Video Analisi con commento : Dow Jones e le Idi di Marzo

Il primo Trimestre 2022 si presenta complesso , vediamo quindi di capire i motivi in questo nuovo appuntamento dedicato ancora una volta al Dow Jones.

DOW JONES E LE IDI DI MARZO , VERSIONE ITALIANA

The first quarter of 2022 is complex, so let’s try to understand the reasons in this new appointment dedicated once again to the Dow Jones.

DOW JONES AND THE IDES OF MARCH , ENGLISH VERSION

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Wall Street giù: Amazon -12%, Apple in ripresa. Nasdaq verso chiusura mese horribilis: -9,5% ad aprile

29/04/2022

Wall Street in ribasso: pesano i risultati di bilancio di Amazon, che collassa in Borsa di oltre il 12%. Il titolo Apple, che ieri aveva perso terreno subito dopo la pubblicazione della trimestrale, riagguanta il territorio positivo.

Sul sentiment pesano anche i nuovi dati arrivati dal fronte macro, relativi all’inflazione, chiodo fisso ormai per gli investitori di tutto il mondo.

Passate le 16 ora italiana, il Dow Jones scende dello 0,14% a 33.868 punti; lo S&P 500 arretra dello 0,76% a 4.255, mentre il Nasdaq perde lo 0,63% a quota 12.783 circa.

Ieri lo S&P 500 è salito del 2,47% a 4.287,50; il Dow Jones Industrial Average è avanzato di 614,46 punti, o 1,85%, a 33.916,39 punti, il Nasdaq è scattato con un rally superiore +3%, chiudendo a 12,871.53. I forti rialzi di ieri non impediranno tuttavia una chiusura del mese di aprile decisamente negativa per la borsa Usa; il Dow si appresta a chiudere il mese in calo del 2,2%, rispetto al -5,4% dello S&P 500. Il Nasdaq è orientato a chiudere il mese peggiore dal maro del 2020, ovvero dal mese in cui è risuonato in tutto il mondo l’allarme per la pandemia Covid-19, con un ribasso del 9,5%.

Nuove indicazioni sono arrivate oggi con il rapporto sulle spese per consumi e redditi personali di marzo, con cui viene pubblicato di consueto anche l’indice ‘preferito’ dalla Fed: si tratta della componente core dell’indice PCE, monitorata dalla banca centrale per valutare il trend delle pressioni inflazionistiche.

A fronte dell’indice PCE headline, salito su base annua del 6,6%, in accelerazione rispetto al +6,3% precedente, la componente core è salita del 5,2% su base annua, meno del +5,3% di febbraio e al di sotto del +5,3% atteso dal consensus.

Su base mensile il trend è stato in rialzo dello 0,3%, come da attese, a fronte del +0,9% del dato headline, successivo al rialzo pari a +0,6% del mese precedente.

Le spese per consumi sono salite dell’1,1%, rispetto al +0,7% atteso, e in accelerazione rispetto al +0,2% di febbraio. I redditi personali sono aumentati dello 0,5%, contro il +0,4% stimato e allo stesso ritmo precedente, pari a +0,5%.

Informazioni sull’inflazione sono arrivate anche dall’indice del costo del lavoro Usa che, nel corso del primo trimestre del 2022, è avanzato dell’1,4%, oltre il +1,1% atteso e dopo il +1% del trimestre precedente, al record dagli anni ’90. I salari sono aumentati dell’1,2%, rispetto al +1% atteso, a fronte del balzo dell’1,8% dei benefit, contro la crescita precedente pari a +0,9%.

I numeri hanno confermato il quadro di forte inflazione presente negli Usa: di conseguenza i tassi sui Treasuries Usa a scadenza decennale tornano a salire, attorno al 2,864% (lontani però dal record degli ultimi tre anni al 2,94% testato la scorsa settimana).

Il sentiment di mercato è zavorrato anche dalla delusione per la stagione delle trimestrali Usa, che sta vedendo diverse Big Tech mostrare atteggiamenti improntati alla cautela guardando ai prossimi mesi. In primo piano i toni cauti di Apple e Amazon.

In particolare il ceo di Apple Tim Cook, durante la call con gli analisti indetta per commentare il bilancio, si è così espresso:

“Voglio riconoscere le sfide a cui stiamo facendo fronte, rappresentate dalle strozzature delle catene di approviggionamento – provocate dal Covid, dalla scarsità di silicone (materia prima utilizzata per i prodotti Apple) e dalla devastazione della guerra in Ucraina – ha detto Cook, ammettendo che “Noi non siamo immuni a queste sfide”.

Anche il cfo Luca Maestri ha parlato delle diverse sfide a cui Apple fa fronte, incluse le strozzature delle catene di approviggionamento, dando anche una cifra sul costo di questi problemi: un ammontare compreso tra $4 e $8 miliardi che potrebbe incidere negativamente sulle vendite.

Passando alle voci di bilancio, l’eps di Apple si è attestato nel primo trimestre a $1,52, meglio degli $1,43 attesi. Il fatturato è stato pari a $97,28 miliardi, meglio dei $93,89 miliardi attesi e in crescita dell’8,59% su base annua.

Forti sell off si abbattono ancora su Amazon dopo la diffusione della trimestrale. Il colosso fondato da Jeff Bezos ha riportato nel primo trimestre la prima perdita dal 2015, scontando il suo investimento nel produttore di auto elettriche Rivian. Anche Amazon, così come Apple, ha lanciato inoltre avvertimenti sulle sfide che si presenteranno nei prossimi mesi. Il gigante dell’e-commerce ha annunciato di aver perso $3,8 miliardi, a causa della perdita dell’investimento effettuato in Rivian ammontata alla cifra astronomica di 7,6 miliardi di dollari.

Amazon ha poi comunicato di stimare per il trimestre attuale una perdita operativa compresa tra $1 e $3 miliardi, decisamente peggio degli utili di $6,8 miliardi che sono stimati in media dagli analisti interpellati da Bloomberg.

Ciò che spaventa di Amazon è che la crescita del fatturato è stata di appena il 7% nel primo trimestre, rispetto al boom +44% del primo trimestre del 2021: il ritmo è il più basso di ogni trimestre dal periodo dello scoppio della bolla speculativa dot-com del 2001, e conferma anche il secondo trimestre consecutivo in cui il fatturato è salito di una sola cifra su base percentuale.

Occhi puntati a Wall Street anche su Tesla, dopo che si è appreso che il suo ceo Elon Musk ha venduto azioni del colosso produttore di auto elettriche per un valore di $4 miliardi, nei giorni successivi al lancio dell’offerta per acquisire il controllo della società di microblogging.

La maggior parte degli acquisti è avvenuta nella giornata di martedì, proprio quando le quotazioni del titolo Tesla sono affondate del 12% circa.

Il ceo di Tesla e SpaceX ha smobilizzato in tutto 4,4 milioni circa di azioni Tesla. Tesla segna tuttavia un forte recupero, balzando di quasi +6%, mentre Twitter avanza dell’1,87%.

Niente da fare infine per Robinhood, altro titolo protagonista negativo della sessione di oggi: i risultati del primo trimestre del 2022 pubblicati ieri, dopo la fine della giornata di contrattazioni a Wall Street, hanno confermato il timore sulla perdita di popolarità del gruppo fintech. Il fatturato, in particolare, è crollato del 43% su base annua a $299 milioni, peggio dei $355 milioni attesi, sulla scia soprattutto del tonfo delle entrate legate alle transazioni lanciate dai clienti di Robinhood, pari a -48% a $218 milioni. Passando agli utili, questi non sono stati pervenuti, nel senso che la società di fintech ha concluso il primo trimestre con una perdita per azione di 45 centesimi, superiore al passivo di 38 centesimi per azione atteso dal consensus. Altri numeri che confermano la crisi dell’APP sono i seguenti: nel primo trimestre del 2021, sostenuto dagli iscritti al forum Reddit che avevano lanciato una carica di buy sul titolo Gamestop, Robinhood aveva assistito a una crescita dei suoi account di ben 5,5 milioni di unità. Quest’anno, il numero degli utenti è aumentato di appena 100.000 unità su base netta, portando il totale a 22,8 milioni. Il titolo torna a guadagnare terreno dopo aver perso fino a oltre -11% dopo la pubblicazione del bilancio.

Perché l’inversione della curva negli USA è un segnale allarmante più che mai

L’inversione della curva dei rendimenti invia un segnale di allarme ai mercati internazionali. E stavolta è peggio che in passato.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 01 Aprile 2022 alle ore 07:37

Nel corso della seduta di martedì, sul mercato obbligazionario americano è accaduto qualcosa che si temeva oramai da settimane: l’inversione della curva dei rendimenti. Il Treasury a 10 anni è arrivato ad offrire per un brevissimo periodo di tempo meno del Treasury a 2 anni. Siamo abituati a pensare che i rendimenti debbano salire man mano che la durata dei bond si allunghi. Ed è generalmente così. Capita in alcune fasi, però, che i rendimenti a breve superino quelli a lungo termine. Quasi tutte le volte in cui è accaduto nell’ultimo mezzo secolo, l’economia americana è caduta in recessione mediamente dopo quasi un anno e mezzo.

Perché ciò si verifichi non è mai stato capito con certezza. C’è chi crede che l’inversione della curva sia un segnale dell’arrivo della recessione; c’è chi sostiene, al contrario, che essa provochi la crisi dell’economia. Stando a questa seconda interpretazione, poiché le banche raccolgono denaro a breve e lo prestano a lungo termine, l’inversione della curva finisce per abbattere il margine d’interesse. Di conseguenza, le banche prestano meno denaro ad imprese e famiglie e l’economia ripiega.

Inversione della curva nel momento meno adatto

A rigore, l’inversione della curva dovrebbe verificarsi quando il mercato si aspetta che il ciclo economico sia già maturo e la banca centrale di lì a breve sarà costretta a sostenerla con il taglio dei tassi. In questo caso, infatti, conviene comprare titoli a lunga scadenza per approfittare dei rendimenti elevati che ancora offrono, prima che si abbassino. Stavolta, però, il fenomeno sta avvenendo quando la Federal Reserve ha appena avviato la stretta monetaria con il primo rialzo dei tassi a marzo da 0,25%.

Negli USA, l’inflazione è salita al 7,9% a febbraio. Il costo del denaro, invece, è stato fissato allo 0,25-0,50%. Il mercato si aspetta che entro la fine dell’anno salga al 2,50-2,75%. Dunque, siamo agli inizi del ciclo rialzista dei tassi, mentre l’inversione della curva dovrebbe esservi verso la fine. Cosa segnala questo apparente controsenso? Senz’altro che la FED sia decisamente molto indietro rispetto alla curva (“behind the curve”), vale a dire che abbia temporeggiato eccessivamente prima di alzare i tassi e sarà verosimilmente costretta ad accelerare il passo nei prossimi mesi per non perdere il controllo della stabilità dei prezzi. E come spesso, se non sempre, capita quando la stretta monetaria diventa radicale, l’economia cade in recessione.

Ricordiamoci che la FED ha un doppio mandato: centrare il target d’inflazione al 2% e mantenere la piena occupazione sul mercato del lavoro. Il rischio segnalato dall’inversione della curva a inizio stretta è che l’istituto si ritrovi presto a fare i conti con un’inflazione elevata e un’economia in recessione, cioè con un mercato del lavoro in peggioramento. A quel punto, il governatore Jerome Powell dovrebbe scegliere tra i due obiettivi e non sarebbe facile. Lo scenario di una stagflazione prende sempre più forma, non solo negli USA. Nell’Eurozona, la BCE deve ancora iniziare ad alzare i tassi. E il rischio di recessione, causa guerra, da noi è molto più elevato e vicino che non Oltreoceano. Con un’inflazione al 6%, Christine Lagarde avrebbe il suo bel da farsi per tenere tutto in ordine.

Riassunto mensile di febbraio: la guerra in Ucraina coglie alla sprovvista i mercati, banche centrali di fronte a un dilemma

COMMENTO AL MERCATO

Il mese di febbraio è stato parecchio difficile sui mercati finanziari. La notizia dell’invasione russa in Ucraina e dell’inizio di un conflitto sul suolo europeo, che non si vedeva da decenni, ha creato scossoni che si sono riflessi sui listini mondiali. A pesare sono state soprattutto le sanzioni economiche inflitte dall’Occidente alla Russia, il rischio di un’ulteriore escalation e anche le possibili difficoltà di approvvigionamento energetico in caso di stop dell’import di gas e petrolio dal Cremlino. Tutti fattori che portano incertezza e rendono possibile una gelata dell’economia, proprio quando iniziavano a vedersi buoni segnali di ripresa in seguito alle secche della pandemia. L’attenzione degli investitori a livello mondiale in queste settimane è logicamente rivolta agli accadimenti in Ucraina, che hanno increspato ulteriormente un contesto dove inflazione e virata restrittiva delle banche centrali stavano già facendo sentire il loro peso. Proprio le banche centrali si trovano ora di fronte a un dilemma: proseguire sulla strada del rialzo dei tassi appena intrapresa per mettere un freno alla corsa dei prezzi o mantenere un approccio più accomodante in un momento in cui le tensioni geopolitiche gettano un’ombra sulla crescita economica?

I fatti salienti del mese di febbraio

Sono anni in cui si fanno i conti con eventi che si pensava appartenessero a un passato lontano. Proprio nel momento in cui la morsa della pandemia sembrava finalmente allentarsi, l’esplosione del conflitto tra Ucraina e Russia – con l’invasione iniziata il 24 febbraio dopo settimane di incontri diplomatici infruttuosi – è stato indiscutibilmente l’evento più importante del mese. E rischia di restare in cima alla classifica degli eventi più significativi anche negli anni a venire.

I paesi Occidentali hanno reagito punendo la Russia con un importante pacchetto di sanzioni: tra queste, l’esclusione dal sistema Swift delle principali bancheil congelamento dei beni del presidente Putin e degli asset della banca centrale russa. Le conseguenze più immediate sono state la corsa agli sportelli bancomat da parte dei cittadini russi e il crollo del rublo, che la banca centrale ha cercato di contenere alzando i tassi d’interesse al 20%. Mentre Putin ha ulteriormente alzato la tensione evocando una possibile guerra nucleare.

La notizia del conflitto è andata ad aggravare una situazione già di per sé difficile per il caro energia e la difficoltà per il reperimento delle materie prime. In Italia, per esempio, il governo aveva già varato un decreto da 8 miliardi di euro per mitigare i rincari.

Prima dello scoppio del conflitto, a tenere banco sui mercati era il dibattito sulla crescita generale dei prezzi, spinta sia dal caro energia sia dall’aumento della domanda di materie prime. Al punto che, negli Stati Uniti, l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto del 7,5% su anno a gennaio, con il valore più alto registrato a partire dal febbraio del 1982.

L’inflazione c’è e si sente anche in Europa, con un +5,8% a febbraio 2022 (da +5,1% di gennaio). Anche in questo caso la Banca centrale europea sta ragionando se intervenire con una politica monetaria più restrittiva, ma a quanto pare le notizie dall’Ucraina potrebbero portarla a propendere per un posticipo dell’intervento.

Come si sono mossi i mercati

In Europa, i listini hanno ceduto terreno in maniera generalizzata il mese scorso. Il Ftse Mib in Italia è sceso sotto i 25mila punti, mentre il Dax tedesco ha perso circa il 10% di capitalizzazione. Ha corretto anche il Cac 40 francese, seppur in misura leggermente inferiore.

Negli Usa L’S&P 500 è arretrato di quasi il 5%, scendendo sotto quota 4400 punti. Lo stesso vale per il Nasdaq, l’indice che raccoglie i titoli tecnologici, che ha visto un calo più o meno nello stesso ordine di grandezza.

In Asia, il Ftse China A 50 allunga il suo periodo negativo. Non è andato meglio l’Hang Seng a Hong Kong. In Giappone, il Nikkei ha vissuto anch’esso un mese in territorio negativo e ha lasciato sulla sua strada intorno al 3% di capitalizzazione.

Sul fronte obbligazionario, il rendimento del bond decennale USA è salito nel corso del mese attorno a quota 1,83%, dall’1,77% di inizio mese. In Europa lo spread BTP/Bund è cresciuto ed è arrivato a quota 150 punti base.

Per quanto riguarda le commodity, l’oro è cresciuto in modo consistente a quota 1922 dollari l’oncia, accelerando dopo l’invasione russa in Ucraina. Il gas naturale, invece, è sceso in modo netto a quota 4,57 dollari al metro cubo dai 5,33 dollari di inizio mese, pur mantenendosi a livelli elevati. Vola il petrolio, in crescita verso quota 110 dollari al barile per il Brent. Poco più sotto, invece, il Wti a quota 106 dollari.

Sul fronte valute, il cambio euro-dollaro si è ristretto a 1,10.

Eventi da tenere d’occhio nel mese di marzo

Il mese di marzo sarà cruciale per conoscere gli sviluppi della guerra in Ucraina. Sono in programma ulteriori negoziati tra i vertici dei due Paesi in conflitto, anche se al momento sembra complicata una soluzione in tempi brevi. Un trascinarsi della guerra porterebbe a conseguenze sempre più pesanti per l’economia non solo europea, per questo l’attenzione del mondo è focalizzata su Kiev.

Rimane forte allo stesso modo il focus sull’inflazione, che potrebbe peggiorare in seguito ai rincari che già ora si osservano sui carburanti. Fattore, quest’ultimo, che potrebbe dare un’ulteriore spinta ai prezzi al consumo di molti prodotti.

Il 10 marzo occhi puntati sulla riunione delle Bce, che potrebbe dare elementi in più sulle decisioni di politica monetaria della banca centrale guidata da Christine Lagarde.

Infine, una notizia positiva. Sul fronte Covid la situazione migliora, così molti Paesi hanno annunciato un cammino di caduta delle restrizioni. L’Italia, per esempio, uscirà dallo stato di emergenza il prossimo 31 marzo.

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