso la caduta dei consumi e, quindi, della domanda di energia. Tanto per farvi un esempio, a un certo punto le quotazioni del petrolio sprofondarono verso i 16 dollari al barile per il Brent, un quarto dei livelli di apertura dell’anno.

Dunque, i rincari sono solo un’illusione? Non esattamente. Per prima cosa, le quotazioni del petrolio si sono riportate ai massimi da tre anni, a tratti superando i 75 dollari. Da inizio anno, fanno circa +45%. Il greggio incide ancora per il 70% della produzione di energia in Italia. Capite benissimo come questi dati si ripercuotano negativamente sulle bollette di luce e gas. E, infatti, il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica in Italia ha superato in questi giorni i 130 euro per MegaWattora, segnando un balzo del 175% su base annua. Stava sotto 50 euro nel settembre del 2020.

Bollette luce e gas, le altre cause dei rincari

Ma non è tutto. La Commissione europea utilizza un sistema di aste per mitigare i livelli di inquinamento. Chi inquina sopra un certo livello deve acquistare i permessi per farlo da chi inquina sotto le quote assegnate. Ebbene, attualmente il costo per tonnellata supera i 62 euro, quando un anno fa a stento superavano i 26 euro.E si tratta di massimi storici. Ancora alla fine del 2017, non si andava oltre i 5 euro. Questo boom ha spinto il prezzo dell’energia per utente medio a un totale di 22,89 centesimi per kWh, in forte rialzo dai 16,61 centesimi di un anno fa (+38%). Per il gas, siamo passati da 26,46 a 30,17 centesimi per metro cubo (+14%).

Infine, c’è il fattore meteorologico. Ci si aspetta un inverno rigido dopo un’estate con temperature sopra la media stagionale. La domanda di energia sarà verosimilmente elevata, a fronte di scorte di gas inferiori a quelle di un anno fa di oltre un quarto. Per queste ragioni, il governo Draghi sta cercando di porre rimedio ai rincari delle bollette di luce e gas, tagliando i cosiddetti oneri di sistema. Quali? I costi per le dismissioni delle centrali nucleari sarebbero i primi a finire nel mirino. Ma a luglio, ha attinto a 1,2 miliardi di euro di ricavi ottenuti dal gettito delle aste sui permessi per inquinare, così da calmierare i prezzi.

Funziona così: le imprese pagano per inquinare e i loro esborsi sono girati dall’Unione Europea ai governi nazionali. Questi possono impiegarli per tenere a bada le tariffe energetiche. Un paradosso. Nel secondo trimestre, ad esempio, l’Italia ricevette 719 milioni di euro, +168% rispetto allo stesso periodo del 2020. L’extra-gettito ha offerto al governo le risorse per dimezzare i rincari di luce e gas, ma allo stesso tempo è stato la causa principale dei rincari stessi. Le aziende produttrici di energia, infatti, devono acquistare i permessi per inquinare come tutte le altre, scaricando sui consumatori i costi.

Benzina: salgono i prezzi alla pompa. Codacons: mai così alti da ottobre

07/09/2021

Il Codacons lancia l’allarme circa le speculazioni legate alle vacanze degli italiani, e smentiscono quelle associazioni che, nei giorni scorsi, avevano rassicurato circa l’andamento dei prezzi di benzina e gasolio durante l’esodo estivo.

“Ancora una volta si confermano gli aumenti dei prezzi dei carburanti in concomitanza con le partenze degli italiani – denuncia il presidente Carlo Rienzi – In base al monitoraggio settimanale del Mise, infatti, in occasione del controesodo estivo la benzina ha raggiunto il record di 1,655 euro al litro, mentre il gasolio è arrivato a 1,504 euro/litro”. “Prezzi così alti non si vedevano da ottobre 2018, e la benzina costa oggi il 18,4% in più rispetto allo stesso periodo del 2020, +17,4% il gasolio – prosegue Rienzi – Questo significa che per un pieno di verde si spendono oggi addirittura 12,85 euro in più rispetto allo scorso anno, +11,1 euro un pieno di diesel”. Rincari che, in base alle stime del Codacons, producono una stangata su base annua, solo per la voce rifornimenti, pari a +308 euro a famiglia.

Benzina: prezzi alla pompa sui massimi da novembre 2018, +300 euro a famiglia

31/08/2021

Le nuove rilevazioni Mise sui prezzi dei carburanti alla pompa confermano la mazzata che si è abbattuta sugli italiani che si sono spostati in auto durante le vacanze estive. I prezzi settimanali di benzina e gasolio, con 1,65 euro al litro la verde e 1,50 euro il diesel, risultano i più alti da novembre 2018. La benzina costa oggi il 17,8% in più rispetto allo stesso periodo del 2020, mentre il gasolio è più caro del 16,7%. Ciò equivale, secondo i calcoli del Codacons, a una maggiore spesa da +12,5 euro a pieno per la verde (+10,7 euro il diesel) e un aggravio su base annua, solo per i rifornimenti di carburante, pari in media a +300 euro a famiglia.

“L’andamento di benzina e gasolio ha prodotto una vera e propria mazzata sulle tasche degli italiani che, durante le vacanze estive, si sono spostati in auto lungo strade e autostrade per raggiungere le località di villeggiatura – spiega il presidente del Codcons, Carlo Rienzi – Gli effetti dell’andamento dei carburanti, purtroppo, si faranno sentire anche nelle prossime settimane, attraverso un incremento dei prezzi al dettaglio per una miriade di prodotti, ed in incremento delle tariffe di luce e gas per il periodo autunnale”.

Con l’aggiornamento del catasto, Imu più cara sulla casa

Il Mef diffonde un documento che riapre il dibattito sulla riforma del catasto. Le informazioni saranno incrociate con la dichiarazione redditi

Fabrizio Arnhold  30 Agosto 2021 – 12:12

La casa è sempre stata al centro delle attenzioni del Fisco. E non è certo per caso. Secondo un rapporto pubblicato dalla Banca d’Italia, i proprietari di immobili in Italia sono 25.500.000. La percentuale di proprietari di case è pari a quasi il 73% (dati Mef); solo il 51,9% dei tedeschi abita in casa di proprietà, la quota in Francia arriva al 63,5%. Supera il valore italiano la Spagna, dove il 78,2% della persone possiede un immobile. Casa spesso fa rima con tassa.

IL DOCUMENTO DEL MEF

La casa e il catasto sono tornati sotto la lente dopo che il ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef) ha inviato alle Agenzie fiscali (Entrate, Riscossione, Demanio e Dogane) l’Atto di indirizzo 2021-2023, in cui si raccomanda di “presidiare la qualità e la completezza delle banche dati catastali”, con un “costante aggiornamento dell’Anagrafe immobiliare integrata”.

LOTTA ALL’EVASIONE

Il fine è quello di attribuire ad ogni immobile caratteristiche corrette, verificando dimensioni, posizione geografica, quotazioni di riferimento, titolari di diritti e quote. Le informazioni vanno usate, si legge sempre nel documento del Mef, “integrando le banche dati immobiliari con le informazioni desunte dalla dichiarazione dei redditi, anche nell’ottica di una più equa imposizione fiscale”. Detto in altre parole, lo sforzo è sempre lo stesso: ridurre l’evasione fiscale, con l’intento di fare emergere gli immobili non denunciati.

LA REVISIONE DELLE RENDITE

L’invio del documento del Mef ha riportato sotto i riflettori l’annosa questione che riguarda la revisione delle rendite. Bisogna tenere presente l’invito fatto dalla Commissione europea, che ha chiesto all’Italia un riequilibrio dei carichi fiscali con l’alleggerimento dell’imposizione sul lavoro e la riforma dei valori catastali non aggiornati. La riforma del catasto è un argomento di cui si parla dal 2015, quando fu proprio stoppata una revisione che pareva imminente e che riguardava, tra l’altro, i metri quadri e non più i vani. Il ragionamento è piuttosto semplice: se aumentano le rendite, cresceranno anche le imposte, a partire dall’Imu. A meno che non siano riviste, al ribasso, le aliquote.

LA RIFORMA DEL CATASTO

Il documento del Mef è un invito, non certo una presa di posizione vincolante. Ma il rischio, per i proprietari da casa, è che questo “possa fungere da indirizzo politico al governo per la predisposizione della legge delega sulla riforma fiscale”. La riforma del Fisco che è allo studio del governo Draghi, al momento, non riguarda anche il catasto.

RISCHIO IMU PIÙ SALATA

La questione resta aperta. Se il governo si interesserà della riforma del catasto, il valore fiscale degli immobili dovrebbe adeguarsi a quello di mercato. Per una tassazione più equa. Diversamente accade che nelle città in cui il valore catastale supera quello di mercato, il proprietario si trova a sborsare una tassa sulla casa in proporzione più salata, a parità di aliquota, con un imponibile Imu in media superiore al prezzo di mercato. Succede più di frequente in piccole città o in periferia. All’opposto, ci sono poi capoluoghi – questo è anche il caso di grandi città come Milano e Venezia – dove nonostante l’impatto della crisi da Covid-19, il valore di mercato è superiore a quello catastale. Ecco perché una razionalizzazione dei registri sarebbe auspicabile. I proprietari, però, sperano senza dover mettere mano al portafoglio.

Batosta carte di credito e bancomat con costi reali fino a 85 euro l’anno, effetto boomerang su consumatori per piano cashless

13/08/2021

La gestione di una carta di credito arriva a costare fino a 85 euro all’anno tra canoni, costi di attivazione e gli altri balzelli, con una spesa media annuo in crescita del +8,5% nell’ultimo biennio. Lo rimarca Consumerismo No profit, che segnala i pericoli insiti nel “Piano cashless” avviato dal Governo.

Il canone mensile sul carte di credito applicato da banche e società finanziarie va da un minimo di 0 euro a un massimo di 6,30 euro, a seconda del tipo di carta utilizzata. Tale canone mensile è spesso gratuito solo per il primo anno di emissione della carta, mentre per i successivi periodi viene applicato un costo, aggiornato di anno in anno. A tale spesa, aggiunge Consumerismo, si aggiungono i costi di attivazione ed emissione della carta, che possono raggiungere i 10 euro e, quando si effettua un prelievo con carta di credito presso gli sportelli Atm, si va incontro a commissioni pari al 4%, che raggiungono addirittura il 5,2% in caso di prelievi all’interno di un paese extra Ue (circa il 4% in area Ue).

A tali spese occorre poi aggiungere i costi per blocco o sostituzione della carta in caso di furto o smarrimento, quelli di ricarica per le carte prepagate, invio dell’estratto conto cartaceo, commissioni di cambio valuta applicate nei casi di pagamenti effettuati all’estero, ecc.

Non va meglio sul fronte del Bancomat – aggiunge Consumerismo – il canone annuale di tale strumento può anche arrivare a 45 euro, e se si decide di prelevare da uno sportello ATM diverso da quello della banca presso la quale si ha il conto corrente, la commissione su ogni prelievo è pari a 1,83 euro.

“Il piano del Governo per disincentivare i pagamenti in contanti rischia di tradursi in una stangata per i consumatori, mentre il Bonus Pos recentemente varato dall’esecutivo va ad unico vantaggio dei negozianti e non risolve il problema degli eccessivi costi di carte di credito e bancomat – afferma il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – Una beffa per gli utenti che da un lato sono spinti a eseguire pagamenti elettronici, dall’altro devono affrontare costi crescenti per carte e bancomat, quando invece denaro elettronico e contanti dovrebbe coesistere all’interno del mercato.”

“Chiediamo a Bankitalia e Ministero dell’economia di intervenire per creare una infrastruttura che abbatta le commissioni interbancarie sui pagamenti elettronici, e azzeri balzelli e costi assurdi applicati dalle banche su carte di credito e bancomat”, conclude Gabriele.

Carburanti: Unc, prezzi stabili. Dalla scorsa estate, +18,1% per la benzina

03/08/2021

Secondo i dati settimanali del ministero dello Sviluppo Economico (Mise) restano sostanzialmente stabili i prezzi dei carburanti, con la benzina che sale lievemente e il gasolio che scende impercettibilmente, attestandosi, in modalità self-service, a 1,656 euro al litro per la benzina e a 1,510 euro per il gasolio.

“La benzina, anche se sale di meno di 0,194 centesimi al litro rispetto a settimana scorsa, arrivando a 1,656 euro al litro, pareggia con il record raggiunto il 29 ottobre 2018, ossia 2 anni e 9 mesi fa, mentre il gasolio si conferma al valore massimo dal 3 giugno 2019, quando si attestò a 1.514 euro al litro, due anni e 2 mese fa” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori (Unc). “Dall’inizio dell’anno, dalla rilevazione del 4 gennaio, in 7 mesi, un pieno da 50 litri è aumentato di 10 euro e 70 centesimi per la benzina e di 9 euro e 56 centesimi per il gasolio, con un rincaro, rispettivamente, del 14,8% e del 14,5%. Su base annua è pari a una batosta ad autovettura pari a 257 euro all’anno per la benzina e 229 euro per il gasolio”, sottolinea ancora Dona. “In un anno esatto, dalla rilevazione del 3 agosto 2020, quando la benzina era pari a 1.402 euro al litro e il gasolio a 1.288 euro al litro, un pieno da 50 litri costa 12 euro e 69 centesimi in più per la benzina e 11 euro e 9 centesimi in più per il gasolio, con un rialzo, rispettivamente, del 18,1% e del 17,2%. Un rincaro che equivale, su base annua, a una stangata pari a 305 euro all’anno per la benzina e a 266 euro per il gasolio”, conclude Dona.

Istat: a giugno prezzi alla produzione in crescita a +1,4% m/m e +9,1% a/a

29/07/2021

Nel mese di giugno, i prezzi alla produzione dell’industria aumentano dell’1,4% su base mensile e del 9,1% su base annua. Lo rende noto l’Istat secondo cui sul mercato interno i prezzi crescono dell’1,7% rispetto a maggio e dell’11,0% su base annua. Al netto del comparto energetico, i prezzi registrano un aumento meno marcato sia a livello congiunturale (+1,0%) sia a livello tendenziale (+5,2%).

Sul mercato estero i prezzi aumentano su base mensile dello 0,9% (+1,1% area euro, +0,8% area non euro) e registrano un incremento su base annua del 4,4% (+5,0% area euro, +4,0% area non euro).
Nel secondo trimestre 2021, rispetto al trimestre precedente, i prezzi alla produzione dell’industria crescono del 3,4%. La dinamica congiunturale è più sostenuta sul mercato interno (+3,7%) rispetto a quello estero (+2,2%).

Inps: occorre salario minimo, avrebbe effetto positivo anche su finanza pubblica

12/07/2021

L’Inps sostiene l’idea di un salario minimo per contrastare la povertà e ridurre le disuguaglianze reddituali. Secondo le sue analisi, contenute nel XX Rapporto annuale, la disuguaglianza nei redditi annuali è cresciuta di quasi il 50% negli ultimi 30 anni e la disuguaglianza salariale è raddoppiata, con un evidente inesorabile aumento della precarizzazione del lavoro che richiede maggiori protezioni ed equità. “In questa direzione – sostiene l’istituto – andrebbe l’inserimento di un salario minimo, che avrebbe un effetto non solo di contrasto alla povertà ma anche di stimolo ai consumi e alla crescita, oltre ad un effetto positivo sui saldi di finanza pubblica”. Si stima un aumento del gettito di 3 miliardi con un salario minimo a 9 euro.

Inps: Cig ha frenato il crollo dei redditi al 33%, ma serve riforma per semplificazione e universalismo

12/07/2021

L’anno 2020 ha visto un utilizzo eccezionale degli strumenti di sostegno al reddito. La Cassa Integrazione Guadagni ha aumentato di circa 13 volte le uscite passando da 1,4 nel 2019 a 18,7 miliardi nel 2020, a seguito dell’aumento del numero dei beneficiari, passati da 620.000 a 6,7 milioni. Secondo il Rapporto annuale dell’Inps, diffuso oggi, l’ampia adozione di Cig, in particolare in deroga, ha frenato il crollo dei redditi: dai dati
dell’imponibile contributivo, Inps rileva che in assenza del sostegno derivante dagli ammortizzatori sociali l’imponibile contributivo mediano per i lavoratori coinvolti in Cig-Covid sarebbe diminuito del 60%; grazie alla Cig, la perdita si è ridotta al 33%.

“La Cig è però misura troppo frammentata legislativamente e non copre automaticamente un’ampia fetta del mondo lavorativo non dipendente, come ha messo in evidenza lo shock pandemico – ha sottolineato l’istituto – Emerge dunque la reale ed urgente esigenza di una riforma, non solo in ottica di semplificazione ma anche in direzione di maggiore universalismo. Un primo passo viene fatto con l’introduzione dell’Iscro per i lavoratori autonomi”.

Sempre in tema di impatto degli ammortizzatori sociali, in assenza di questi si rileva che la disuguaglianza sarebbe aumentata del 93%, mentre con essi è stata arginata, frenando tale aumento al 55%.

Rapporto Istat e crollo consumi, Federconsumatori: necessarie politiche di rilancio con famiglie in primo piano

09/07/2021

Dal rapporto Istat sulla situazione del Paese emerge nel 2020 una povertà assoluta in forte crescita (oltre 2 milioni di famiglie, pari al 7,7%) e consumi (-10,9%) che segnano la caduta più forte dal dopoguerra.

“È evidente che tali indicatori risultano influenzati dall’emergenza pandemica e dalle sue limitazioni, ma è altrettanto chiaro che i contraccolpi della crisi sono ancora in corso e, con la sospensione del blocco dei licenziamenti in quasi tutti i comparti avremo un netto peggioramento di tale situazione”, rimarca Federconsumatori che chiede al Governo un intervento rapido mettendo in atto misure efficaci per contenere gli effetti negativi per le famiglie, disponendo un serio piano di sostegno e di rilancio, che punti sull’occupazione, sugli investimenti per lo sviluppo tecnologico e l’innovazione. Inoltre, aggunge l’associazione dei consumatori, non è più rinviabile la disposizione di una riforma fiscale che preveda forti elementi di progressività e una tassazione straordinaria sui grandi patrimoni.

Secondo Nomisma energia, sin da luglio

“In base ai dati preliminari è possibile stimare per l’elettricità un aumento intorno al 12% e per il gas oltre il 21%, entrambi balzi record mai visti in passato”.

“Ciò spinge a prevedere un tasso di inflazione in forte accelerazione nei prossimi mesi”.

Stangata vacanze estive: rincari medi dell’11% tra viaggi in auto, ristorazione e stabilimenti balneari

22/06/2021

Aumenti dei listini in tutta Italia per l’intero comparto turistico. Dagli spostamenti in auto, treno o aereo, ai soggiorni presso strutture ricettive, passando per l’affitto di ombrelloni, sdraio e lettini e alle consumazioni presso bar e ristoranti, tutto questa estata costa di più. E’ la denuncia del Codacons che rimarca come gli esercizi al pubblico, i lidi, gli hotel, hanno modificato le proprie politiche tariffarie, applicando rincari tesi a compensare le perdite degli ultimi mesi, i maggiori costi di sanificazione e messa in sicurezza dei locali, e il contingentamento delle presenze che, di fatto, riduce i ricavi.

In base alle stime dell’associazione, nel 2021 la spesa procapite per una villeggiatura estiva di 10 giorni costerà in media l’11% in più, passando – considerata la spesa per spostamenti, soggiorni, servizi vari, pasti e consumazioni – dagli 898 euro del 2020 ai 996 euro del 2021, con un incremento pari a +98 euro a persona.

A complicare la situazione sul fronte trasporti ci sono i rincari della benzina dovuti al balzo del prezzo del petrolio. Chi si sposta in auto dovrà mettere in conto una maggiore spesa per i rifornimenti del +16% rispetto al 2020 a causa dei rincari di benzina e gasolio, che portano un pieno a costare oggi oltre 11 euro in più rispetto allo scorso anno. Le tariffe dei treni non hanno subito incrementi, ma la riduzione della capienza massima a bordo ha portato ad una limitazione di sconti, offerte e promozioni rivolte ai passeggeri. Per gli aerei le tariffe base sono rimaste invariate, ma sono cresciuti i costi di tutti gli altri servizi connessi ai voli, come il trasporto dei bagagli (anche a mano), la scelta del posto a sedere, le polizze assicurative, la possibilità di cambiare o cancellare la prenotazione, ecc. Extra-costi applicati sia dalle low-cost che dalle compagnie tradizionali e che, sommati, arrivano a costare più del doppio rispetto al prezzo del volo.

Spostando l’attenzione alle spiagge, in tutta Italia si registrano incrementi medi del +5% per l’affitto giornaliero di ombrelloni, lettini e sdraio, con punte del +40% in Costiera Amalfitana. Aumentati presso i lidi anche i costi delle consumazioni, dei pasti e degli aperitivi, nell’ordine del +10%;

Le strutture ricettive (hotel, b&b, resort e case vacanza) con il Covid hanno modificato sensibilmente le proprie politiche tariffarie: non solo rincari per i costi del pernotto, ma chi intende soggiornare in una struttura rimborsabile in caso di cancellazione del viaggio, deve mettere in conto una maggiore spesa fino al +100% rispetto alla stessa soluzione “non rimborsabile”, con conseguente aggravio dei costi di una villeggiatura;

Infine bar e ristoranti. Fare colazione al bar, prendere un aperitivo, pranzare o cenare al ristorante, costa in media tra il +5% e il +10% rispetto allo scorso anno.

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Rincari prezzi benzina e diesel: in arrivo la stangata sulle vacanze dell’estate 2021

Prezzi dei carburanti in salita, così impattano sulle vacanze estive.

17 Giugno 2021 alle ore 12:23

Prezzi benzina e diesel

Le vacanze estive degli italiani rischiano di diventare una stangata a causa del rialzo dei prezzi della benzina e diesel. Il ministero dello Sviluppo Economico ha infatti pubblicato i dati settimanali con i prezzi del carburante e l’aumento sembra palese.

Prezzi benzina e diesel: di quanto sono aumentati

La benzina è arrivata a costare 1,605 euro al litro, il gasolio 1,465 euro in self service. Un rincaro non indifferente che ha portato anche alle proteste delle associazioni dei consumatori. Unione Nazionale Consumatori, infatti, sostiene che in 5 mesi il pieno di benzina è aumentato di 8,20 euro e quello del diesel 7,29 euro. In un anno, quindi, si paga di più rispettivamente 197 e 175 euro. Rispetto allo scorso anno il pieno di benzina costa 11 euro in più mentre il gasolio 10,80 euro in più che su base annua significa 273 euro per la benzina e 259 euro per il gasolio. Il rincaro, di fatto, è stato sottolineato anche dal Codacons come ha sottolineato il presidente Carlo Rienzi:

“Da due anni e mezzo l’inflazione non raggiungeva certi livelli, ma sulla forte ripresa dei prezzi al dettaglio pesa come un macigno la corsa dei beni energetici, con i carburanti che alla pompa costano oltre il 16% in più rispetto allo scorso anno”

I prezzi del carburante sono aumentati e impattano sulle vacanze

Ovviamente, il rincaro del carburante avrà un impatto molto pesante sulle vacanze degli italiani. Infatti, anche quest’anno la maggior parte andranno in vacanza in auto, che sarà il mezzo principale per gli spostamenti, molto più del treno o dell’aereo. La pandemia, di fatto, sta ancora bloccando la fiducia degli italiani a spostarsi con altri mezzi pubblici, basti pensare che le compagnie aeree stanno lanciando tariffe piuttosto basse anche in alta stagione per conquistare i clienti.

I prezzi in aumento del carburante, quindi, andranno a pesare molto sugli spostamenti degli italiani per le vacanze: almeno 8 italiani su 10 andranno in vacanza usando l’auto e secondo i dati Istat di maggio, il prezzo per un pieno sarà da 78 euro per il diesel e 85 per la benzina. Lo ha fatto notare Uecoop, secondo cui il pieno degli italiani è tra i più cari al mondo e ha un peso non indifferente nei bilanci delle famiglie.
Bisogna anche considerare che almeno in Italia il prezzo del carburante varia molto in base alla pompa, il fatto che sia servito o self ma anche, ad esempio, se si fa benzina in autostrada.

Ai rincari del carburante, vanno aggiunti quelli delle case vacanze e in genere delle strutture ricettive a causa della domanda in aumento. Scenari immobiliari aveva analizzato i prezzi di appartamenti e villette in affitto per le vacanze dove si nota “un incremento che va dal 2,5% nelle località minori, fino ad arrivare a un 4-5% nelle località di maggior pregio”. Dunque per chi questa estate si sposterà in auto e deciderà di soggiornare nelle case vacanza la stangata sembra dietro l’angolo.

Istat: metà delle famiglie spende più di 1.962 euro al mese

09/06/2021

La stima della spesa media mensile per consumi delle famiglie residenti è pari a 2.328 euro in valori correnti (2.560 euro nel 2019). La metà delle famiglie spende più di 1.962 euro al mese. Così rivela l’Istat secondo cui, pur rimanendo ampi, si attenuano per il secondo anno consecutivo i divari territoriali, 627 euro tra Nord-est e Sud da 722 euro nel 2019. Secondo stime preliminari, la spesa media mensile nel primo trimestre del 2021 diminuisce del 3,4% rispetto allo stesso trimestre del 2020, per gli effetti persistenti della crisi sanitaria. Al netto delle spese alimentari e per l’abitazione, il calo è più ampio e pari a -7,5%.

Licenziamenti, l’Unione europea avverte l’Italia: “Il blocco è rischioso”

ECONOMIA03 giu 2021 –

Nelle raccomandazioni di primavera la Commissione europea lancia un monito sul mondo del lavoro. Viene osservato che l’Italia è stato l’unico Paese Ue che ha introdotto un divieto universale di licenziamento all’inizio della crisi. Una misura, per Bruxelles, che “avvantaggia i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, a scapito di quelli interinali e stagionali”. Landini: “Da Ue bugia totale sul blocco”

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La Commissione europea ha approvato le raccomandazioni di primavera. Niente procedure di infrazione per disavanzo e debito da parte di Bruxelles, visto che il Patto di stabilità è sospeso fino al termine del 2022. Diverse però le valutazioni e le raccomandazioni agli Stati impegnati nella ripresa dopo la terza ondata della pandemia di coronavirus. Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione si è soffermata soprattutto sul mondo del lavoro, lanciando un monito sul blocco dei licenziamenti, tema che negli ultimi giorni ha fatto molto discutere e che, dopo le considerazioni dell’esecutivo comunitario, ha suscitato diverse critiche.

Il blocco dei licenziamenti in Italia

VEDI ANCHELicenziamenti, nel 2020 sono stati 550mila nonostante il blocco

Sull’occupazione, la Commissione ha osservato che l’Italia è stato l’unico Paese Ue che ha introdotto un divieto universale di licenziamento all’inizio della crisi. Si tratta di una misura, per Bruxelles, che “avvantaggia per lo più gli insider, cioè i lavoratori con contratto a tempo indeterminato, a scapito dei lavoratori interinali e stagionali”. Inoltre, un confronto con l’evoluzione del mercato del lavoro in altri Stati membri, che non hanno introdotto questa misura, “suggerisce che il divieto di licenziamento non è stato particolarmente efficace e si è rivelato superfluo in considerazione dell’ampio ricorso a sistemi di mantenimento del posto di lavoro”. In conferenza stampa il commissario al Lavoro, Nicolas Schmit, ha indicato come soluzione preferibile quella di “passare a un mercato del lavoro più attivo” puntando sulla “riqualificazione delle competenze”. 

Attenzione a squilibri eccessivi

LEGGI ANCHEBlocco dei licenziamenti, le tappe della vicenda

Il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni ha ribadito che “la sospensione delle regole non significa che non ci debba essere grande attenzione a evitare l’accumulo di una maggiore spesa corrente, con conseguenze permanenti sui bilanci dei Paesi più indebitati e tra questi l’Italia”. Per l’Italia l’attenzione è sugli “squilibri macroeconomici eccessivi” determinati dall’alto debito pubblico, dalla scarsa crescita e dalla fragilità del sistema bancario. Ma la pandemia ha messo in difficoltà praticamente tutti i Paesi europei. Insieme all’Italia, registrano “squilibri eccessivi” anche Grecia e Cipro, mentre registrano “squilibri” Croazia, Francia, Germania, Irlanda, Olanda, Portogallo, Romania, Spagna e Svezia. Per la Commissione, la realizzazione delle riforme e degli investimenti nell’ambito di Next Generation Eu “contribuirà ad affrontare i problemi individuati nei precedenti cicli del semestre e avrà un ruolo importante nella correzione degli squilibri macroeconomici esistenti”.

Landini: “Da Ue bugia totale su blocco”

Le affermazioni dell’Unione europea sul blocco licenziamenti in Italia che potrebbe essere un danno per i lavoratori precari è una “bugia totale”, dice però il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini in una intervista su “L’aria che tira” su La7. “È una bugia totale – ha detto – il problema del nostro Paese è che c’è troppa precarietà, non troppo poca”. Landini ha quindi ribadito la richiesta di unificare le date per la fine del blocco dei licenziamenti al 31 ottobre attuando nel frattempo la riforma degli ammortizzatori sociali nella direzione di un “sistema universale”. “Quelli che lavorano sono poveri”, ha detto inoltre il segretario generale della Cgil sottolineando l’aumento della precarietà e il calo che si è avuto in Italia  l’anno scorso della massa salariale di 39 miliardi, anche a causa del massiccio utilizzo della cassa integrazione.

Rondinelli (M5S): “Ue sbaglia su blocco”

“Definire superfluo il blocco dei licenziamenti che ha salvato centinaia di migliaia di posti di lavoro durante la pandemia significa essere sulla luna. Le raccomandazioni contenute nel pacchetto di primavera sulle politiche del lavoro sono oggettivamente sbagliate, non tengono conto del tessuto sociale dei Paesi membri e delle profonde ferite inferte dal blocco delle attività economiche a causa del Covid”, spiega intanto Daniela Rondinelli, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, durante l’audizione dei commissari Dombrovskis e Schmit nella commissione Occupazione e Affari sociali del Parlamento europeo.

Tajani: no proroga blocco licenziamenti ma creare lavoro

“Non serve rinviare il problema del blocco dei licenziamenti, bisogna creare posti di lavoro, aiutando l’economia reale, con sostegni legislativi, fiscali ed economici a Pmi, industria e agricoltura e soprattutto con l’abbattimento della pressione fiscale”, ha detto invece il vice presidente di Forza Italia Antonio Tajani. “Chiediamo un anno fiscale bianco – ha aggiunto -, che non arrivino cartelle per tutto il 2021, una pace fiscale che permetta di fare arrivare più soldi nelle casse dello Stato”.

Data ultima modifica 03 giugno 2021 ore 14:46

I governi vogliono la patrimoniale per rimediare ai loro disastri, mentre la bolla immobiliare avanza

L’idea di tassare le grandi ricchezze per ridurre le crescenti disuguaglianze si diffonde tra i governi, responsabili del problema

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 03 Giugno 2021 alle ore 15:40

In Italia, il tema è caldo ed è stato lanciato dal segretario del PD, Enrico Letta, che nell’ansia di dire qualcosa di sinistra per mascherare la vacuità programmatica del suo partito sui temi economici, ha proposto l’aumento dell’imposta patrimoniale. Con il relativo gettito, sostiene, lo stato offrirebbe una dote da 10.000 euro ai giovani di 18 anni per finanziare le spese di studio, formazione lavoro e casa.

Ma anche all’estero si discute di patrimoniale. Negli USA, l’amministrazione Biden è a caccia di categorie da tartassare per finanziare almeno parte dei maxi-stimoli fiscali varati e da varare. E in Svezia, l’idea avanza per bocca del ministro delle Finanze, Magdalena Andersson. Secondo i dati Bloomberg, i primi 5 uomini più ricchi del paese scandinavo avrebbero aumentato i loro patrimoni di 18 miliardi di dollari complessivi durante la pandemia.

Il dibattito in Svezia sulla patrimoniale

La Svezia è considerata una patria dell’egualitarismo, per cui l’aumento delle distanze tra redditi bassi e alti viene mal tollerata dalla sinistra al governo. E così, l’esponente socialdemocratica pensa a ripristinare una patrimoniale esistente fino ai primi anni Duemila. L’imposta fu eliminata, perché i costi superavano i benefici. Dal Secondo Dopoguerra, al massimo arrivò a far introitare allo stato lo 0,4% del PIL, ma in cambio incentivava la fuga dei capitali e scoraggiava gli investimenti.

Ma la Svezia a marzo ha visto lievitare i prezzi delle case mediamente del 13% annuale. La media mondiale è stata del 7,3%, con la Turchia a guidare la classifica con il 32%, seguita dal 22,1% della Nuova Zelanda e dal 16,6% del Lussemburgo. Negli USA, l’indice segna +13,2%. Il rischio di una bolla immobiliare è ormai conclamato. Esistono dinamiche socio-demografiche alla base del trend, ma certamente stanno influendo caratteristiche comuni un po’ a tutti i mercati: tassi d’interesse molto bassi per i mutui, alta liquidità disponibile, rendimenti nulli o negativi dei bond e prezzi già altissimi per le azioni.

I titolari di asset finanziari e di immobili stanno vedendo crescere la loro ricchezza praticamente senza fare nulla. I governi e le banche centrali hanno inondato e continuano a inondare di liquidità le rispettive economie per sostenerle contro la pandemia. Nei fatti, hanno accentuato una tendenza in atto ormai dopo la crisi finanziaria globale del 2008-’09. Questa liquidità è impiegata dai detentori per acquistare titoli finanziari o tutt’al più immobili, facendone esplodere i prezzi. Il resto della popolazione rimane ai margini di questa enorme accumulazione di ricchezza del tutto slegata da lavoro e investimenti.

Gli effetti della bolla immobiliare

In sostanza, sono proprio i governi ad avere creato il problema delle crescenti disuguaglianze, paradossalmente nel tentativo di contenerle dopo il 2008. E adesso ipotizzano una patrimoniale per risolverlo, ritenendo che sia un modo anche pacchiano di segnalare ai cittadini una seria lotta alle iniquità sociali. Ma la soluzione non sarebbe tale. Una stangata sui grossi patrimoni incentiverebbe il deflusso dei capitali e disincentiverebbe gli investimenti, oltre ai risparmi. Inoltre, i benefici per il resto della popolazione sarebbero risibili. Il gettito fiscale crescerebbe di qualche decimo di punto percentuale, non riuscendo a finanziare alcun programma corposo con finalità sociali.

E, soprattutto, i soggetti ai margini della società o a rischio di emarginazione non vedrebbero migliorate le loro prospettive. Non è tassando un ricco che si creino opportunità per i meno abbienti. La patrimoniale equivarrebbe a uno scalpo che i governi offrirebbero in pasto all’opinione pubblica per mostrarsi sensibili verso le tematiche sociali. Ma le disuguaglianze non si ridurrebbero affatto fintantoché le banche centrali non la smetteranno di “regalare” denaro a banche e grossi investitori e i governi di pompare denaro senza alcuna connessione con il lavoro e gli investimenti.

A quanti oppongono che i tassi a zero abbiano abbassato il costo di acquisto di una casa alle famiglie economicamente meno abbienti, basterebbe replicare che il boom dei prezzi degli immobili scaturitone abbia finito per divorare tali benefici.Non solo. Le categorie ai margini, come giovani e lavoratori precari, sono rimaste escluse dall’accesso al credito in un mercato come quello italiano. Pertanto, il basso costo dei mutui è andato a vantaggio di una cerchia ristretta di clienti, mentre la bolla immobiliare la pagano un po’ tutti, rendendo ancora più remota per alcune fasce l’acquisto di una casa di proprietà.

Prepararsi a 12-18 mesi di inflazione eccezionalmente alta, Credit Suisse indica tre azioni value adatte a tale scenario

02/06/2021

Nelle ultime settimane le dinamiche di mercato sono rimaste pressoché stabili, solo le sorprese dall’inflazione restano la principale fonte di preoccupazione. “A fronte di una maggiore incertezza in termini d’inflazione e nell’impossibilità di ignorare il rischio di pullback dei mercati nel breve termine, gli investitori dovrebbero tenere la liquidità a un minimo e preferire portafogli multi-asset ben diversificati con un’esposizione azionaria sufficiente”. Lo si legge nel report Investment Weekly Expert International di Credit Suisse, secondo cui “dopo giugno entreremo in un periodo di 12-18 mesi di incertezza sull’inflazione straordinariamente elevata rispetto agli ultimi venticinque anni”.
Tuttavia, si legge nel report, “da una prospettiva di investimento, prima di un’eventuale normalizzazione a più lungo termine, c’è il breve termine innanzitutto. E nel breve termine i rischi sono orientati al rialzo. Come i mercati finanziari potrebbero muoversi in risposta a uno specifico andamento dell’inflazione dipenderà da come questa plasmerà gli interventi di politica monetaria”.

Le possibili mosse di Fed e Bce

Credit Suisse prevede due rialzi dei tassi da parte della Fed nel 2023, l’annuncio di acquisti di asset ridotti entro la fine di quest’anno e un calo degli acquisti per la metà del 2022. Queste aspettative, si leggere nel report, “sono basate sulla nostra previsione centrale di un’inflazione core compresa tra il 2,0% e il 2,5%. Se l’inflazione dovesse rivelarsi significativamente più alta, allora la Fed potrebbe cominciare ad aumentare i tassi a inizio 2023 o fine 2022 e a ridurre gli acquisti al principio del prossimo anno”.
Per quanto riguarda l’Eurozona, secondo Credit Suisse, la Bce potrebbe rallentare il ritmo degli acquisti di asset ai sensi del Programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP) a giugno. Ma, si legge nel report, “ci aspettiamo che il PEPP continui fino a tutta la prima metà del prossimo anno e che il programma tradizionale di allentamento quantitativo prosegua per tutto il prossimo anno”.

Tre titoli per difendersi dall’impennata dell’inflazione

Le azioni sono la classe di attivi meglio posizionata per resistere a periodi di reflazione, come quello che stiamo attraversando attualmente. Credit Suisse evidenzia tre titoli con valutazione interessante di settori che dovrebbero andare bene in uno scenario inflazionistico.
Un driver di crescita importante, si legge nel report, è il portafoglio minerario diversificato di Anglo American. “Il titolo ha avuto un 2020 burrascoso, tuttavia ci aspettiamo una ripresa operativa nei prossimi anni, seguita da una ripresa del mercato dei diamanti e dal successivo decollo del progetto del rame Quellaveco. Ora che Anglo sta gradualmente raggiungendo la stabilità operativa insieme a un solido bilancio patrimoniale, un chiaro controllo dei costi e una continua innovazione, si prevedono risultati importanti sul fronte della crescita”.
Il secondo titolo segnalato da Credit Suisse è AXA. Nel report si legge che “il gruppo ha vissuto una radicale trasformazione del proprio business, che si sposta verso i comparti P&C (danni e infortuni), protezione e assicurazione sulla vita, tagliando al contempo l’esposizione agli utili di investimento e al ramo vita tradizionale. La compagnia è tornata al pagamento dell’intero dividendo nel 2021, e ci aspettiamo un CAGR del dividendo del 5%”.
Infine, Credit Suisse consiglia Volkswagen, “un titolo value di inizio ciclo che tratta a un P/E forward a 12 mesi di 7,6x, malgrado la flessione dei volumi di auto dalla scorsa estate, prevediamo una buona prosecuzione del ciclo rialzista anche per buona parte del 2022. Mentre la carenza di chip e il rincaro delle materie prime rappresentano venti contrari, Volkswagen ha innalzato la sua guidance per l’esercizio 2021 in occasione della divulgazione dei dati del primo trimestre. Anche Volkswagen è tra i leader dei veicoli elettrici (VE), con volumi di VE già vicini a quelli di Tesla. A nostro parere, ciò dovrebbe portare a un re-rating del titolo, dato che i pure play dei VE trattano con valutazioni assai più elevate”.

Istat: inflazione a +1,3% a/a, livelli che non si vedevano da novembre 2018

31/05/2021

Nel mese di maggio 2021 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento su base annua dell’1,3% (dal +1,1% del mese precedente). Lo si apprende dai dati preliminari diffusi stamattina dall’Istat.

L’accelerazione tendenziale dell’inflazione, spiega l’istituto, si deve essenzialmente ai prezzi dei beni energetici, la cui crescita passa da +9,8% di aprile a +13,8% a causa dei prezzi della componente non regolamentata (che accelerano da +6,6% a +12,6%) mentre quelli della componente regolamentata continuano a registrare un forte incremento ma stabile (+16,8% come ad aprile). Tale dinamica è compensata in misura limitata dall’inversione di tendenza dei prezzi dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +0,7% a -0,1%). L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, rimane stabile a +0,3% e quella al netto dei soli beni energetici decelera e si porta a +0,2% (da +0,3% di aprile).

L’Istat sottolinea che a maggio l’inflazione accelera per il quinto mese consecutivo, raggiungendo livelli che non si vedevano da novembre 2018 (quando fu pari a +1,6%). Anche in questo mese, come nei precedenti, l’inflazione si deve essenzialmente ai prezzi dei Beni energetici che ne trainano la crescita e al netto dei quali si attesta a +0,2%, valore uguale a quello di settembre 2020 (quando però l’inflazione generale era negativa e pari a -0,6%). In questo quadro i prezzi del cosiddetto ‘carrello della spesa’ ampliano ulteriormente, seppur di poco, la loro flessione (da -0,7% a -0,8%), confermando andamenti che non si registravano da agosto 1997.

Bombardieri: ‘Con stop blocco licenziamenti posti a rischio tra 500.000 e due milioni’

Senza ammortizzatori si rischia la bomba sociale, ascoltata solo Confindustria’

26 maggio 2021

Sindacati ancora all’attacco sul fronte del blocco dei licenziamenti. Il range dei posti a rischio alla fine del blocco dei licenziamenti dal primo luglio – dice il leader della Uil Pierpaolo Bombardieri parlando a Radio Anch’io – va da 500.000 a 2 milioni.

Si tratta, per il segretario, di una “bomba sociale” se non si farà, prima della fine del blocco dei licenziamenti, la riforma degli ammortizzatori sociali.

“Ci aspettiamo una situazione molto complicata – afferma – Bankitalia dice che le persone sicuramente a rischio sono oltre 500.000. I nostri dati parlano di una platea due milioni. Il range è tra i 500.000 e i due milioni. Bisogna dare una risposta ai lavoratori per non far scoppiare una bomba sociale”.

Il presidente del Consiglio, Mario Draghi sulla questione blocco dei licenziamenti “ha ascoltato solo Confindustria”, attacca affermando che la norma non è stata frutto di mediazione ma “recepimento delle richieste di Confindustria”. 

Oltre il 60% delle famiglie fatica ad arrivare a fine mese, dice Bankitalia

L’indagine straordinaria sugli effetti della pandemia fotografa un Paese in cui migliorano le attese sull’economia ma permangono difficoltà economiche e cautele

Oltre 60% famiglie fatica arrivare fine mese dice Bankitalia
 Inflazione consumi economia costo della vita prezzi carrello spesa

AGI – Oltre il 60% delle famiglie italiane dichiara di avere difficoltà economiche ad arrivare alla fine del mese, 10 punti percentuali in più rispetto al periodo precedente la pandemia. E la percentuale sale di oltre 20 punti (al 65%) per i nuclei il cui capofamiglia è un lavoratore autonomo. E’ quanto emerge dalla quarta edizione dell’Indagine straordinaria sulle famiglie italiane  e gli effetti della pandemia condotta dalla Banca d’Italia che scatta una fotografia del Paese in cui “le attese sulle prospettive dell’economia e sul mercato del lavoro sono migliorate” ma le famiglie restano caute e permangono le difficoltà.

Peggiorano le condizioni del reddito

Poco meno del 40% delle famiglie riporta che negli ultimi dodici mesi si è verificato che il reddito familiare non fosse sufficiente a coprire le spese; quasi la metà di queste riferisce che in assenza di reddito o trasferimenti non disporrebbe di risorse finanziarie proprie per far fronte ai consumi essenziali nemmeno per un mese.

Quasi il 70% delle famiglie prevede per l’anno in corso un reddito pari a quello percepito nel 2020. Poco più di un sesto si attende che sarà inferiore e tale quota sale a un quarto tra coloro che ritengono che l’emergenza sanitaria si protragga più a lungo (almeno per altri due anni).

Poco meno di un terzo dei nuclei riporta di aver percepito nell’ultimo mese un reddito più basso rispetto a prima dello scoppio della pandemia: il calo è più diffuso tra quelli con capofamiglia lavoratore autonomo o disoccupato e nelle zone che al momento dell’intervista erano maggiormente colpite dall’emergenza sanitaria (zone arancioni e rosse). Il peggioramento delle condizioni reddituali ha continuato a essere mitigato dalle misure di sostegno al reddito: tra dicembre del 2020 e febbraio del 2021 ne avrebbe beneficiato un quarto delle famiglie.

Migliorano le attese sull’economia ma famiglie caute

Il saldo delle risposte relative alle prospettive generali dell’economia, pur restando negativo, è tornato a migliorare, collocandosi su un livello più elevato rispetto a quello dei mesi estivi, dopo la prima ondata della pandemia, spiega Bankitalia.

La percentuale di famiglie che nell’ultima edizione si attende un netto peggioramento del quadro generale nei successivi dodici mesi è diminuita di 9 punti percentuali rispetto all’indagine condotta in novembre, portandosi al 23%.

Anche le aspettative sul mercato del lavoro nei successivi dodici mesi sono divenute più favorevoli ma i nuclei con capofamiglia nella posizione di lavoratore autonomo restano più pessimisti. Le famiglie non si attendono che l’emergenza sanitaria venga superata entro un orizzonte ravvicinato: solo il 16% ritiene che verrà meno nel corso del 2021, mentre un terzo stima che si protrarrà almeno fino al 2023.

Un quarto dei nuclei pensa di ridurre i consumi

Nei prossimi tre mesi poco più di un quarto delle famiglie pensa di ridurre i consumi non durevoli, contro una percentuale di circa un terzo nell’edizione di novembre.

La flessione della spesa sarebbe più pronunciata per i nuclei il cui reddito è diminuito tra gennaio e febbraio e che hanno più difficoltà a fronteggiare le spese mensili ma riguarderebbe anche parte (circa un quinto) di coloro che si aspettano un incremento di reddito nel 2021.

I comportamenti di consumo delle famiglie continuano a risentire dell’emergenza sanitaria. Oltre l’80 per cento dichiara di aver ridotto le spese per servizi di alberghi, bar e ristoranti e di aver effettuato meno frequentemente acquisti in negozi di abbigliamento rispetto al periodo precedente la pandemia; una quota pari a due terzi riporta una spesa più bassa per i servizi di cura della persona.

Per le famiglie che arrivano con difficoltà alla fine del mese la contrazione dipende in prevalenza dalle minori disponibilità economiche mentre per i nuclei più abbienti pesano soprattutto le misure di contenimento e la paura del contagio

Stangata benzina: sovrapprezzo applicato costa 144 euro per automobilista (Federconsumatori)

18/05/2021

Non si arresta la corsa dei prezzi dei carburanti, che oggi hanno superato quota 1,60 euro al litro e il rifornimento servito arriva anche a costare 1,92 Euro al litro. Secondo i calcoli dell’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori, il prezzo della benzina dovrebbe attestarsi almeno 12 centesimi al di sotto di quello attuale. Il sovrapprezzo applicato, in termini annui, porterebbe ad un aggravio di circa +144 euro ad automobilista.

A peggiorare la situazione, rimarca l’associazione dei consumatori, contribuisce il sistema di tassazione che pesa in maniera eccessiva sui carburanti. Su 1,60 Euro al litro di benzina, oltre 72 centesimi sono di accisa, 28 di IVA. Imposta che viene applicata anche sull’accisa: tassando quella che è già una tassa.

Al lordo delle tasse il prezzo italiano della benzina risulta più caro del +26% rispetto ai costi applicati in Europa. “È ora di dare un taglio a questi costi, monitorando sovrapprezzi e speculazioni, ma anche ricorrendo ad un sistema di tassazione più sostenibile.” – afferma Emilio Viafora, Presidente Federconsumatori.

Rapporto Italia: Eurispes, per fronteggiare difficoltà economiche gli italiani rateizzano

13/05/2021

Il 28,5% dei cittadini afferma di essere dovuto ricorrere al sostegno economico della famiglia di origine, ma solo il 14,8% ha chiesto aiuto ad amici, colleghi o altri parenti. Il 15,1% ha fatto richiesta di un prestito bancario e quasi il doppio ha effettuato acquisti rateizzando il pagamento (28,7%). È quanto emerge dal Rapporto Italia dell’Eurispes, giunto quest’anno alla 33esima edizione. In un contesto economico difficile, sono emerse reazioni diverse. Circa un decimo del campione ha messo in atto i seguenti comportamenti: chiedere soldi in prestito a privati (non amici/parenti) non potendo accedere a prestiti bancari (9,4%); tornare a vivere nella casa della famiglia d’origine o dai suoceri (10%); vendere/perdere dei beni (11,4%); ritardi nel saldo del conto presso commercianti/artigiani (11,8%). Sono di più invece gli intervistati che hanno pagato le bollette con forte ritardo (22,4%) e che sono stati in arretrato con le rate del condominio (18%). Per quanto riguarda particolari situazioni lavorative, sono molto simili tra loro le percentuali di quanti hanno accettato di lavorare senza contratto (15,4%) e hanno svolto più di un lavoro contemporaneamente (15,1%).

Salario minimo “chiusura di un cerchio”. E Di Maio completa la distruzione dell’economia italiana

Luigi Di Maio punta sul salario minimo “per evitare che i lavoratori diventino carne da macello”. Ecco perché accadrà l’esatto contrario.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 12 Maggio 2021 alle ore 15:34

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Il Movimento 5 Stelle punta a risalire la china dei consensi con l’introduzione anche in Italia del salario minimo legale. I suoi eurodeputati hanno presentato emendamenti alla proposta di direttiva comunitaria, che vanno nella direzione di potenziare le tutele a favore dei lavoratori. Secondo Luigi Di Maio, ex portavoce dei “grillini” e attuale ministro degli Esteri, la misura sarebbe “fondamentale”, rappresenterebbe “la chiusura di un cerchio”. E spiega che il salario minimo eviterebbe che i lavoratori diventino “carne da macello”, specie in una fase di estrema difficoltà come dopo la pandemia. Insomma, basta “dumping salariale” all’interno dell’Unione Europea e basta allo “sfruttamento”.

Nel concreto, gli emendamenti dell’M5S chiedono che il salario minimo sia introdotto in quegli stati, in cui la contrattazione collettiva copra meno del 90% dei lavoratori con riferimento a tutti i contratti di lavoro. La direttiva UE allo studio parla del 70%. E la tutela dovrebbe riguardare tutti i dipendenti, pubblici e privati, quali che siano le loro mansioni, coinvolgendo tra l’altro i lavoratori domestici (colf e badanti).

Sempre secondo gli eurodeputati M5S, il salario minimo dovrebbe essere superiore al 50% del salario lordo medio e al 60% del salario lordo mediano. Nelle loro intenzioni, vi sarebbe così una convergenza tra gli stati europei sul piano dei livelli salariali. E Di Maio ci tiene a precisare che non sarebbe una norma punitiva contro le imprese, in quanto esse beneficerebbero del maggiore potere di acquisto delle famiglie. E ancora: mance, benefit, straordinari, bonus e assegni di fine anno e per le ferie non sarebbero calcolati ai fini della determinazione del salario minimo. Due anni fa, sempre i “grillini” a Roma presentarono tramite l’allora ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, la proposta di un salario minimo orario di 9 euro.

Salario minimo dopo il reddito di cittadinanza

Iniziamo con una verità. Ha ragione Di Maio: il salario minimo sarebbe la chiusura di un cerchio. L’inizio è stata l’introduzione del reddito di cittadinanza. Non entriamo nel merito degli obiettivi senz’altro meritori del legislatore, semplicemente vogliamo sottolineare come questa misura assistenziale abbia finito con l’aggravare l’opera di distruzione del mercato del lavoro. Fissare quello che in economia si definisce “salario di riserva” a livelli che arrivano fino ai 1.300 euro mensili è demenziale e autolesionistico in un mercato, dove il tasso di occupazione risulta tra i più bassi dell’area OCSE, appena sopra i livelli di Grecia e Turchia.

Tanto per avere qualche numero con cui confrontarci, se oggi dovessimo avere gli stessi occupati della Germania, l’Italia avrebbe circa 7 milioni di lavoratori in più. Al Sud Italia, dove peraltro si concentrano i beneficiari del reddito di cittadinanza, i tassi di occupazione sprofondano fino a un minimo del 40% in regioni come la Sicilia. Disincentivare al lavoro sarebbe stata l’ultima cosa di cui il Mezzogiorno avrebbe avuto bisogno per risollevarsi. Il salario minimo effettivamente chiude il cerchio: se già oggi non ha senso svolgere lavori poco qualificati, che sono anche i meno retribuiti, con il salario minimo si assesterebbe loro un colpo definitivo.

Effetti collaterali

Di Maio & Co hanno difficoltà a comprendere che i livelli salariali li determini il mercato del lavoro, cioè l’incontro tra domanda e offerta. E a sua volta, questo equilibrio deve risultare compatibile con quello esitato sul mercato dei beni e servizi. Per essere sbrigativi, se imponi un salario minimo di 10 euro lordi l’ora, eliminerai tutte le posizioni lavorative che non possono essere retribuite a quel livello. Anche volendo, infatti, l’impresa non riuscirebbe a sostenere l’aumento del costo del lavoro, perché dovrebbe scaricarlo sui prezzi. E in un mercato concorrenziale, specie globale, ciò non è spesso possibile.Se lo fai, perdi quote di mercato e rischi di chiudere.

L’idea “grillina” per cui il maggiore potere d’acquisto sosterrebbe la domanda di lavoro delle imprese è errata alla radice. Per quanto spiegato sopra, il salario minimo equivarrebbe a un aumento dei prezzi, che significa perdita del potere di acquisto. E molte imprese reagirebbero abbassando gli stipendi ai dipendenti meglio retribuiti per cercare di assorbire il contraccolpo sul costo del lavoro. Si andrebbe verso un appiattimento salariale che fu tipico degli anni Ottanta, determinato allora dalla “scala mobile”. Per non parlare del disincentivo alla formazione prima e successivamente all’ingresso sul mercato del lavoro. Perché studiare e formarsi, quando si percepirebbe un salario non troppo dissimile da chi ha rinunciato ad anni di lavoro per andare a scuola? La produttività andrebbe a farsi benedire e con essa i futuri tassi di crescita degli stessi salari.

Un regalo ai concorrenti europei

E, soprattutto, imporre un salario minimo del 50% superiore a quello medio lordo sembra l’equivalente del “abbiamo abolito la povertà” di dimaiana memoria. Se fosse una legge ad alzare salari e potere di acquisto, perché non portarli ai livelli massimi desiderabili? Non a caso, tutti i paesi che adottano il salario minimo, lo fissano a livelli ben sotto la media delle retribuzioni orarie. E da notare che tutti gli stati che non lo adottano in Europa (Danimarca, Finlandia, Svezia, Austria e Cipro) esibiscono alti tassi di occupazione. In sostanza, fissare un salario minimo europeo relativamente elevato per l’Italia farebbe il gioco dei nostri competitor: alzeremmo il costo del lavoro italiano e ci renderemmo ancora meno competitivi. Chissà come mai la tedesca Ursula von der Leyen smani per introdurre un salario minimo per tutto il Vecchio Continente.

E’ vero, l’Italia ha un problema salariale, ma che non si risolve a colpi di leggi. E’ la produttività stagnante ad avere provocato bassa crescita economica e redditi reali fermi alla metà degli anni Novanta.Serve sradicare le cause di questo malessere ormai cronico, anziché inventarsi soluzioni demagogiche che presentano il rischio certo di aggravare i problemi e di renderli definitivi. L’Italia accelererebbe la sua desertificazione industriale e i livelli di inattività semplicemente lieviterebbero ulteriormente, spingendo a una migrazione biblica dei lavoratori italiani all’estero.

Benzina: Codacons, da aumenti effetti a cascata su prezzi e inflazione

11/05/2021

Dai rincari dei carburanti pesanti effetti per le tasche dei consumatori. E’ quanto scrive il Codacons, che analizza gli effetti dei rialzi di benzina e gasolio per le famiglie italiane. “Rispetto a maggio dello scorso anno la benzina costa oggi il 16,3% in più, mentre il gasolio è cresciuto del +15,3% – spiega il presidente del Codacons, Carlo Rienzi –. Questo significa che per un pieno di benzina ad un’auto di media cilindrata un automobilista spende oggi +11,1 euro rispetto a maggio de 2020, +9,6 euro per il gasolio”.

“Agli effetti diretti della corsa dei carburanti occorre poi aggiungere quelli indiretti: l’aumento dei listini di benzina e gasolio alla pompa determina rincari a cascata sui prezzi al dettaglio a causa dei maggiori costi di trasporto, come certificato dall’Istat nell’ultimo dato sull’inflazione, in forte crescita proprio come conseguenza dei rincari dei beni energetici – prosegue Rienzi – Il rischio dunque è quello di una maxi-stangata per le tasche dei consumatori, con rincari a cascata in tutti i settori”.

Cos’è la ‘shrinkflation’ e come minaccia il nostro potere di acquisto senza che ce ne accorgiamo

Dalla carta igienica ai succhi di frutta, la ripresa economica dopo il Covid rischia di riservarci cattive sorprese

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 06 Maggio 2021 alle ore 07:44

Se vi dicessimo che il prossimo pericolo per l’economia globale dopo l’emergenza Covid si potrebbe chiamare “shrinkflation”, cosa rispondereste? Si tratta di un neologismo, un po’ come lo fu quasi mezzo secolo fa “stagflazione”. Negli anni Settanta, il termine coniugava due fenomeni che si pensava non potessero sussistere contemporaneamente: la stagnazione dell’economia e l’inflazione. Stavolta, siamo in presenza di un fenomeno un po’ meno evidente, ma non per questo poco serio per i consumatori.

In inglese, “shrink” significa “rimpiccolirsi” e “flation” chiaramente rimanda a “inflation”, per l’appunto “inflazione”. Dunque, “shrinkflation” significa letteralmente “inflazione da rimpicciolimento”. Strano, vero? Vi spieghiamo cosa significa. Avete presente quando un’azienda vi vende un prodotto allo stesso prezzo di prima, ma con quantità ridotte? Ecco, questa strategia non rende immediatamente percettibile al consumatore l’aumento reale dei prezzi. Nominalmente, essi rimangono fermi o, al limite, aumentano di poco. Tuttavia, a diminuire è la quantità di bene offerto, per cui i prezzi unitari spesso risultano aumentati anche a doppia cifra senza che ci facciamo caso.

Esempio di shrinkflation

Perché vi diciamo questo? Sebbene questa tecnica esista da tempo, in questi mesi starebbe diffondendosi tra i prodotti di largo consumo. Almeno negli USA, dove esiste un ricco resoconto dell’impatto che la “shrinkflation” starebbe avendo sui consumatori. Un’azienda ha deciso, ad esempio, di ridurre la larghezza della carta igienica da 4,5 a 4 pollici, cioè di poco più di un centimetro. Sembra niente, ma nei fatti il prezzo unitario è cresciuto così dell’11%.

Un’altra ha ridotto il contenuto di succo d’arancia inizialmente di quasi l’8% a 59 once (1,74 litri) e successivamente ancora a 52 once, cioè a 1,54 litri.Di fatto, il prodotto è diminuito di quasi il 12%, pari a un quinto di litro. E la Bryers ha, addirittura, tagliato da 64 a 48 once il peso del gelato, cioè di quasi mezzo chilo (-25%). Inizialmente, ha tenuto i prezzi fermi, mentre successivamente li ha aumentati a oltre 4%.

Cosa c’entra la “shrinkflation” con il Covid? L’emergenza sanitaria ha colpito particolarmente i redditi delle famiglie, a causa delle chiusure e delle limitazioni ai movimenti imposti dai governi per frenare i contagi. Al contempo, sui mercati esiste una liquidità a disposizione come mai prima. Ciò è dovuto al combinato tra maxi-stimoli fiscali e monetari, adottati da governi e banche centrali per sostenere l’economia e le categorie più direttamente colpite dalla pandemia. Negli USA, la Federal Reserve ha iniettato dal marzo 2020 oltre 4.600 miliardi di dollari di liquidità, mentre il Tesoro americano ha fatto la sua parte con aiuti per complessivi quasi 5.000 miliardi, a cui seguiranno ulteriori fondi nei prossimi mesi.

Rischio diffuso dopo la pandemia

Con altri numeri, sta accadendo lo stesso in Europa e Giappone. Questa situazione già sta creando pressioni rialziste sui prezzi alla produzione e al consumo. In parte, è naturale che accada dopo la lieve deflazione avutasi in buona parte del 2020. Ma il rischio che si possa perdere la stabilità dei prezzi esiste. Basta guardare ai mercati finanziari. Azioni, obbligazioni, ma anche materie prime e “criptovalute” esplosi a pandemia in corso, frutto in molti casi non dei fondamentali, bensì dell’impiego della liquidità in eccesso in assets all’infuori dall’economia reale.

Le aziende sanno, però, che aumentare i prezzi oggi risulterebbe impopolare e poco sostenibile per le tasche di gran parte delle famiglie. Da qui, il crescente ricorso alla “shrinkflation” per mascherare i rincari e renderli digeribili, se non proprio metabolizzabili. Certo, non tutti faremo caso subito a quanto ci accade al supermercato, ma gli istituti di statistica dovrebbero svelare con il tempo gli altarini. Essi monitorano l’andamento dei prezzi unitari, cioè per kg, litro o metro di prodotto.L’adozione di massa di questa strategia, quindi, non rimarrebbe priva di conseguenze. L’inflazione ufficiale si paleserà per quella che è e le banche centrali reagirebbero. E forse ci abitueremo, nostro malgrado, a mangiare, bere e pulirci con minori quantità di beni.

Salasso conti correnti, Castagna (BPM) spiega batosta correntisti. E in Italia primo caso tassi negativi ai retail

26/04/2021

Prima lo shock Fineco, poi la lettera di UniCredit ai clienti: le ultime notizie che riguardano i conti correnti degli italiani sono tutto fuorché confortanti e, accanto allo spettro prelievo forzoso in un paese assediato dal problema del debito pubblico monstre, i correntisti italiani ora temono sempre di più da qualche anno anche la minaccia dei tassi negativi, ovvero di trovarsi un giorno costretti a pagare per depositare i propri soldi in banca.
Cosa che accade e anche da qualche anno già in alcuni paesi europei.

Della questione e della preoccupazione dei correntisti italiani ha parlato Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco BPM, nel corso di una puntata della Zuppa economica di Nicola Porro, interpellato oltre che dal conduttore Porro anche da Leopoldo Gasbarro, Direttore Responsabile Wall Street Italia.
Vale la pena fare una premessa. Finora l’Italia, il pericolo tassi negativi sui depositi retail, l’ha sventato (anche se proprio nelle ultime è arrivata una notizia che conferma che in un caso, una banca tedesca ha introdotto i tassi sotto zero anche in Italia leggi sotto)
Ma gli ultimi annunci arrivati dal mondo da Fineco & Co hanno insinuato il dubbio che, seppur non ufficialmente, i correntisti italiani alla fine questo scotto dei tassi al di sotto dello zero, inaugurati dalla Bce, lo stiano pagando eccome.
Come potrebbe essere diversamente, d’altronde, visto che per le banche, come ha confermato Fineco con il suo annuncio shock, i depositi e la troppa liquidità presente sui conti sono diventati un costo, in alcuni casi difficile da sostenere?

Fineco ai grandi depositanti: Non investi? Ti chiudo il conto

L’annuncio di Fineco, che ha sconvolto il mondo dei correntisti italiani, è stato il seguente:
“A partire dal prossimo 18 maggio, la banca (Fineco) avrà il diritto di rescindere il rapporto di c/c qualora al momento del recesso e nei 3 mesi precedenti vi siano contemporaneamente tre condizioni: 1) presenza sul conto di una giacenza media di liquidità per un controvalore uguale o superiore a 100 mila euro; 2) assenza di qualsiasi forma di finanziamento, anche se già concesso ma non utilizzato, a eccezione delle carte di credito; 3) assenza di qualsiasi forma di investimento in prodotti di risparmio gestito o amministrato”.
La scelta è legata ai costi derivanti dai tassi di interesse interbancari sempre più bassi e il conseguente incremento della liquidità in giacenza.
Il messaggio è chiaro: o investi o ti chiudiamo il conto. Spiegazioni più puntuali sul perchè di una mossa senza precedenti sono state fornite alla fine di marzo dall’AD stesso di Fineco, Alessandro Foti, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore.
Foti si è trovato costretto a precisare quanto già scritto nel comunicato della banca, ovvero che “la sua battaglia è solo contro i grandi depositi. Fermo restando che, ha ricordato, “il motivo per cui la Bce ha portato i tassi di interesse in negativo è per rendere costosa la liquidità e dunque per favorire il suo travaso verso l’economia”.
Dunque, che senso ha tenere grandi somme impantanate nei conti? Si potrebbe rispondere che magari per qualche italiano – non pochi – il senso ce l’ha ancora visto che, in tempi di pandemia, diversi depositanti hanno preferito – come dar loro torto – tenere i soldi parcheggiati nei conti correnti, piuttosto che investire.
Ora magari le cose cambieranno, con la riapertura dell’economia post lockdown da Covid, possibile grazie all’aumento delle vaccinazioni.
Ma come poter condannare chi nel 2020 ha tenuto i soldi in banca, decidendo di non effettuare alcun investimento, non potendo prevedere come le cose sarebbero andate a finire?
Dall’altro lato ci sono però le banche, stremate dalla nuova era di tassi negativi, costrette a erogare prestiti – anche se con la protezione delle garanzie statali  – in era di pandemia, disincentivate a depositare i loro soldi presso la Bce, visto che la banca centrale ha deciso, proprio per far fluire più facilmente il credito nell’area euro, di imporre un tasso negativo dello 0,50%.
Della serie: le banche vogliono depositare somme di denaro presso la Bce? Facciano pure, al costo dello 0,50%.
Una situazione sempre più insostenibile. Il risultato è che Fineco non è certo un’eccezione, se si considera che, dopo qualche settimana dal suo shock, “un’altra batosta sui correntisti è arrivata da UniCredit, che ha aumentato i costi di alcuni conti fino a +70%“, sempre ‘grazie’ al mix tassi negativi e boom depositi da Covid-19.
Della questione dei costi più alti dei conti correnti ha parlato Giuseppe Castagna, numero uno di Banco BPM, con il direttore di Wall Street Italia Leopoldo Gasbarro, che ha riassunto la situazione in cui le banche, e di conseguenza i correntisti italiani, si sono trovare invischiate. Castagna e Gasbarro sono intervenuti nella trasmissione Zuppa economica di Nicola Porra, di domenica 25 aprile:
Dopo i vari annunci sui conti correnti, ha detto Gasbarro, “abbiamo cercato di spiegare ai risparmiatori che cosa sta succedendo al mondo delle banche, perché tante banche stanno comunciando a chiedere ai risparmiatori addiritttura di chiudere i depositi quando ci sono troppi soldi. Ma che sta succedendo? Voi prima cercavate come il pane i depositi dei risparmiatori, adesso invece succede il contrario?”.
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Castagna: ma lasciare soldi su conto corrente non conviene molto

Così il numero uno di Banco BPM : “E’ una situazione particolare, in effetti. A me piace incominciare col dire che, sotto il nome banca, ahimé, mettiamo tante, forse troppe, entità. Ci sono le banche che raccolgono per investire in prodotti di finanza, in fondi pensione, in fondi di investimento; ci sono banche che invece fanno le banche d’affari, e quindi magari non raccolgono nemmeno, raccolgono per portare magari le aziende in Borsa; e ci sono banche invece, quelle cosiddette commerciali, come quella che mi trovo a dirigere io, che invece sono banche che hanno sempre fatto della raccolta e del finanziamento ai privati e alle imprese la loro fonte di sostentamento principale”.
In quest’ultimo caso, ha ricordato l’AD Castagna, si parla di “intermediazione finanziaria: raccogliamo soldi dal risparmio degli italiani e lo prestiamo o alle stesse persone che magari comprano il mutuo o che cambiano la macchina o alle imprese che realizzano i loro progetti imprenditoriali”.
Ora, “su tutte e due le cose la banca era abituata fino a qualche anno fa a guadagnare qualcosina, e questo qualcosina si chiamava lo spread. Oggi questo spread sulla raccolta non esiste più, perchè il denaro costa sotto zero: questo vuol dire che teoricamente le banche possono raccogliere a -0,50, oggi addirittura a -0,60, che è il costo effettivo del denaro che va sotto il nome di Euribor, dovendo invece remunerare i conti correnti almeno a zero, perchè non possiamo remunerare a un tasso negativo”.
Il che significa che, “per le banche che fanno come loro attività principale quello di investire in fondi , quindi fare quello che si dice asset management, ovvero per le banche che comprano fondi per conto della clientela, è evidente che questa raccolta diventa troppo costosa”.
Diverso il caso di Banco BPM:
“Banche che come la nostra, invece, che impiegano, dunque finanziano le imprese e le famiglie hanno un po’ di possibilità in più nel continuare a gestire questa situazione, quindi non arrivano a queste forme così esasperate di dire: ‘o ci fate investire o investite in qualche fondo o vi chiudiamo i conti correnti’. Però è un tema che oggettivamente c’è – ha fatto notare Castagna –  è un tema che bisogna affrontare. Le norme italiane non consentono di pagare i privati tassi negativi sul conto corrente quindi dovremo continuare a pagare zero, quindi le banche si stanno attrezzando per far costare un po’ di più i servizi di conto corrente, in modo da rifarsi di quella perdita di margine di interesse che perdono sulla raccolta”.
Insomma, “le banche hanno deciso in questo caso di perderci anche sugli impieghi, purché il differenziale tra l’Euribor -0,60 e quello che il cliente ti pagava, -0,20 magari, dunque un tasso negativo, ma magari migliore di quello a -0,60, desse un po’ di vantaggio economico. E’ chiaro che questo per me è un moral hazard quindi tu istighi le persone a indebitarsi riconoscendogli un margine di interesse. E ovvio che a mio avviso non si va da nessuna parte con queste strategie”.
Il punto è che “quando i tassi globali di mercato sono negativi e quando si vuole cercare attraverso tassi bassi di far crescere l’inflazione – sappiamo tutti che uno degli obiettivi della Bce ma di tutte le banche centrali è quello di tenere sotto controllo l’inflazione – è ovvio che si tende a tenere i tassi bassi”.
Cosa fare in questa situazione:
“intanto oggettivamente lasciare i soldi sul conto corrente non conviene molto, perché è vero che le banche ci perdono, ma il risparmiatore non ci guadagna, perché comunque prende zero e rischia semplicemente con il tempo di vedere depapeurato il potere di acquisto, sebbene ci sia oggi un’inflazione molto bassa, ma comunque superiore allo zero”.
Ma oggi c’è  una possibilità che può vedere nei prossimi mesi una grande ripartenza dell’economia. In questi giorni siamo tutti in attesa di vedere l’ufficialità del nostro Recovery Fund di Mario Draghi, è evidente che sono già uscite molte indiscrezioni, ci saranno 220 miliardi da mettere al lavoro, questo significa immessi nell’economia soltanto dal pubblico. Anche i privati evidentemente metteranno soldi nell’economia, e questo significa iniziare a far girare i motori, perché la Borsa può ricominciare a ricrescere, gli investimenti ricomunciare a portare frutti a chi investe, per cui oggettivamente è un momento quasi magico per poter riflettere, enza fare nessun azzardo, a ricominciare a investire anche nell’economia”.

N26: banca tedesca prima in Italia a lanciare tasso negativo privati

L’argomento della raffica di rincari in arrivo è stato affrontato anche dal Corriere della Sera, in un articolo firmato da Pieremilio Gadda, nell’inserto L’Economia: “Conti, pagheremo così i tassi negativi”.
“Preparatevi alle penali sulla liquidità paercheggiata sopra una certa soglia. L’hanno già deciso cinque istituti di credito su 12 nel nostro sondaggio: UniCredit, Bnp, Mps e Bpm per le imprese, N26 per i privati”.
Ecco quanto è emerso da un’indagine realizzata dall’Economia del Corriere della Sera su un campione rappresentativo di 12 banche italiane:
Dal 1° marzo UniCredit trattiene lo 0,5% ai nuovi clienti – riguarda solo le imprese – che tengono ferma sul conto una liquidità superiore a 100.000 euro.
Il 25 marzo Mps ha fissato un’aliquota analoga sui conti delle aziende, per depositi infruttiferi da un milione di euro in su.
La mobile bank tedesca N26 è stata la prima in Italia a introdurre un tasso negativo dello 0,5% per i privati, sopra i 50.000 euro. (un annuncio in realtà di già qualche mese fa)
A luglio, toccherà al Banco BPM: andrà a colpire la liquidità delle imprese sopra i 100.000 euro.
Bnl, a sua volta, ha introdotto nuove spese forfettarie per la gestione della liquidità, pari a 400 euro ogni 100.000 euro di giacenza liquida media, fino a un massimo di 4.000 euro per ogni milione cash.
C’è anche poi Fineco- per l’appunto – con una lettera inviata il 18 marzo ai suoi clienti, ha annunciato l’intenzione di chiudere i conti dei clienti che nei tre mesi precedenti hanno registrato un saldo medio di liquidità superiore a 100.000 euro, in assenza di finanziamenti o investimenti di qualsiasi natura.
Nello stesso articolo sono state menzionate anche le eccezioni: “Intesa SanPaolo, Widiba, Ing, CheBanca!, Banca Sella e Poste Italiane, ad esempio, non sono intervenute sulle giacenze”.
Ma “resta il fatto che, da qui in avanti, molti correntisti dovranno prestare più attenzione a non eccedere nella liquidità depositata sul conto.”

Moratoria mutui e finanziamenti, l’1 luglio scade sospensione rate. A rischio milioni di famiglie e imprese

13/04/2021

Le moratorie su mutui, prestiti e finanziamenti da 300 miliardi di euro avviate per sostenere famiglie e imprese danneggiate dalla crisi economica prodotta dal Covid, scadranno il prossimo 30 giugno e rischiano di non essere più prorogate, a causa delle regole imposte dall’Eba, l’Autorità bancaria europea. Lo denuncia oggi Assoutenti, che sottolinea come una simile misura porterebbe al default milioni di famiglie e imprese, trascinando con se le banche minori e provocando effetti disastrosi sull’economia italiana.

“La scadenza delle moratorie bancarie è stata fissata per il 30 giugno, e una scure rischia di abbattersi su famiglie e imprenditori – spiega il presidente dell’associazione, Furio Truzzi – Sulla proroga delle agevolazioni incombono infatti le nuove disposizioni dell’Eba entrate in vigore lo scorso gennaio, che prevedono l’obbligo per le banche di accantonare tra il 7 e il 10% del valore del finanziamento e del mutuo concesso per garantire la copertura dei crediti deteriorati, e nuove classificazione di default per i debitori”.

“Se la normativa Abi non verrà sospesa, dal prossimo 1 luglio e banche si troveranno ad affrontare seri problemi di bilancio e 1,3 milioni di aziende e 1,4 milioni di famiglie che avevano aderito alle moratorie saranno chiamate a onorare i propri debiti indipendentemente dalle decisioni del Governo, pur versando ancora in condizioni di grave difficoltà economica – prosegue Truzzi – 2,7 milioni di soggetti che potrebbero quindi finire in “default” e trascinare nel baratro le piccole e medie banche con effetti devastanti per l’economia nazionale e 600mila posti di lavoro a rischio”.

Oggi, nonostante le misure di sostegno varate dal Governo, il 40% delle famiglie italiane ha difficoltà col pagamento degli affitti e il 30% con rate e prestiti, sottolinea Assoutenti.

Stangata conti correnti: Unicredit aumenta canone per clienti My Genius, Federconsumatori paventa ipotesi cartello tra banche

12/04/2021

Dopo la minaccia di chiusura dei conti con depositi superiori a 100 mila euro da parte di Fineco in assenza di un portafoglio titoli o di una forma di investimento, arriva la decisione di Unicredit di spalmare i maggiori costi su tutti i correntisti titolari di un conto My Genius. Da luglio il canone mensile del conto corrente My Genius aumenterà di circa il 70% passando da 1,78 a 3,03 euro per quanto concerne il canone base. Una modifica unilaterale del contratto che Unicredit motiva con “il contesto di mercato in cui il sistema bancario si trova a operare è recentemente mutato, impattando in modo crescente sull’attività bancaria e in particolare sulle attività di deposito, gestione e remunerazione della liquidità di conto corrente”. Di pari passo, continua l’istituto, “si è verificato un peggioramento delle condizioni economiche di gestione della liquidità di conto corrente”, “peggioramento – specifica Unicredit – acuito dal sensibile aumento dei volumi dei depositi registrato nell’ultimo anno”.Fderconsumatori commenta quest’ultima notizia come una conferma di come l’eccesso di liquidità sui conti stia diventando un oneroso problema per gli istituti di credito, ora costretti a pagare le conseguenze delle condotte assunte negli anni passati.“La tendenza a lasciare i propri risparmi sul conto, infatti, è sicuramente determinata o comunque fortemente influenzata dagli avvenimenti degli ultimi anni: tra spinte verso investimenti in diamanti, operazioni baciate e chi più ne ha più ne metta – rimarca l’associazione dei consumatori – . È evidente come tutto ciò abbia compromesso la fiducia verso gli istituti bancari e la loro attività di consulenza: le note vicende che hanno investito il settore bancario e finanziario hanno mostrato tutte le carenze, asimmetrie, nonché spesso vere scorrettezze nell’informativa ai clienti in tema di investimenti”.A detta di Federconsumatori si tratta di una condotta fortemente lesiva dei diritti dei cittadini “che conferma il timore di una vera e propria ipotesi di cartello da parte degli istituti. Stavolta, infatti, è il turno di Unicredit, ma non vorremmo che siano anche altri istituti si stiano muovendo in tale direzione”. Federconsumatori, che nei giorni scorsi ha denunciato e segnalato alle Authorities competenti come diversi istituti bancari stiano adottando politiche a dir poco discutibili per incentivare gli investimenti delle somme depositate sui conti correnti, invierà
ulteriori aggiornamenti alle segnalazioni già recapitate a Antistrust, Banca d’Italia e Consob e valuterà ulteriori azioni a tutela dei risparmiatori.

Istat: redditi e consumi famiglie calano, sale propensione al risparmio

09/04/2021

Le misure di sostegno messe in atto per contrastare gli effetti economici dell’emergenza sanitaria hanno in parte attenuato la caduta del reddito disponibile delle famiglie consumatrici, che nel 2020 è diminuito del 2,8% (-32 miliardi di euro). Il potere d’acquisto, ossia il reddito disponibile espresso in termini reali, è diminuito del 2,6%, interrompendo la dinamica positiva in atto dal 2014. Lo rende noto l’Istat presentando la pubblicazione “Conti economici nazionali per settore istituzionale_2020”. La consistente flessione della spesa per consumi finali delle famiglie (-10,9%) ha generato un deciso incremento della quota di reddito destinata al risparmio, che passa dall’8,2% del 2019 al 15,8% del 2020.

L’impatto della crisi sull’attività produttiva ha comportato, spiega l’Istat, una riduzione di circa 93 miliardi di euro del reddito primario delle famiglie (-7,3%). I redditi da lavoro dipendente sono diminuiti di circa 50 miliardi (-6,9%), mentre quelli derivanti dall’attività imprenditoriale si sono ridotti di poco più di 40 miliardi (-12,2%); in particolare, dalle piccole imprese di loro proprietà, le famiglie hanno ricevuto 28,7 miliardi in meno di utili rispetto al 2019. L’Istat sottolinea che il reddito disponibile delle famiglie è stato tuttavia sostenuto dalle amministrazioni pubbliche attraverso rilevanti interventi di redistribuzione, per un totale di circa 61 miliardi di euro.

Istat: nel quarto trimestre 2020 pressione fiscale al 52% in crescita di 1,3 pp

02/04/2021

Nel quarto trimestre del 2020, la pressione fiscale è stata pari al 52,0%, in crescita di 1,3 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, nonostante la riduzione delle entrate fiscali e contributive.Così rivela l’Istat secondo cui nel quarto trimestre 2020 l’indebitamento netto delle AP in rapporto al Pil è stato pari al 5,2%; nello stesso periodo dell’anno precedente risultava un accreditamento dell’1,9%. Il saldo primario delle AP (indebitamento al netto degli interessi passivi) è risultato negativo, con un’incidenza sul Pil del -1,9% (+5,2% nel quarto trimestre del 2019), mentre il saldo corrente delle AP è stato positivo, con un’incidenza sul Pil dell’1,5% (+5,6% nel quarto trimestre del 2019).

UNC: dati Istat su reddito disastrosi, Italia nei guai anche nel 2021 se da maggio non si riapre tutto

02/04/2021

I dati Istat evidenziano un tonfo dell‘1,8% del reddito disponibile delle famiglie negli ultimi tre mesi del 2020 rispetto al trimestre precedente, e i relativi consumi finali del 2,5%. Il potere d’acquisto è invece sceso del 2,1%. “Dati disastrosi! Effetto lockdown! Dopo il buon rimbalzo del terzo trimestre, l’Italia riprecipita nel tunnel della crisi per via delle misure restrittive reintrodotte a partire dal Dpcm del 3 novembre” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.“Questi dati dimostrano che se si va avanti con il lockdown anche nel secondo trimestre di quest’anno, il rimbalzo atteso nel 2021 diventerà un miraggio. Altro che Pil tendenziale al 4,1%! Insomma, o le vaccinazioni ci consentiranno di riaprire tutto almeno a maggio, facendo decollare i consumi, oppure l’Italia è nei guai” prosegue Dona. “Inoltre servono misure più incisive a sostegno del reddito delle famiglie. Se non ci sono i soldi, infatti, difficilmente potranno essere spesi” conclude Dona.

Stangata luce e gas: tariffe salgono ancora nel secondo trimestre 2021

29/03/2021

Stangata per le tasche dei consumatori italiani. L’ARERA ha pubblicato l’aggiornamento delle tariffe di energia elettrica e gas relative al secondo trimestre 2021 che evidenza un +3,9% per il gas e +3,8% per l’elettricità. Incrementi dettati dal trend di crescita delle quotazioni delle materie prime.

“Per il secondo trimestre consecutivo le tariffe salgono, confermando un trend al rialzo determinato sia dalle speculazioni sui mercato all’ingrosso dell’energia, sia dal caro-benzina che, esattamente come previsto dal Codacons nei giorni scorsi, ha avuto effetti diretti sulle tariffe – afferma il presidente del Codacons, Carlo Rienzi – Le bollette energetiche degli italiani risultano così tra le più alte d’Europa, e sulla spesa degli italiani per luce e gas pesa una tassazione oramai insostenibile: quasi la metà della bolletta del gas se ne andrà dall’1 aprile per oneri e imposte (il 43,1%), mentre per l’elettricità la tassazione pesa per il 33,1% su ogni fattura.

“Il Governo Draghi deve mettere subito mano al settore, riducendo oneri di sistema e imposte che gravano come un macigno sulla spesa energetica degli italiani, impoverendo ulteriormente le famiglie, specie quelle numerose e a reddito medio-basso, già colpite dalla crisi economica causata dalla pandemia”, conclude Rienzi.

Carburanti: da aumento prezzi benzina e gasolio stangata da 205 euro a famiglia

02/03/2021

La corsa ininterrotta dei listini dei carburanti produce una vera e propria stangata per le tasche dei consumatori, portando il pieno di benzina a costare oggi 8,5 euro in più rispetto a maggio 2020, quando i prezzi alla pompa toccarono i livelli più bassi dell’anno. Un rincaro che, solo per costi diretti di rifornimento, produce oggi un aggravio di spesa da +205 euro a famiglia su base annua. Lo denuncia il Codacons, che fa i conti sulle ripercussioni dei listini di benzina e gasolio sui bilanci delle famiglie.Oggi un litro di benzina costa alla pompa il 12,5% in più rispetto allo scorso maggio, mentre per il gasolio si spende il 12,2% in più. “Il rischio concreto è che l’andamento al rialzo dei prezzi di benzina e gasolio produrrà nelle prossime settimane rincari generalizzati per ortofrutta e alimentari, beni che, come noto, viaggiano su gomma, e avrà ricadute negative su tutto il comparto dell’energia, con inevitabili aggravi di spesa per i consumatori”, spiega il presidente di Codacons, Carlo Rienzi.

Greggio, Uecoop: il pieno degli italiani è fra i più cari al mondo

25/02/2021

Il pieno degli italiani è fra i più cari al mondo con il costo dei carburanti al distributore che segue sempre in maniera rapidissima l’aumento del prezzo mondiale del petrolio. Così emerge da un’elaborazione dell’Unione europea delle cooperative (Uecoop), sugli ultimi dati del Ministero dello Sviluppo economico in riferimento al record del prezzo del petrolio secondo cui il balzo dei prezzi al distributore di benzina e diesel (+5%) dall’inizio dell’anno pesa su famiglie e imprese già colpite dagli effetti sull’economia e sulla salute dell’emergenza Covid.

I prezzi del pieno al dettaglio da nord a sud della Penisola possono variare – evidenzia Uecoop – a seconda che si vada in una pompa servita o self service, che ci si trovi dentro la rete autostradale oppure che si faccia rifornimento in una cosiddetta pompa bianca, ossia fuori dalla rete delle grandi aziende petrolifere. La spesa per energia e carburanti incide sulle possibilità di ripresa del Paese con più della metà delle imprese che – secondo l’indagine Uecoop – teme che una vera ripartenza non possa avvenire prima della seconda parte del 2021.

Carburanti: prezzi ancora in salita, +9,6% per benzina e +10,8% per gasolio da novembre

23/02/2021

Secondo i dati settimanali del ministero dello Sviluppo Economico salgono ancora i prezzi dei carburanti, che in una sola settimana passano da 1,500 a 1,519 euro al litro per la benzina e da 1,373 a 1,391 euro per il gasolio. E così in una sola settimana un pieno da 50 litri è aumentato di quasi 1 euro: 95 cent per la benzina e 90 cent per il gasolio. Da metà novembre ad oggi, c’è stata un’impennata dei prezzi del 9,6% per la benzina e del 10,8% per il gasolio. “In valore assoluto – calcola l’Unione Nazionale Consumatori – si tratta di 13,31 cent al litro per la benzina e 13,56 cent al litro per il gasolio. Su un pieno di 50 litri l’aggravio è di 6 euro e 65 cent per la benzina e 6 euro e 78 cent per il gasolio. Su base annua è pari ad una stangata ad autovettura pari a 160 euro all’anno per la benzina e 163 euro per il gasolio”.

Desertificazione commerciale: dal 2012 ad oggi sparite 77mila attività

22/02/2021

In otto anni in Italia le città hanno subito un processo di desertificazione commerciale con oltre 77mila attività di commercio al dettaglio letteralmente svanite e quasi 14mila imprese di commercio. Questi i dati che mergono dall’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “Demografia d’impresa nelle città italiane” secondo cui tra il 2012 e il 2020 – secondo l’analisi – si è verificato un cambiamento del tessuto commerciale all’interno dei centri storici che la pandemia tenderà a enfatizzare.

Dal telefonino ai rubinetti, possibile cancellazione di tutti i bonus dell’era Conte

Una sfilza di bonus – dagli occhiali da vista allo sconto per l’auto elettrica – introdotti con l’ultima legge di Bilancio, restano sospesi in attesa dei decreti attuativi

20 Febbraio 2021

A guardare alcuni ministri non sembrerebbe. Ma il governo presieduto da Mario Draghi, che gode di una larga maggioranza parlamentare, è molto diverso da quello precedente di Giuseppe Conte. Tra gli elementi di rottura, c’è un approccio diverso anche al welfare. Nel primo giro di consultazioni si cominciava a dire: “Opportunità, non sussidi”. Meno assistenzialismo significa sì basta mancette ma anche stop ai bonus vari. Compresi quelli in attesa di attuazione.

I BONUS IN BILICO

L’ultima legge di Bilancio prevedeva una pioggia di bonus e agevolazioni per le famiglie meno abbienti. In base all’Isee sono stati previsti incentivi che vanno dal telefonino nuovo, fino agli occhiali da vista, passando per i rubinetti da rifare e lo sconto per l’acquisto di un’auto elettrica. Tutti questi bonus sono stati previsti in manovra ma sono in attesa del decreto attuativo da parte del ministero di riferimento. E c’è già chi comincia a credere nel sempre valido “aspetta e spera”.

SMARTPHONE ADDIO?

L’ex governo Conte aveva puntato forte sui bonus. L’incentivo per l’acquisto dello smartphone, per esempio, aveva come fine ultimo quello di spingere il Paese verso la digitalizzazione. Il ministro dell’Innovazione tecnologica, Vittorio Colao, come spiega il Messaggero, sembra che non abbia però l’incentivo smartphone in cima alla lista delle priorità. Per rendere operativo il bonus, riservato alle famiglie con un Isee inferiore a 20mila euro, occorre una firma sul decreto attuativo del ministro Colao e pure del premier Draghi. Il termine previsto è quello dei 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di Bilancio. Ma è praticamente impossibile che il “telefonino di Stato” venga distribuito alle famiglie nel mese di marzo.

IL BONUS OCCHIALI

Le famiglie più in difficoltà, con un reddito Isee inferiore a 10mila euro, potrebbero accedere a un bonus da 50 euro per l’acquisto di occhiali da vista o per lenti correttive. La competenza, in questo caso, è del ministro della Salute, Roberto Speranza, che dovrebbe firmare il decreto attuativo. Considerando che il ministro è alle prese con ben altre emergenze e che per questo bonus non è stato previsto neanche un termine di scadenza per il via libera, il rischio che resti tutto solo sulla carta è piuttosto alto.

LO SCONTO PER L’AUTO ELETTRICA

In molti lo stanno aspettando per cambiare macchina. Il bonus per l’auto elettrica, infatti, prevedeva uno sconto del 40% per l’acquisto di una vettura green per le famiglie con un Isee inferiore a 30mila euro. Il termine è fissato a 30 giorni dall’entrata in vigore della legge di Bilancio, quindi inizio febbraio. Ma anche in questo caso tutto tace. Proprio come il passaggio di un’auto elettrica.

REVISIONE E RUBINETTI

E restando in argomento auto, tra le misure che non sono ancora entrate in vigore – e chissà quando lo faranno – c’è anche il decreto attuativo per confermare l’aumento di 9,95 euro del costo della revisione dell’auto e dara l’avvio al bonus veicoli sicuri. Anche su questo fronte, non sono arrivate ancora notizie dal ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Da un ministero all’altro. Quello tutto nuovo della Transizione ecologica, guidato da Roberto Cingolani, dovrà anche affrontare il bonus per l’acquisto dei rubinetti. Da mille fino a 2mila e 500 euro per le famiglie e fino a 5mila euro per le aziende che sostituivano i vecchi con rubinetti anti-spreco di acqua. Il decreto attuativo è atteso per la fine di febbraio, ma per adesso, anche in questo caso, nessuna certezza.

Rincari prezzi benzina e diesel, un pieno costa oltre 5 euro in più rispetto a tre mesi fa

16/02/2021

Dai dati settimanali del ministero dello Sviluppo Economico emerge una nuova salita dei prezzi dei carburanti, attestandosi a 1,50 euro al litro per la benzina e 1,373 euro per il gasolio.

“Ormai sono inarrestabili i rincari dei carburanti, iniziati a metà novembre. In una sola settimana un pieno da 50 litri è aumentato di 58 cent per la benzina e 61 per il gasolio. In 3 mesi esatti, dal 16 novembre ad oggi, c’è stata un’infiammata dei prezzi dell’8,3% per la benzina e del 9,4% per il gasolio. In valore assoluto si tratta di 11,5 cent al litro per la benzina e 11,8 cent al litro per il gasolio. Su un pieno di 50 litri l’aggravio è di 5 euro e 75 cent per la benzina e 5 euro e 88 cent per il gasolio. Su base annua è pari ad un incremento di spesa per autovettura pari a 138 euro all’anno per la benzina e 141 euro per il gasolio” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

Cedolare secca sugli affitti nel mirino di Cottarelli, che vuole aumentare le tasse ai proprietari di case

L’economista e già commissario alla “spending review” propone di alzare la tassazione sulle rendite immobiliari per ragioni di equità fiscale.

14 Febbraio 2021 

Nel maggio del 2018, ricevette l’incarico di formare il nuovo governo, il primo di questa legislatura, chiamato da Washington dal presidente Sergio Mattarella. Ma l’economista e già commissario alla “speding review” Carlo Cottarelli dovette tornarsene a casa con lo stesso trolley con cui era rientrato a Roma. A leggere alcune delle sue dichiarazioni, diremmo per fortuna. Un esempio del suo pensiero scarsamente illuminato ce lo offre sulla proposta di elevare la tassazione sulle rendite immobiliari. In particolare, a Cottarelli non va proprio giù la cedolare secca sugli affitti.Nel 2011, l’allora governo Berlusconi introdusse una tassazione forfetaria sui canoni di locazione, prevedendo due aliquote: al 21% per i canoni di libero mercato e al 10% per quelli concordati. Le due aliquote si applicano solamente agli immobili locati ad uso abitativo. Di quella più bassa ci si può avvalere nei casi in cui il proprietario dell’immobile conceda un’abitazione in locazione a un canone non superiore a quello massimo per metro quadrato fissato dagli accordi locali tra associazioni degli inquilini con quelle dei conduttori degli immobili.L’obiettivo della cedolare secca è stato sin da subito favorire i proprietari per vivacizzare il mercato degli affitti. In alternativa, questi possono avvalersi della tassazione ordinaria, ovvero sottoporsi alle aliquote IRPEF, che variano in base al reddito dal 23% al 43%. Va da sé che la cedolare secca convenga praticamente sempre, essendo la sua aliquota del 21% (10% solo per i casi sopra indicati), cioè inferiore all’aliquota IRPEF minima.Secondo Cottarelli, non va bene. Egli sostiene, infatti, che questa normativa non sarebbe equa, in quanto il proprietario dell’immobile si ritroverebbe a pagare meno di quanto dovrebbe con il primo scaglione IRPEF e anche meno del 26% imposto sulle rendite finanziarie.A suo avviso, la cedolare secca verrebbe concessa “in cambio di nulla”, visto che i canoni su cui grava sono di libero mercato. Si perderebbero, stando ai suoi calcoli, 1,5 miliardi di gettito annuo, che potrebbe essere destinato a sostenere l’edilizia pubblica. L’economista dimentica, tuttavia, che chi si avvale della tassazione forfetaria non può aumentare il canone nel corso della durata del contratto, per cui si espone a un certo rischio, pur minimo negli ultimi anni. Infatti, con la tassazione ordinaria potrebbe ogni anno aumentare il canone di locazione all’inquilino secondo l’inflazione rilevata dall’ISTAT.

Locazioni brevi e cedolare secca: oltre 4 appartamenti è attività di impresa

La cantonata di Cottarelli sugli affitti

Secondariamente, quella che Cottarelli definisce una misura iniqua serve semplicemente ad attenuare la già elevata tassazione sugli immobili. Ricordiamo, ad esempio, che il proprietario deve pagare anche l’IMU, una grossa batosta in molti casi e che può superare benissimo i 1.000 euro l’anno. E i costi non si fermano qui, perché quelli legati alla manutenzione straordinaria restano chiaramente a carico del proprietario. Si tratta di spese che prima o poi arrivano, specie per gli immobili di costruzione più datati. E se l’inquilino non versa uno o più canoni mensili, poco importa: l’IMU e la cedolare secca o l’aliquota IRPEF dovranno essere pagate ugualmente. Non sono pochi i casi di chi versa al fisco più di quanto riesce a incassare dall’affitto, specie in periodi di crisi come questa, in cui molti affittuari versano in condizioni finanziarie molto negative.A inizio anni Novanta, il legislatore rimosse finalmente la legge sull’equo canone, introdotta negli anni Settanta, resosi conto che una misura volta a garantire gli inquilini, cioè il contraente presumibilmente debole, era finita con il danneggiarli. Come? Molte case rimanevano sfitte perché i proprietari si rifiutavano di darle in locazione a tariffe troppo basse rispetto al rischio di inadempienza contrattuale. Molte altre venivano affittate in nero, sfuggendo al fisco e alle elementari regole di tutela delle parti.Con la cedolare secca, il legislatore ha voluto compiere un nuovo passo in avanti nel favorire il mercato degli affitti, facendo emergere irregolarità da un lato e nuova offerta dall’altro.Se la tassazione sui canoni di locazione venisse inasprita, due sarebbero le conseguenze d’impatto: molti proprietari scaricherebbero l’aggravio sugli inquilini e altri rinuncerebbero a locare le abitazioni (in regola). Anche questo secondo scenario porterebbe a una lievitazione dei canoni per effetto della minore offerta disponibile, specie nelle grandi città.Infine, ci permettiamo di far notare a Cottarelli che un possedere un secondo immobile di proprietà non è roba da avidi fortunati, ma frutto di risparmio proprio o delle precedenti generazioni. Il risparmio è ciò che resta dopo avere consumati il reddito, cioè pagato sia l’IRPEF che l’IVA. Chi risparmia ha già dato allo stato. Tartassare i risparmi non è mai un buon viatico per favorirli. E senza risparmi non ci sono neppure investimenti, quelli che all’Italia servono come l’aria per tornare a crescere. Gli immobili, poi, non sono investimenti secondari, perché senza si rischia di strozzare il mercato del lavoro in certe aree ad alta intensità abitativa. Le locazioni favoriscono anche la ristrutturazione degli immobili e accrescono di conseguenza il decoro urbano. Stangarle equivale a danneggiare un comparto, quello dell’edilizia, dimostratosi pro-ciclico e che in realtà come il Portogallo ha consentito proprio grazie a misure di sostegno del mercato degli affitti di attrarre fette di turismo internazionale dopo avere riqualificato intere zone quasi ghettizzate fino a qualche anno prima.

Il modello Airbnb fa il miracolo in Portogallo e il premier Costa ne ha approfittato

Prezzi carburanti, sale ancora il costo di benzina e diesel

I prezzi di benzina e diesel continuano ad aumentare, la situazione a febbraio.

08 Febbraio 2021 

Prezzi benzina e diesel

prezzi dei carburanti continuano a crescere in Italia, complice il rincaro delle quotazioni dei prodotti petroliferi in Mediterraneo registrato nella giornata di venerdì. Questa mattina gli automobilisti hanno dovuto fare i conti con un’amara sorpresa una volta arrivati presso la stazione di servizio per il rifornimento, con il listino dei prezzi rivisto ancora una volta verso l’alto.Settimana dopo settimana dunque, il costo di benzina e diesel sta lentamente tornando sui valori registrati pochi giorni dopo l’inizio della pandemia, prima che la quotazione crollasse a causa del lockdown. A seguire i prezzi medi praticati sia al self service che al servito per benzina e diesel, in aggiunta a una panoramica completa riguardo GPL e metano.

Prezzi medi praticati al self service per ogni litro di benzina al 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 1,515 euro al litro
Esso: 1,491 euro al litro
Api-IP: 1,499 euro al litro
Q8: 1,503 euro al litro
Tamoil: 1,490 euro al litro
No logo: 1,471 euro al litro

Prezzi medi praticati al self service per ogni litro di diesel al 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 1,392 euro al litro
Esso: 1,363 euro al litro
Api-IP: 1,374 euro al litro
Q8: 1,372 euro al litro
Tamoil: 1,359 euro al litro
No logo: 1,342 euro al litro

Prezzi medi praticati al servito per ogni litro di benzina al 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 1,707 euro al litro
Esso: 1,648 euro al litro
Api-IP: 1,691 euro al litro
Q8: 1,670 euro al litro
Tamoil: 1,587 euro al litro
No logo: 1,523 euro al litro

Prezzi medi praticati al servito per ogni litro di diesel al 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 1,586 euro al litro
Esso: 1,523 euro al litro
Api-IP: 1,578 euro al litro
Q8: 1,545 euro al litro
Tamoil: 1,462 euro al litro
No logo: 1,395 euro al litro

Prezzi medi praticati per il GPL al 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 0,652 euro al litro
Esso: 0,643 euro al litro
Api-IP: 0,632 euro al litro
Q8: 0,639 euro al litro
Tamoil: 0,634 euro al litro
No logo: 0,622 euro al litro

Prezzi medi praticati per il metano al giorno 9 febbraio 2021

Agip-Eni: 0,993 euro al litro
Esso: 0,986 euro al litro
Api-IP: 0,978 euro al litro
Q8: 0,988 euro al litro
Tamoil: 0,994 euro al litro
No logo: 0,972 euro al litro.

Bce: Weidmann vede forte ripresa inflazione nel 2021, auspica cautela su debito

L’inflazione aumentera’ in maniera sensibile nel corso del 2021 a causa della fine del ribasso temporaneo sull’Iva attuato dalla Germania lo scorso anno e alla nuova tassa sulle emissioni di CO2. E’ quanto ha detto il presidente della Bundesbank Jens Weidmann in una intervista all’Augsburger Allgemeine. Secondo Weidmann, proiettando i dati di inizio anno si potrebbe arrivare alla fine dell’anno a un aumento dei prezzi del 3%. Molto tuttavia dipendera’ da come ripartiranno i consumi dopo la fine delle misure di lockdown per la pandemia e dal fatto se ad esempio gli operatori del settore turismo aumenteranno i prezzi. “Una cosa e’ chiara – ha detto – il tasso di inflazione non rimarra’ basso come lo scorso anno nel lungo termine”. Un sensibile aumento dell’inflazione avrebbe ovviamente ripercussioni sulla politica monetaria che al momento e’ pienamente volta a contrastare gli effetti della pandemia.
“La politica monetaria tirera’ le redini – ha detto – se le previsioni sui prezzi lo richiederanno. Al momento, tuttavia, l’obiettivo e’ combattere le conseguenze della pandemia, motivo per cui la politica monetaria e’ tornata ad essere piu’ espansiva”. Tuttavia, ha aggiunto, “quando i tassi di inflazione aumenteranno nell’area dell’euro, discuteremo di nuovo della direzione fondamentale della politica monetaria”.
Weidmann ha indicato inoltre di non condividere i timori di quanti temono un’ondata storica di fallimenti. Secondo il numero uno della Bundesbank, il numero di fallimenti provocati dalla pandemia rimarra’ al di sotto del livello di altre crisi, come la grande crisi finanziaria di dieci anni fa. Weidmann ha infine messo in guardia contro una sospensione a lungo termine dei limiti all’indebitamento da parte degli Stati. “La Germania ha fatto bene con i limiti all’indebitamento – ha concluso – non va dimenticato che proprio questa politica ci ha permesso di consolidare le finanze statali nei momenti favorevoli” permettendo al paese di reagire in modo adeguato a fronte della crisi.

Quale riforma fiscale per il governo Draghi? Bonus Renzi, detrazioni e aliquote IRPEF nel mirino

Capitolo tasse oggetto di discussione durante le seconde consultazioni tra il premier incaricato e i partiti. Vediamo quello che emerge.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 11 Febbraio 2021 alle ore 07:51

Quale riforma delle tasse con Mario Draghi?

Uscendo dalle seconde consultazioni con il premier incaricato, il leader della Lega, Matteo Salvini, si è mostrato soddisfatto per la rassicurazione ricevuta da Mario Draghi che non ci saranno aumenti delle tasse. Poco prima, l’alleata Giorgia Meloni, l’unica che non voterebbe la fiducia al nuovo esecutivo, aveva espresso rammarico sulla mancata introduzione della “flat tax”. Ecco, prende forma il piano di riforma fiscale del prossimo governo, che cercherà sul tema di accontentare un po’ le opposte fazioni. E non sarà né facile, né auspicabile, dato che un modello fiscale in sé deve essere coerente e non pasticciato.

Ad ogni modo, emerge per l’appunto che Draghi non voglia introdurre la “flat tax”, quell’aliquota unica al 15% su tutti i redditi, che il centro-destra propone da anni. Al contrario, il premier incaricato punterà su un modello di progressività dell’IRPEF, pur cercando di renderlo compatibile con l’incentivo al lavoro. Cosa significa nel concreto? Un’imposta si dice progressiva, quando la sua aliquota aumenta rispetto al reddito. Tuttavia, essa disincentiva l’occupazione e incentiva l’economia sommersa. Un esempio: se guadagno fino a 28 mila euro all’anno, pagherò sopra i 15.000 euro il 27%. Dai 28 fino ai 55 mila euro, l’aliquota s’impenna al 38%. Quindi, se lavorassi un po’ di più e guadagnassi, per ipotesi, 29 mila euro, sui 1.000 euro aggiuntivi pagherei 110 euro di IRPEF in più, cioè 380 anziché 270.

A tale proposito, stando alle indicazioni che arrivano da PD e Leu, sembra che Draghi possa prendere in considerazione il modello tedesco, in base al quale la progressività dell’imposta evita quei “salti” tipici degli scaglioni, avvenendo secondo un algoritmo che innalza gradualmente la tassazione man mano che il reddito aumenta.Questa riforma non sarebbe ben vista dal centro-destra e da Italia Viva e, comunque, continuerebbe a disincentivare l’occupazione, pur in maniera più soft.

Flat tax o modello tedesco: ecco le alternative proposte dell’Agenzia delle Entrate

La giungla fiscale complica qualsiasi riforma

Il ragionamento è complicato dalla confusione creata dall’attuale sistema fiscale, che si regge su una miriade di detrazioni e trattamenti differenziati tra categoria e categoria. Uno dei problemi da risolvere una volta per tutte sarà il bonus Renzi, innalzato di recente da 80 a 100 euro al mese. Così com’è stato congegnato sin dal 2014 non è formalmente una detrazione e, soprattutto, accresce quel “salto” per i contribuenti oltre una certa soglia di reddito, contribuendo a far impennare ulteriormente la tassazione. L’ipotesi, tecnicamente tutt’altro che semplice, sarebbe di sostituirlo con un taglio delle aliquote per i redditi medio-bassi, tale da esitare per i lavoratori un reddito netto sostanzialmente simile. Sul piano contabile, finalmente il bonus IRPEF non verrebbe più considerata una voce di spesa.

Ma come finanziare queste misure di riduzione complessiva del carico fiscale? Attraverso il taglio delle detrazioni. Ne esistono ormai ben 513 e sottraggono allo stato gettito fiscale per circa 100 miliardi all’anno. Eliminarle non sarà neppure in questo caso semplice. Anzitutto, perché molti contribuenti hanno approfittato di questo o quell’incentivo fiscale per acquistare un bene o un servizio, confidando in una riduzione pluriennale dell’IRPEF. Venire meno alla parola data sarebbe dannoso per la credibilità dello stato, forse persino incostituzionale. Inoltre, le detrazioni, che aumentano di anno in anno, sono lo specchio di una sorta di “clientelismo” dei governi di turno a favore di questa e quella categoria. Si pensi ai bonus mobili o quello per gli abbonamenti in palestra, etc.

Tagliare la giungla delle detrazioni andrebbe anche nella direzione di rendere il fisco più equo, dato che le varie analisi svolte su di esse hanno esitato un paradosso: lo stato con una mano fissa aliquote elevate sui redditi medio-alti, con l’altra abbassa il carico fiscale su di essi attraverso le detrazioni.I redditi incapienti, infatti, non possono accedervi, se non parzialmente. Pertanto, queste misure finiscono per premiare coloro che possono “scaricare” dalle tasse importi anche ingenti. Per contro, la riduzione delle detrazioni contribuirebbe a innalzare la pressione fiscale sui redditi più alti, tornando a disincentivare l’occupazione, a meno di compensarla con adeguati tagli alle aliquote. Dubitiamo che ciò avvenga, specie se consideriamo che il governo Draghi sarà sostenuto verosimilmente da forze come PD e Movimento 5 Stelle, oltre che Leu, notoriamente contrari ad abbassare le tasse ai ceti medio-alti.

Detrazioni fiscali addio e aliquote IRPEF più basse? Ecco lo scambio possibile

Niente aumenti di tasse

Infine, cosa accadrà a IVA e IMU? Sappiamo da molti anni che i “tecnici” siano molto propensi ad assecondare l’impostazione europea, in base alla quale la pressione fiscale andrebbe abbassata sui redditi e innalzata sui consumi e gli immobili. Tuttavia, la presenza del centro-destra nel nuovo esecutivo avrebbe sventato un tale scenario, tant’è che ieri, come dicevamo nell’incipit dell’articolo, Salvini avrebbe ricevuto garanzie da Draghi che non sarà aumentata alcuna imposta e che non vi saranno né una patrimoniale, né un prelievo forzoso.

Infine, il Superbonus 110%. E’ tecnicamente una detrazione e, in teoria, dovrebbe rientrare in quell’area da sfoltire per finanziare il taglio delle tasse. Ma nel caso specifico la linea sarebbe diversa. Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega avrebbero chiesto a Draghi di mantenere e prorogare l’incentivo, al fine di sostenere l’edilizia. Non a caso, sempre ieri Salvini snocciolava il dato, in base al quale per ogni 1 miliardo speso nel settore, verrebbero creati 15 mila posti di lavoro. Dunque, il Superbonus non verrebbe toccato, anzi dovremmo attenderci uno sfoltimento della lunga trafila burocratica necessaria per accedervi e che, ad oggi, ha frenato paradossalmente i lavori di ristrutturazione, specie nei condomini. Peraltro, il maxi-incentivo verrebbe mantenuto in chiave “green”. E sulla transizione ecologica, il premier incaricato vuole compiere sostanziali passi in avanti, anche avvalendosi dei fondi europei del Recovery Plan, ricevendo sostegno sul tema specie dai “grillini”.Sulle tasse Draghi si giocherà la faccia. Siamo abituati ormai da 30 anni ad associare i governi tecnici alle stagnate fiscali. L’ex governatore della BCE dovrà smentire tale sensazione e i partiti che lo sostengono pagherebbero un prezzo politico altissimo, nel caso in cui alle rassicurazioni non corrispondessero i fatti.

Reddito di cittadinanza, quota 100 e patrimoniale: i primi nodi del governo Draghi

Per i super ricchi la recessione è finita ma i poveri ci metteranno dieci anni a riprendersi

Entro il 2030 oltre mezzo miliardo di persone in più vivranno con un reddito inferiore a 5,50 dollari al giorno mentre le risorse delle dieci persone più ricche al mondo sono cresciute al punto da poter pagare il vaccino per tutta la popolazione mondiale. È la mappa della disuguaglianza secondo il rapporto Oxfam appena diffuso

di Giuliana Licinihttps://stream24.ilsole24ore.com/embed/ADSWgZFB?autoplay=1&mute=1Covid, Israele chiude i cieli. Usa: stop ai viaggi dall’Europa

3′ di lettura

Non è solo una pandemia sanitaria, quella del Covid-19, ma anche delle disparità, che la crisi ha allargato a dismisura. Le mille persone più ricche del mondo hanno recuperato in appena nove mesi tutte le perdite causate dall’emergenza della scorsa primavera e anzi hanno iniziato ad accumulare altra ricchezza, mentre i più poveri per riprendersi dalle catastrofiche conseguenze economiche della pandemia potrebbero impiegare più di 10 anni. È quanto emerge da “Il virus della disuguaglianza”, il rapporto pubblicato da Oxfam, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos.

Ricchi sempre più ricchi …e poveri sempre più poveri

Per la prima volta in un secolo, si potrebbe registrare un aumento della disuguaglianza economica in quasi tutti i Paesi contemporaneamente, sottolinea lo studio. Anche un sondaggio globale svolto da Oxfam tra 295 economisti in 79 paesi, tra cui Jeffrey Sachs, Jayati Ghosh e Gabriel Zucman, va in questa direzione, con l’87% degli intervistati che si aspetta “un aumento” o “un significativo aumento” della disuguaglianza di reddito nel proprio Paese, a causa della pandemia. In assenza di un’azione adeguata e coerente da parte dei Governi, la Banca Mondiale prevede che entro il 2030 oltre mezzo miliardo di persone in più vivranno in povertà, con un reddito inferiore a 5,50 dollari al giorno. Il rapporto evidenzia come la pandemia abbia acuito le disuguaglianze non solo economiche e sociali, ma anche razziali e di genere pre-esistenti.Leggi anche

Nella mani di dieci uomini la ricchezza sufficiente per i vaccini

Nel mondo i dieci uomini più ricchi hanno visto la loro ricchezza aumentare di 540 miliardi di dollari dall’inizio della pandemia. É una somma che sarebbe più che sufficiente a pagare il vaccino per tutti gli abitanti del pianeta e assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus, sottolinea Oxfam. Con la ripresa dei mercati azionari le fortune dei miliardari hanno raggiunto i massimi storici: a dicembre la loro ricchezza totale aveva raggiunto 11.950 miliardi di dollari, l’equivalente delle risorse stanziate dai Paesi del G20 per rispondere agli effetti della pandemia.

Per le donne il danno maggiore

Tra marzo e dicembre 2020, mentre la pandemia innescava la più grave crisi occupazionale degli ultimi 90 anni, il valore netto del patrimonio di Jeff Bezos è aumentato di 78,2 miliardi di dollari. In Italia da marzo la ricchezza di 36 miliardari italiani è aumentata di oltre 45,7 miliardi di euro, una somma che equivale a 7.570 euro per ognuno dei 6 milioni di italiani che rientrano tra il 10% più povero della popolazione. La ripresa per chi era in difficoltà già prima del Covid sarà invece dura e lunga: prima che il virus colpisse, la metà dei lavoratori nei Paesi più vulnerabili versava in condizione di povertà e tre quarti della forza lavoro non godeva di alcuna forma di protezione sociale, come l’indennità di malattia e i sussidi di disoccupazione. Le donne, ancora una volta, hanno subito i danni maggiori dalla crisi, perché sono maggiormente impiegate nei settori più duramente colpiti dalla pandemia. In generale, inoltre, le donne rappresentano più del 70% della forza lavoro impiegata in professioni sanitarie o lavori sociali e di cura. Questo le espone a maggiori rischi in tempo di pandemia, sia sanitari, sia collegati alla tutela del reddito. Rischi che non trovano comunque riscontro nelle retribuzioni di queste categorie. In Italia oggi un’infermiera dovrebbe lavorare 127 anni per guadagnare quanto un amministratore delegato di una grande azienda in un anno.Leggi anche

Le disuguaglianze etniche

La pandemia uccide in modo disuguale anche a seconda delle etnie. I brasiliani di ascendenza africana hanno il 40% di probabilità in più di morire di Covid-19 rispetto alla popolazione bianca e negli Stati Uniti 22.000 cittadini afro-americani e latino-americani sarebbero ancora vivi se il loro tasso di mortalità fosse stato uguale a quello dei bianchi. Secondo Oxfam, la ripresa dal Covid passa per la creazione di sistemi economici più equi. L’organizzazione rileva che una tassa temporanea sugli extra-profitti maturati da 32 multinazionali durante la pandemia avrebbe generato 104 miliardi di dollari nel 2020, un ammontare di risorse equivalente a quello necessario per garantire indennità di disoccupazione a tutti i lavoratori e supporto finanziario per bambini e anziani in tutti i paesi a basso e medio reddito.

Il Parlamento Ue vuole risolvere la precarietà abitativa in Europa: una svolta epocale

Il Parlamento Ue vuole risolvere la precarietà abitativa in Europa: una svolta epocale

Il 21 gennaio 2021 il Parlamento europeo ha approvato, nel più completo disinteresse degli organi di informazione, a larga maggioranza una risoluzione che ha l’ambizione di indicare alla Commissione europea e agli Stati membri le modalità per risolvere la precarietà abitativa in Europa.

Questa storica risoluzione chiede politiche di edilizia pubblica a fronte al fallimento del neoliberalismo. Chiede, infatti, alla Commissione Europea e agli Stati membri di agire per affrontare la crisi edilizia e i senzatetto attraverso politiche fondate sul diritto all’alloggio ratificato dagli Stati e dall’Unione Europea con la Carta sociale e il Pilastro dei diritti sociali.

Chiede: lo stop agli sfratti di affittuari e mutuatari, edilizia sociale più pubblica e sostenibile anche utilizzando le risorse del Recovery Fund; la regolamentazione del mercato degli affitti per contrastare gli affitti alti; la regolazione degli affitti brevi; l’abbandono di politiche di segregazione sociale.

Le politiche neoliberiste che hanno alimentato la privatizzazione, la finanziarizzazione e la speculazione immobiliare hanno prodotto in Europa più di 700,000 senzatetto ed oggi il 9,6% delle famiglie e il 48% dei giovani spendono più del 40% del proprio reddito in affitto.

Nei paesi dell’Ue si stima una carenza di investimenti in alloggi sociali e a basso costo di affitto di circa 57 miliardi di euro all’anno. Non ci sono più scuse per non utilizzare il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di transizione Just, InvestEu, Fse+, Horizon Europe e Next Generation Eu e soprattutto ora il Recovery Fund per le case popolari. Spetta, ora, alla presidenza portoghese dell’Unione Europea nella prima metà del 2021 e alla commissaria Ursula Von Der Leyen essere coerenti con la volontà di attuare politiche abitative efficaci come quelle indicate nel testo della Risoluzione approvata dal Parlamento europeo.

Ecco perché la riforma del catasto serve, ma è complicatissimo modificare la tassazione sugli immobili

Una proposta di legge del Movimento 5 Stelle, depositata in Commissione Finanze della Camera, ha tutta l’aria di essere una patrimoniale sotto mentite spoglie.

18 Gennaio 2021 

Gli effetti di una riforma del catasto

Il deputato del Movimento 5 Stelle, Azzurra Cancelleri, ha depositato una proposta di legge in Commissione Finanze della Camera sulla riforma del catasto. Obiettivo: rivedere la tassazione sugli immobili. Il tema è molto spinoso sul piano politico e pone grossi problemi anche su quello tecnico. Se ne parla da molti anni e l’ultimo tentativo concreto di mettere mano alla disciplina fu nel 2015, quando l’allora governo Renzi con una legge delega voleva riformare il sistema impositivo. Non ci riuscì e non è detto che ci si riesca stavolta.Per prima cosa, dobbiamo sapere che gli immobili ogni anno fruttano allo stato un gettito fiscale di quasi 41 miliardi di euro, 40,6 miliardi nel 2018, pari al 2,3% del PIL. Una fonte di entrata importante e dietro solo alla Francia tra le grandi economie dell’OCSE. Di questi, il grosso arriva dall’IMU, ma ci sono anche la TASI, l’IRPEF sui canoni di locazione, le imposte di successione e donazione o sulle compravendite.Il patrimonio immobiliare italiano incide per circa il 60% dell’intera ricchezza delle famiglie, valendo qualcosa come attorno ai 6.000 miliardi tra fabbricati e terreni. Non è un caso che nel nostro Paese l’idea di una imposta patrimoniale sia sempre in voga, sebbene gli immobili già siano tartassati più e più volte. Ad ogni modo, la riforma del catasto in sé sarebbe sensata, ma come vedremo risulta di difficile applicazione.Finora, imposte come l’IMU vengono calcolate sui valori catastali, i quali a loro volta dipendono essenzialmente dal numero dei vani. Si stima che mediamente il valore catastale, moltiplicato per i fattori forniti dal legislatore in fase di tassazione per determinare la base imponibile su cui applicare l’aliquota, sia mediamente 2-2,5 volte più basso del valore di mercato.In altre parole, un immobile che oggi varrebbe circa 150 mila euro mi verrebbe valutato ai fini impositivi sui 70-80 mila.

Immobiliare: altra mazzata sulla casa con riforma catasto

Nuova tassazione sugli immobili patrimoniale mascherata

Le distanze tra valore catastale e valore di mercato tendono ad ampliarsi per quegli immobili situati in aree urbane dalle quotazioni in forte crescita, magari a seguito di fenomeni demografici (immigrazione, crescita della popolazione residente) e socio-economici (riqualificazione urbana, sviluppo locale, vicinanza a sedi aziendali, etc.). Nella proposta di legge, il valore catastale verrebbe determinato non più sugli obsoleti vani, bensì sui metri quadrati, anche se la sola superficie di un immobile in sé non risulta criterio sufficiente per individuare quanto più possibile il valore di mercato dell’immobile.Ad ogni modo, facile a dirsi, ma bisognerà fare i conti con la necessità per gli uffici dell’Agenzia delle Entrate di dotarsi di tecnici e molto tempo per procedere alla rivalutazione immobile per immobile. Ci vorrebbero anni e ingenti risorse da impiegare allo scopo. Ma il vero punto non è nemmeno questo, quanto l’impatto che una riforma del catasto avrebbe sul gettito fiscale, sui contribuenti e sulle amministrazioni locali. Pur riducendo in proporzione l’aliquota IMU per adeguarla alla rivalutazione media nazionale, molti contribuenti si ritroverebbero a pagare di più e altri di meno, a seconda di come siano variati i valori per ciascun immobile. E questa redistribuzione creerebbe malcontento e finanche possibili nuove disparità. In teoria, chi vive o possiede una seconda casa in centro dovrebbe pagare di più, visto che i valori di mercato qui risultano mediamente superiori, ma molti centri sono disabitati per lo spopolamento e i proprietari spesso si sono ritrovati semplicemente ad ereditare immobili per i quali trovano difficile vendere per sottrarsi a costi indesiderati.Per non parlare delle variazioni che subirebbero gli enti locali sul fronte del gettito. I comuni più ricchi incasserebbero di più, quelli più poveri di meno, accentuando le differenze tra nord e sud e tra aree più e meno sviluppate all’interno delle stesse regioni e province.L’unica soluzione per ovviare a parte di questi problemi sarebbe porre un tetto alla tassazione sugli immobili, con l’introduzione di una sorta di clausola di salvaguardia, in base alla quale nessuno pagherebbe più di quanto faccia oggi con l’attuale sistema catastale. Ma ciò provocherebbe una perdita di gettito fiscale a carico di comuni e stato centrale, perché a fronte di chi si ritroverebbe a pagare di meno, gli altri non pagherebbero di più. Inoltre, verrebbe meno la stessa ragione per passare dall’uno all’altro sistema impositivo, che sarebbe formalmente di rendere più moderna e aderente alla realtà del mercato la tassazione sugli immobili. Per questo, la riforma del catasto ha tutta l’aria di essere una patrimoniale mascherata: i valori catastali salirebbero inevitabilmente e le aliquote verrebbero ridotte in misura meno che proporzionali per aumentare il gettito, magari con lo stato centrale ad appropriarsi in gran parte o in tutto di quello extra.

La ricetta suicida di Bankitalia contro la crisi: l’IMU sulla prima casa e l’aumento dell’IVA 

Imprese e Covid: per i parrucchieri cali fatturato del 45%, centri estetici al collasso

22/01/2021

Devastante effetto del Covid sul settore benessere ed estetica. Pur essendo rimasti aperti in questi mesi, anche nelle zone rosse, parrucchieri e barbieri stanno registrando pesanti cali di fatturato: molti hanno subito riduzioni che si aggirano intorno al 45% e in centinaia rischiano di dover cessare l’attività. Per non parlare del settore dell’estetica che è al collasso.“Mentre il peso degli affitti non si è ridotto, chi può operare sta registrando aumenti di costo consistenti su alcuni materiali essenziali per rispettare i protocolli di sicurezza – aggiunge Sebastiano Liso Presidente Confesercenti Immagine e Benessere – A ridursi è stato solo il numero di clienti, tra contingentamenti e smartworking. Se si sommano tutti questi fattori, appare chiaro che anche chi sta continuando a lavorare si ritrova a vivere una crisi senza precedenti”.

Con la riforma del Bancomat possibili rincari sui prelievi

Bancomat spa vuole permettere alle banche di decidere in autonomia le commissioni: in caso di ok dell’Antitrust, a pagare gli aumenti maggiori sarebbero i titolari di conti online

21 Gennaio 2021

Negli ultimi anni un numero sempre maggiore di banche ha cercato di attirare nuovi correntisti offrendo il prelievo gratuito in tutti gli ATM. Ma se dovesse passare il progetto presentato da Bancomat spa, attualmente al vaglio dell’Antitrust, i costi potrebbero cambiare sensibilmente. L’idea di Bancomat spa, società partecipata da 125 banche italiane, con un peso piuttosto importante di grandi gruppi come Unicredit e Intesa, prevede che siano le singole banche proprietarie degli ATM a decidere in autonomia quale commissione applicare al prelievo di contanti.

COSA CAMBIA

Si tratterebbe di una differenza sostanziale rispetto ad oggi. Attualmente, infatti, le commissioni interbancarie per i prelievi sono fisse a 50 centesimi. Una somma che, spesso, le banche si accollano per non farle pagare ai correntisti, pratica molto diffusa soprattutto tra le banche con conti online. Queste ultime rischiano di essere le più penalizzate se questa riforma dovesse passare perché, non avendo ATM di proprietà, sarebbero completamente dipendenti dalle scelte delle banche che invece hanno punti di prelievo.

L’ESAME DELL’ANTITRUST

Naturalmente, il rischio paventato da diverse associazioni di consumatori è che il costo finale vada a ricadere sul cliente. Bancomat spa ha proposto la riforma delle commissioni sui prelievi evocando l’aumento dei costi di gestione degli ATM a carico delle banche legati all’evoluzione tecnologica e ai maggiori rischi di iniziative fraudolente più sofisticate. Insomma, secondo Bancomat i 50 centesimi “fissi” non bastano a coprire queste spese. Ma, per il momento, l’Antitrust ha annunciato di voler andare a fondo prima di dare il via libera alla riforma delle commissioni sui prelievi.

PENALIZZATI GLI UTENTI FINALI

Secondo uno studio della Bce, il 53% dei risparmiatori italiani attualmente non paga costi di prelievo. Non solo perché le banche proprietarie degli ATM non fanno pagare costi ai propri correntisti, ma anche perché molte banche online hanno fatto la scelta commerciale di sobbarcarsi i 50 centesimi previsti, alcune al di sopra di una soglia minima di prelievo. Tutto questo, se dovesse passare la riforma proposta da Bancomat spa, potrebbe presto cambiare. E a farne le spese, per esempio, potrebbero essere coloro che risiedono in piccoli comuni dove è presente un unico ATM.

Nel I semestre 2020 la più grande contrazione degli ultimi 20 anni per redditi privati non finanziari

Nel I sem. 2020 i redditi privati non finanziari hanno registrato la contrazione più forte degli ultimi 20 anni, solo in parte contrastata dalle misure di sostegno.

Così emerge dalla nuova pubblicazione diffusa oggi sul sito della Banca d’Italia, della serie “Note Covid-19”, dal titolo “I conti economici e finanziari durante a crisi sanitaria del Covid-19”. Le società finanziarie hanno registrato un’espansione delle attività finanziarie e delle passività. L’intermediazione finanziaria ha facilitato il finanziamento delle amministrazioni pubbliche attraverso i settori in avanzo finanziario, con l’impiego della maggiore raccolta bancaria nella sottoscrizione di titoli pubblici.

Italia in deflazione nel 2020: ecco i risparmi per famiglia con 1 o 2 figli, ma carrello spesa sempre più salato

I dati provvisori resi noti oggi dall’Istat evidenziano come nel 2020 l’inflazione media è stata pari a -0,2% dal +0,6% del 2019. E’ solo la terza volta dal 1954 che si verifica una variazione negativa sull’intero anno.Il rallentamento dei prezzi ha frenato la caduta del potere d’acquisto delle famiglie dovuta alla riduzione del reddito disponibile. “Insomma, se le cause della deflazione sono drammatiche, la grave recessione che ha colpito il mondo, gli effetti sono positivi” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.Per una coppia con due figli, l’inflazione media a -0,2% significa avere avuto nel 2020 una minor spesa di 77 euro. Per una coppia con 1 figlio, la tipologia di nucleo familiare ora più diffusa in Italia, la riduzione del costo della vita dello scorso anno è stata pari a 76 euro, 69 euro per una famiglia tipo, 37 euro per un pensionato con più di 65 anni, 93 euro per un single con meno di 35 anni. Dona rimarca che rispetto alle divisioni di spesa, il record dei rincari spetta, purtroppo, in termini di aumento del costo della vita, ai Prodotti alimentari e bevande analcoliche, gli unici acquisti che gli italiani hanno sempre potuto effettuare anche durante il lockdown, +105 euro considerando una coppia con due figli. In seconda posizione, Altri beni e servizi, che comprende banche e assicurazioni, +53 euro. Per una famiglia media sono, rispettivamente, 78 e 39 euro. “Negativo anche il rialzo del carrello della spesa a +1,3%, più del doppio rispetto alla media del 2019 quando si era fermato a +0,6%. Un’impennata che implica, per gli acquisti di tutti i giorni, una maggior spesa annua, per una famiglia media, pari a 88 euro, 117 per una coppia con due figli” prosegue Dona.

Review Piazza Affari 2020: esulta solo l’indice delle Star. Il Ftse Mib zavorrato da debacle di alcune big

30/12/2020

Non è stato certamente un 2020 trionfale per Piazza Affari nonostante la risalita dai minimi di marzo. Rispetto ad agli indici di Wall Street e alla Borsa tedesca, che sono risaliti aggiornando i massimi storici, Piazza Affari chiuderà il 2020 sotto i livelli a cui aveva chiuso il 2019.
La capitalizzazione complessiva delle società quotate a Piazza Affari si attesta a 607 miliardi di euro, pari al 37% del PIL e il 6,7% in meno rispetto al 2019. Lo rimarca la Review dei Mercati 2020 di Borsa Italiana con dati aggiornati al 28/12/2020.Nel 2020 l’indice FTSE Italia All Share registra una contrazione del 5,3% (max annuale 27.675 il 19 febbraio 2020; min 16.286 il 12 marzo 2020), mentre l’indice FTSE MIB registra una contrazione del 5,2% (max annuale 25.478 il 19 febbraio 2020; min 14.894 il 12 marzo 2020). A pesare sono le performance deficitarie di settori quali oil e bancari che hanno un peso considerevole nell’indice guida milanese.

Migliori e peggiori dell’anno

Il peggior titolo del 2020 sul Ftse Mib risulta Bper con -50,8%, seguito da Saipem con quasi -49%, Leonardo -43% e Unicredit -40,9%. Molto male anche ENI con -38%.
Di contro tra i best performer spicca Diasorin con +47,2%, seguita da Interpump (+43,4%, entrata nel Ftse Mib nel corso dell’anno), Prysmian (+35%), Nexi (+33%) e Amplifon (+32,8%).

Sorride solo il Ftse Italia Star

A distinguersi in positivo è stato invece l’indice FTSE Italia STAR che registra una crescita a doppia cifra su base annua del 13,7%. Durante l’anno ha superato quota 40.000, più volte, raggiungendo il valore massimo annuale e record storico (44.457 il 28 dicembre). L’indice FTSE Italia MID Cap cala del 5,9% e l’indice FTSE Italia Small Cap del 4,3%.

Scambi azionari in aumento, Intesa Sanpaolo è l’azione più gettonata

Scambi azionari in crescita nel 2020 a Piazza Affari, con una media giornaliera di 2,4 miliardi di euro (+9,6% rispetto all’anno 2019) superando i 346.000 contratti giornalieri (+35,8%). Complessivamente sono stati scambiati oltre 87 milioni di contratti e un controvalore di oltre 602 miliardi di euro. Sono alcuni dei dati riportati dalla Review dei Mercati 2020 pubblicata da Borsa Italiana con dati aggiornati al 28/12/2020.
Il massimo giornaliero per contratti è stato raggiunto il 12 marzo 2020 con il record storico di 935.909 contratti scambiati e un controvalore che ha superato i 6,0 miliardi di euro. Performance positive per il mercato BIt Equity GEM che ha superato i 3.000 contratti al giorno (+212,4% rispetto al 2019) e i 22 milioni di euro di controvalore (+252,7%).
Intesa Sanpaolo è stata l’azione più scambiata per controvalore, con un totale di 65,9 miliardi di euro, e la più scambiata in termini di contratti con poco meno di 6 milioni di contratti.

Nell’anno 22 IPO, quasi tutte sull’AIM

Nell’arco dell’ultimo decennio le società quotate su Borsa Italiana sono passate da 296 di fine 2009 a 377 a dicembre 2020. Raffaele Jerusalmi, Amministratore Delegato di Borsa Italiana, sottolinea tale dato con la crescita dell’ultimo decennio trainata dall’AIM Italia, il mercato per le Piccole e Medie Imprese ha visto crescere il numero di società, da 5 di fine 2009 a 138 nel 2020.
Nel 2020 si registrano 24 ammissioni di cui 22 IPO (1 su MTA e 21 su AIM Italia). A fine dicembre 2020 si contano quindi 377 società quotate, di cui 238 società sul mercato MTA (76 sul segmento STAR), 1 strumento FIA sul mercato MIV e 138 su AIM Italia 87 società su GEM (Global Equity Market), il mercato MTF che ospita titoli internazionali, e 12 fondi chiusi sul mercato MIV.
Nell’anno 2020 il totale della raccolta è stato pari a 706 milioni di euro da parte delle 22 IPO sui mercati di Borsa Italiana. In aggiunta ci sono state 13 operazioni di aumento di capitale in opzione con un controvalore superiore al miliardo di euro. Nel 2020 le OPA sono state 12, per un controvalore di 1 miliardo di euro, al netto delle operazioni su IMA, Nova RE e Techedge che si concluderanno in gennaio 2021.
La turnover velocity domestica, l’indicatore che rapportando il controvalore degli scambi alla capitalizzazione segnala il tasso di rotazione annuale delle azioni, è pari al 97%.

ETFPlus supera muro dei 100 miliardi di AuM

Continua la crescita per ETFplus, il mercato dove vengono negoziati ETF, ETC/ETN. Al 28 dicembre gli strumenti quotati sono saliti a 1.334 (1.116 ETF e 218 ETC/ETN). L’Asset Under Management (AUM) ha raggiunto quota 101,4 miliardi di euro (+14,9% rispetto all’anno 2019 con CAGR da dicembre 2009 pari a 19,3%). Il solo segmento degli ETF ha registrato il record di AUM con 93,8 miliardi di euro (+15%), mentre per gli ETC/ETN il valore raggiunto è pari a 7,6 miliardi di euro (+13,8%). L’inflow per l’anno 2020 sul mercato ETFplus è stato pari 10,7 miliardi di euro. I soli 349 ETF obbligazionari quotati al 28 dicembre con un AUM pari a 41,8 miliardi di euro (44,6% del totale degli strumenti ETF) hanno fatto registrare un inflow nell’anno pari a 4,3 miliardi di euro.
Il mercato degli ETF, ETC/ETN ha raggiunto record storici in termini di media giornaliera sia per controvalore pari a 520 milioni di euro (+23,9% rispetto al 2019) che per contratti conclusi, circa 35.000 (+70,1%). Complessivamente su questi segmenti sono stati scambiati quasi 132 miliardi di euro e 8,8 milioni di contratti. Particolare crescita del segmento ETC/ETN (+72,1% dei contratti medi giornalieri). Raggiunto il record storico per contratti conclusi il 21 aprile 2020 con 85.626 contratti scambiati in singola seduta. Record anche per la funzionalità RFQ su ETP, che nel 2020 (dati al 28 dicembre) ha visto transazioni per un totale di 7,6 miliardi di euro. Su un orizzonte di medio termine, si può osservare che nei dieci anni trascorsi da fine 2010 il mercato ETFplus ha evidenziato una crescita del 159% per contratti scambiati e 69,5% per controvalore.
Alla data del 28 dicembre sul mercato ETFplus sono quotati 188 strumenti ESG, di cui 71 ammessi nell’anno. Presentano un AUM pari a 12 miliardi di euro (+256,9% rispetto al 2019) con un inflow pari a 6,7 miliardi di euro.

Il Nasdaq chiude il 2020 a oltre +43%, nonostante il coronavirus

Nell’anno del Covid che sta per concludersi, l’Europa è l’unico continente in calo. Bene Wall Street e le Borse asiatiche. Nel Vecchio Continente la peggiore è Londra

Bilancio di fine anno di Fabrizio Arnhold 31 Dicembre 2020

L’anno si sta per chiudere anche sui mercati finanziari. Quella di ieri 30 dicembre è stata l’ultima seduta del 2020 per molte Borse europee, oggi sono aperte per mezza giornata solo Londra e Parigi. Fine dell’anno, tempo di bilanci: negativo quello del Vecchio Continente, più che positivo invece quello di America e Asia.

LONDRA FANALINO DI CODA

Bilancio in rosso per l’Europa, con l’indice Eurostoxx50 che mette in archivio il 2020 a -4% e con Londra in fondo alla classifica (-12,3%). Sopra la parità, sommando tutte le sedute del 2020, si sono solo Francoforte (+3,8%) e Stoccolma (+6,7%), Zurigo di poco (+0,9%). In rosso, invece, Piazza Affari (-14,4%), Parigi (-6%) e Madrid (-14,4%).

NASDAQ SALUTA L’ANNO IN GUADAGNO

In attesa dell’ultima seduta ridotta di oggi, il Nasdaq si appresta a mettere in archivio il 2020 con un rialzo di oltre il 43%. Non male anche gli altri due indici principali della Borsa di New York: lo S&P 500 guadagna oltre il 15%, il Dow Jones supera la soglia del 6%.

POSITIVE ANCHE LE BORSE ASIATICHE

Non solo America perché a festeggiare c’è anche l’Asia. Seul saluta l’anno con guadagni che superano il 30%, Tokyo è sui massimi da 30 anni, e si prepara a brindare al nuovo anno in progresso del 16%. La Borsa di Shanghai ha raggiunto nuovi record che non toccava da 5 anni, trainata dall’indice cinese delle bue-chip e il listino delle start-up ChiNext. Chiude in negativo, invece, Hong Kong (-3,7%).

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