Greetings to Federal Reserve from Italy

Eccoci a un nuovo appuntamento con una nuova video analisi :

GREETINGS TO FEDERAL RESERVE FROM ITALY

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Wall Street vola, ecco cosa è piaciuto del Jobs Report. Il 13 settembre il dato clou che indirizzerà la Fed

 di Titta Ferraro

 02/09/2022  17:06

Mercati tonici in scia ai dati emersi dal report occupazionale Usa. Il rallentamento della creazione di posti di lavoro (+315 mila dai +528mila precedenti) era ampiamente atteso (consensus era +30 mila), ma abbinato all’aumento a sorpresa della disoccupazione al 3,7% ha alimentato le aspettative di una Fed più cauta nell’alzare i tassi.

Al momento i principali indici di Wall Street segnano oltre +1% e l’Europa fa molto meglio con rialzi nell’ordine del 3% per Dax e Ftse Mib. “I mercati hanno assimilato l’aumento della disoccupazione come un primo segnale di indebolimento dell’economia statunitense che indurrà la FED ad abbassare i tassi di interesse nel futuro per evitare una recessione”, argomenta Federico Vetrella, Market Strategist di IG Italia, che vede comunque la Fed continuare ad agire aggressivamente sui tassi di interesse nel breve termine fino a che non registrerà un consistente allentamento dell’inflazione.

Adesso lo sguardo si sposta agli appuntamenti delle prossime settimane. “Per la Fed rimane aperta l’ipotesi 50/75 pb nel meeting del 21 settembre. Decisivo sarà il dato sull’inflazione di agosto in pubblicazione il 13 settembre”, asserisce Antonio Cesarano, Chief Global Strategist, Intermonte.

C’è poi da guardare la componente salari, che segnano una salita su base annua del 5,2%, meno del +5,3% previsto e in linea con il +5,2% precedente. “In passato, il livello critico preso come riferimento dalla Fed quale segnale di un surriscaldamento dell’economia è stata una crescita annua dei salari del 4%. Al momento, siamo ancora vicini al 6%. È un’ottima notizia per la busta paga, ma è anche una delle cause principali dell’inflazione dilagante che stiamo vivendo”, spiega Callie Cox, US investment analyst di eToro.

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La BCE usa lo spread come arma di pressione sull’Italia di Draghi

La BCE ha annunciato il rialzo dei tassi senza varare alcuno scudo contro lo spread. E’ un modo per accrescere la pressione sull’Italia.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 14 Giugno 2022 

La riunione del board BCE di settimana scorsa è stata un disastro sul piano della comunicazione. L’istituto ha annunciato il rialzo dei tassi a partire dal board di luglio, la fine del “quantitative easing” dopo il mese di giugno e solo una generica lotta alla frammentazione monetaria. Niente che somigliasse a quello scudo contro lo spread di cui si dibatte più o meno pubblicamente da mesi. I mercati hanno reagito con cali vistosi delle borse, rendimenti in forte rialzo e spread in allargamento. L’esito di questa riunione è stato così negativo, che difficilmente possiamo immaginare sia stato casuale. Anche perché da Francoforte non è arrivata alcuna precisazione per mitigare i timori degli investitori. Non è come nel marzo 2020, quando a quel “non siamo qui a restringere gli spread” seguì dopo qualche ora un forte aggiustamento del tiro.

L’incendio che infiamma il debito italiano

Il fatto che sullo scudo anti-spread non sia arrivata alcuna novità concreta significa che tra “falchi” e “colombe” alla BCE non ci sia ancora un accordo. E ciò conferma la diffidenza del Nord Europa verso l’Italia, in particolare, incapace di auto-riformarsi per uscire dalla sua ormai crisi secolare e riuscire così a riguadagnarsi la fiducia dei mercati. Tuttavia, nessuno pensa che credibilmente la BCE non intervenga nel caso in cui gli spread andassero fuori controllo. Ne vale della stabilità finanziaria e degli stessi prezzi nell’Eurozona. Il 2011 ci ha insegnato che bisogna fare di tutto per evitare sul nascere la crisi del debito sovrano.

E allora da cosa dipende questa lentezza di Francoforte nell’intervenire a favore dell’Italia? E se fosse voluta? Secondo Frederik Ducrozet, responsabile macro di Pictet e attento osservatore della BCE, questa interverrebbe, nel caso di frammentazione monetaria, sulla parte breve delle curve dei bond in crisi.

In altri termini, acquisterebbe BTp a 2 anni, la scadenza che più rifletterebbe le condizioni monetarie. Già, ma quando? Lo spread è salito oltre 230 punti base in Italia, fino a dove dovrà schizzare per indurre Christine Lagarde ad agire?

Il punto è questo: se la BCE si precipitasse a spegnere l’incendio subito, l’Italia non si metterebbe a norma. Avere il pompiere sotto casa induce a scherzare col fuoco. Se il pompiere dista a una decina di chilometri e per arrivare impiega un po’ di tempo, ciò ci spinge alla prudenza, a non giocare con i fiammiferi mentre teniamo una tanica di benzina in mano. L’Italia ha bisogno di essere riformata e in un decennio di spread tenuto sotto controllo proprio dalla BCE di Mario Draghi, non ha fatto passi verso quella direzione.

Spread per fare pressione sui partiti italiani

La BCE non vuole sostituirsi alla politica fiscale. Vuole rendere chiaro a tutti i governi dell’area che il suo compito sia essenzialmente di tenere l’inflazione sotto controllo. Dopodiché, i conti pubblici devono essere solidi per reagire agli shock futuri. L’Italia di Draghi sperpera miliardi su miliardi in sussidi di ogni genere, in ciò distanziandosi molto poco da quella di Giuseppe Conte. Il dibattito politico – quel poco che ancora esiste – appare surreale, come se vi fossero ricchezze da distribuire a pioggia sui cittadini, quando il debito pubblico è salito al 150% del PIL.

Serve accrescere la pressione sull’Italia, affinché cambi rotta. Inutile dirvi che non sia Draghi il problema. E lo sanno anche le pietre in Europa. Ma i partiti che lo sostengono, essendo debolissimi, sono un freno a qualsivoglia ipotesi di riforma. Ed ecco che lo spread servirà come ricatto per indurli a più miti consigli in questo lungo anno pre-elettorale. E chissà che a Palazzo Chigi non faccia persino piacere. Dove Draghi non arriva con le minacce verbali verso la sua stessa maggioranza XXL, forse potrà l’incendio appiccato sui mercati dalla BCE.

Capital Group: il ciclo finanziario Usa si sta avvicinando al picco

Jens Søndergaard, analista valutario di Capital Group, vede crescita del debito privato piatta nelle economie avanzate: ciò non segnala necessariamente recessione imminente, ma peserà sulla crescita globale

 di Virgilio Chelli  13 Giugno 2022 14:52

Il ciclo finanziario USA si sta avvinando al picco, per gli effetti del conflitto tra Russia e Ucraina, come il forte rincaro delle materie prime, il rallentamento del commercio mondiale e l’aumento dell’incertezza per famiglie e imprese. Inoltre una Fed più aggressiva spinge al rialzo il costo dei mutui. Molto ora dipende dalla tenuta dei prezzi immobiliari ma è improbabile che la crescita a doppia cifra vada avanti a lungo. L’inflazione ai massimi di 40 anni è tra i fattori che pesano di più sul ciclo, che ora potrebbe essere vicino a una flessione.

CRESCITA DEL CREDITO IN FRENATA

Jens Søndergaard, analista valutario di Capital Group, ritiene difficile che emerga un fattore di ripresa mentre la Fed aumenta aggressivamente i tassi e prevede che in assenza di un sostanzioso releveraging del settore privato, la crescita del credito sia destinata con tutta probabilità a rallentare ulteriormente ed entrare in territorio negativo nel corso del 2022. E’ già accaduto in passato, durante gli ultimi due picchi del ciclo finanziario USA a fine 80 e tra il 2006 e il 2007. Ma secondo l’esperto di Capital Group il ciclo finanziario non è a rischio solo negli Stati Uniti ma anche in altri mercati sviluppati.

STOP ALLE ESPOSIZIONI DEBITORIE

Considerando la natura globale della recente impennata inflazionistica e il drenaggio di liquidità delle banche centrali, secondo Søndergaard assisteremo probabilmente all’ulteriore avvicinamento di gran parte dei cicli finanziari al picco o, addirittura, all’inizio del relativo deleveraging, vale a dire lo smontamento delle esposizioni debitorie, il che sarebbe negativo anche per i mercati azionari. Ma secondo Capital Group sussiste un minor rischio che il trend culmini in una stretta creditizia globale poiché oggi i livelli di capitale delle banche sono molto più elevati rispetto a prima della crisi finanziaria. Ma ci sono pochi dubbi che gran parte dei Paesi sviluppati si trovi saldamente nelle ultime fasi del proprio ciclo finanziario.

IN EUROPA PICCO FORSE GIÀ TOCCATO

Nell’Eurozona il ciclo potrebbe aver già superato il picco. Germania a parte, non ci sono boom creditizi o immobiliari, e l’impennata dell’inflazione rende ancora più improbabile un’accelerazione del debito privato. Il mercato immobiliare tedesco ha registrato performance recenti piuttosto buone, ma la crescita del credito ha iniziato a ridursi. Nel 2020 i Paesi periferici hanno sperimentato una crescita del credito che sta iniziando a rallentare e potrebbe aver rappresentato solamente un effetto temporaneo della pandemia.

EFFETTI RIBASSISTI PER L’EURO

l tutto ha effetti ribassisti per l’euro sul dollaro. Il ciclo finanziario dell’Eurozona si sta indebolendo più rapidamente di quello USA, la Fed è più aggressiva della Bce, il che rende il differenziale dei tassi reali più favorevole al biglietto verde. L’Europa, inoltre, è molto più vulnerabile alle interruzioni delle forniture energetiche della Russia. Allargando l’orizzonte, secondo Søndergaard il ciclo finanziario cinese ha già superato il picco, dopo essere cresciuto vertiginosamente dopo la crisi finanziaria globale ed aver ricevuto ulteriore impulso dagli stimoli del 2020 in risposta alla pandemia.

LA CINA FA FATICA A GESTIRE IL TREND

Le autorità cinesi hanno fatto fatica a gestire un deleveraging ordinato. I prezzi e vendite di immobili sono in caduta libera, svariati gruppi di real estate sono alle prese con un significativo stress creditizio, i lockdown della politica “zero COVID” potrebbero protrarsi per il resto dell’anno e anche oltre. Ciò, con tutta probabilità, peserebbe su consumi già deboli, deprimendo ulteriormente le vendite di immobili e inasprendo l’aumento della disoccupazione. Sono tutti fattori destinati a causare ulteriori interruzioni delle catene di approvvigionamento e trainare al ribasso la crescita globale, con probabili ripercussioni negative per Mercati Emergenti come Vietnam, Malaysia e Brasile.

RECESSIONE NON PER FORZA IMMINENTE

Rispetto a un anno fa, conclude l’analisi di Søndergaard, svariati Paesi si sono avvicinati o hanno addirittura superato il picco del proprio finanziario. L’aumento di inflazione e tassi, il rallentamento cinese e il conflitto in Ucraina sono tutti fattori alimentano il trend. In molti Paesi, i guadagni dei prezzi degli immobili seguiti alla pandemia appaiono sempre più vulnerabili, mentre nelle economie avanzate la crescita del debito privato è ormai piatta. Sebbene il picco del ciclo finanziario non segnali necessariamente una recessione imminente, secondo Capital Group fa presagire un periodo di deleveraging potenzialmente in grado di pesare sulla crescita globale.

Lunedì nero anche per Wall Street: tonfo futures -900 punti, Nasdaq -3,5%. Shock Fed dopo trauma Bce?

13/06/2022

Dopo il venerdì nero c’è anche il lunedì nero per l’azionario globale. Le vendite sulle borse e sui titoli di stato si ripresentano con l’inizio della settimana. Il panico che ha colpito i mercati azionari e dei debiti sovrani dell’area euro, sulla scia degli annunci arrivati dalla Bce di Christine Lagarde, e successivamente Wall Street, piegata dal dato sull’inflazione Usa, ha contagiato le borse asiatiche, con l’indice Nikkei della borsa di Tokyo che ha perso il 3% e le borse di Hong Kong e Seul scivolate fino a -3,3% e -3,5%. L’indice Ftse Mib perde più del 2% dopo essere crollato venerdì scorso di oltre il 5%.

Prosegue la fiammata dei tassi dei Btp, con quelli a 10 anni che si avvicinano a un soffio dal 4%, a fronte di uno spread saldamente ancorato sopra quota 230 punti.

I futures sugli indici azionari Usa anticipano il peggio, con quelli sul Dow Jones che crollano di 900 punti circa (-2,73%), quelli sullo S&P 500 che scivolano del 2,9% e quelli sul Nasdaq che soffrono un tonfo del 3,5%.

Dopo essere riuscito a schivare il mercato orso tre settimane fa circa, l’indice S&P 500, che venerdì scorso ha chiuso a un valore inferiore del 19% rispetto ai massimi precedentemente testati, si avvia ad aprire la nuova sessione di Wall Street in mercato orso.

Occhio al trend dei tassi sui Treasuries Usa, nella settimana in cui la Fed di Jerome Powell annuncerà la propria decisione sui tassi, dopo il dato sull’inflazione Usa diramato lo scorso venerdì.

L’indice dei prezzi al consumo di maggio ha confermato ciò che gli ivestitori paventavano di più: ovvero che l’inflazione, negli Stati Uniti, non ha toccato il picco. La cattiva notizia si è aggiunta al panico scatenato dalla Bce di Christine Lagarde che, oltre a mostrarsi più hawkish sul fronte tassi, non ha fornito alcuno scudo anti-spread, mandando in tilt l’azionario e il mercato dei debiti sovrani dell’area euro, Italia in primis.

Il timore, sull’arrivo di una stagflazione nel mondo, ha messo KO i mercati, facendo volare i tassi dei titoli di stato.

In particolare, i tassi sui Treasuries Usa a due anni – quelli più sensibili alle decisioni di politica monetaria della Fed – volano di 15 punti base a oltre il 3,2%, al record dal 2007, in vista dell’ennesimo rialzo dei tassi atteso per questa settimana, con il Fomc – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve- che si riunirà domani 14 giugno per annunciare la propria decisione sui tassi mercoledì 15 giugno.

All’inizio di maggio, la Fed ha alzato i tassi di 50 punti base, nel range compreso tra lo 0,75% e l’1%.

Le attese sono per una nuova stretta monetaria di 50 punti base. Nelle minute relative alla riunione del Fomc, è emerso infatti che “la maggior parte dei partecipanti ha rilevato che ulteriori rialzi dei tassi di 50 punti base sarebbero appropriati nei prossimi due meeting”.

Ma dopo il dato sull’inflazione di venerdì scorso, che ha indicato un aumento al tasso di inflazione dell’8,6% dopo il +8,3% di aprile, c’è anche qualcuno che inizia a scommettere su una stretta di 75 punti base.

La scorsa settimana lo S&P 500 è scivolato del 5,1%, mentre il Nasdaq Composite ha perso il 5,6%. Per Wall Street, si è trattato della settimana peggiore dal mese di gennaio.

Molto male la stessa seduta di venerdì, che ha visto il Dow Jones affondare di 880 punti, o -2,7% a 31.392,79 punti, lo S&P 500 cedere -2,91% a 3.900,86 punti e il Nasdaq scivolare del 3,52% a 11.340,02 punti.

Sale febbre recessione con inversione curva Treasury, ipotesi maxi-rialzo Fed porta S&P 500 in ‘zona Orso’

13/06/2022

Sale l’attesa per la riunione della FED in calendario questo mercoledì 15 giugno dopo i numeri sull’inflazione americana usciti abbondantemente sopra le attese. A maggio l’impennata dei prezzi negli USA è stata dell’8,6% su base annuale e +1% su base mensile. L’indice core, depurato dei beni alimentari ed energetici avanza del 6% su base annuale dello 0,6% su base mensile, che ci allontana dal pensiero che il picco sia effettivamente stato raggiunto. A giudicare dalla reazione dei mercati, il Nasdaq Composite in mercato orso (un calo superiore del 20% dai massimi storici), anche l’S&P 500 di rischia aprire la seduta di oggi in “bear market” (oltre -20% dai picchi di periodo), gli investitori non escludono un rialzo della FED anche da 75 pb a partire da settembre per combattere le pressioni inflazionistiche al rialzo.

La Fed non aumenta i tassi dello 0,75% dal 1994 e la possibilità di un inasprimento di tale portata alimenta i timori di una riduzione della spesa dei consumatori e dell’attività economica. Ciò ha innescato delle vendite generalizzate sull’equity globale ed un forte rialzo dei rendimenti dei bond sovrani, in particolare la parte corta della curva. Iil rendimento del Treasury USA con scadenza a due anni rende il 3,25%, sui massimi da dicembre 2007, pareggiando il rendimento del decennale.  Una situazione in cui i rendimenti di breve termine pareggiano o superano quelli di lungo termine, ossia l’inversione della curva dei rendimenti, è storicamente vista come segnale di una potenziale recessione.

Spread a 245 e Borse ancora sotto pressione

Listini in apprensione per un possibile rialzo di 75 punti base da parte della Fed, che si riunirà questa settimana. Profondo rosso sulle Borse asiatiche, lo spread tocca quota 245 punti base, petrolio in calo

 di Antonio Cardarelli  13 Giugno 2022 09:22

Inizio di settimana molto complicato per i listini europei, reduci da un venerdì di forti ribassi. Il Ftse Mib di Piazza Affari perde l’1,6% in avvio, con i titoli bancari in sofferenza, male anche Parigi e Francoforte co ribassi dell’1% circa. Continua a correre lo spread tra Btp e Bund, arrivato a 245 punti base con il Btp decennale che si avvicina al rendimento del 4%, un livello che non si vedeva dal 2014.

TIMORI PER LE MOSSE DELLA FED

I nuovi massimi dell’inflazione americana tornano a spaventare gli investitori. Il timore è che la Federal Reserve, nella riunione in programma tra martedì e mercoledì, possa decidere per un rialzo di 75 punti base contro i 50 punti già scontati dai mercati. Una decisione che potrebbe avvicinare il rischio di una recessione negli Usa. Intanto, sempre negli Usa, il T-Bond decennale tocca rendimenti superiori al 3,1%. In salita anche il biennale a 3,1%, con i bond a 3, 5 e 7 anni che pagano più di quelli a 10 anni.

ASIA IN DIFFICOLTÀ

Seduta da dimenticare per i listini asiatici, con la Cina di nuovo alle prese con i lockdown provocati dal Covid, imposti nuovamente dopo il parziale allentamento dei giorni scorsi. L’Hang Seng di Hong Kong, a poco dalla chiusura, perde oltre il 3% mentre Shanghai chiude a -0,89%. Chiusura in pesante rosso per la Borsa di Tokyo, con l’indice Nikkei dei titoli guida ha perso il 3,01% a 26.987,44 punti. Vittima delle preoccupazioni per le mosse della Fed, anche lo yen precipitato, nel cambio con il dollaro, al livello più basso da ottobre 1998. Un movimento causato anche dal divario crescente tra la politica monetaria della Bank of Japan (BoJ), sempre ultra accomodante, e quella della Fed americana, più restrittiva per domare l’inflazione.

PETROLIO IN CALO

I nuovi lockdown cinesi e i timori di una possibile recessione negli Usa spingono al ribasso il petrolio. Il Brent è in calo dell’1,6% a 119,9 dollari al barile, giù anche il gas naturale in Europa (-0,6%) a 82 euro per megawattora.

Fidelity: “Bce, il rischio è fare troppo e troppo in fretta”

Anna Stupnytska, Global Macro Economist di Fidelity International, analizza le mosse della Bce per contrastare l’inflazione e confronta le scelte con quelle della Federal Reserve americana

 di Redazione  11 Giugno 2022 09:30

Il meeting di giugno della Banca centrale europea ha rispettato le attese. Christine Lagarde ha annunciato la fine del piano APP il primo luglio 2022. Inoltre, il comunicato ha delineato il percorso di rialzo dei tassi di interesse, che partirà a luglio con 25 punti base. Successivamente è già programmato un altro rialzo a settembre, la cui entità dipenderà dalle prospettive aggiornate sull’inflazione a medio termine.

RIALZO GRADUALE MA SOSTENUTO

In altre parole, la Bce ha posto le basi per la normalizzazione monetaria, con un percorso di rialzo dei tassi che dovrebbe essere “graduale ma sostenuto”. Il comunicato ha inoltre ribadito il forte impegno ad adeguare i reinvestimenti del PEPP in caso di nuova frammentazione del mercato, ma non ha fornito alcun dettaglio su un potenziale strumento di gestione degli spread. Come sottolinea Anna Stupnytska, Global Macro Economist di Fidelity International, le continue sorprese al rialzo dell’inflazione europea, e la sua persistenza, stanno aumentando la pressione sulla Bce affinché anticipi la normalizzazione della politica.

PRESSIONE SULL BCE ANCHE DALLA FED

L’inasprimento della Federal Reserve, che ha iniziato già il rialzo dei tassi nel tentativo di contrastare un’inflazione mai così alta dal 1981 negli Usa, aggiunge pressione sulla Bce. “Il rapido ampliamento dei differenziali di politica monetaria rispetto alla Fed rappresenta una sfida per la BCE, con la rivalutazione dell’Euro-Dollaro sotto i riflettori”, spiega Stupnytska. “Ma fare troppo e troppo presto sarebbe probabilmente una strategia più rischiosa per la Bce, alla luce dell’indebolimento della crescita e del rischio di frammentazione degli spread dei Paesi periferici”, aggiunge.

DIFFICILE UNA SERIE RAPIDA DI RIALZI

I venti contrari legati alla guerra in Ucraina, alla politica cinese zero Covid e all’inasprimento delle condizioni finanziarie globali continueranno a pesare sulla crescita dell’Eurozona, portando probabilmente a una recessione nei prossimi mesi. Secondo Anna Stupnytska, i tempi e l’entità degli effetti dipendono in larga misura dagli ulteriori sviluppi in queste tre aree, nonché dalla risposta della politica fiscale allo shock energetico. “Riteniamo possa essere difficile per la Bce eseguire un rapido ritorno ai tassi positivi, dati i vincoli di crescita e frammentazione, e che il percorso di inasprimento sarà meno in salita e più breve di quanto attualmente implicito nei prezzi di mercato. Anche se un nuovo strumento di gestione degli spread potrebbe aiutare a prevenire la loro frammentazione, probabilmente comporterà una nuova serie di problemi per la Bce”, conclude l’esperta di Fidelity International.

Inflazione, S&P 500 in fase orso e rischio recessione: le previsioni di Goldman Sachs Asset Management

Nell’aggiornamento di mercato la view della grande casa sulle prossime mosse delle banche centrali e le implicazioni per gli investitori

  10 Giugno 2022
financialounge -  daily news Goldman Sachs Asset Management recessione Simona Gambarini

L’inflazione continua a tenere banco sui mercati. Ieri, 9 giugno, la Bce ha annunciato l’avvio del rialzo dei tassi di interesse di 25 punti base a partire da luglio oltre allo stop degli acquisti netti di titoli. Ma nei prossimi giorni arriveranno altri importanti appuntamenti che vedranno protagoniste sempre le banche centrali, con gli occhi ovviamente puntati sulla Federal Reserve.

BANCHE CENTRALI

Cosa aspettarsi da questi appuntamenti? Secondo Simona Gambarini Executive DirectorSenior Market Strategist di Goldman Sachs Asset Management, le banche centrali continueranno nel percorso di innalzamento dei tassi. “A nostro avviso la Federal Reserve procederà con un rialzo di 50 punti la prossima settimana, a luglio e probabilmente a settembre fino ad arrivare al 3 o 3,5%, dipenderà dall’andamento dell’inflazione”, commenta Gambarini.

PREVISIONI DI CRESCITA

Guardando alle previsioni di crescita dell’economia, Goldman Sachs Asset Management non ha cambiato le previsioni ad eccezione della Cina. La crescita cinese è stata ritoccata al ribasso a causa dei lockdown del secondo trimestre che, nonostante una ripresa prevista nel terzo trimestre, andranno a incidere sulla crescita complessiva dell’anno. Come la maggior parte degli asset, anche le azioni cinesi sono vicine al mercato ribassista.

POSSIBILE MERCATO ORSO A WALL STREET

Potrebbe succedere la stessa cosa anche a Wall Street con l’indice S&P 500? Secondo Simona Gambarini la possibilità che il principale indice azionario americano entri in territorio ribassista – ovvero scenda del 20% da un recente picco per un periodo prolungato di tempo- sono intorno al 70%. Una conclusione a cui Goldman Sachs Asset Management è giunta tenendo sotto controllo una serie di segnali: valutazioni azionarie, indici ISM, mercato del lavoro, curva dei rendimenti, inflazione e saldo del settore privati. I segnali di rischio più alto, attualmente, arrivano da valutazioni, ISM, lavoro e inflazione. Tuttavia, fa notare Gambarini, anche nel caso di un mercato “orso” conviene rimanere investiti, perché il rischio di farsi sfuggire la ripresa è superiore al rischio di un’ulteriore correzione. E l’andamento dell’S%P 500 dopo i 12 periodi ribassisti del Dopoguerra lo dimostra.

RECESSIONE ECONOMICA

L’esperta di Goldman Sachs Asset Management sottolinea che non sempre un mercato ribassista coincida con una recessione economica. Al momento, spiega Gambarini, la probabilità di una recessione negli Usa quest’anno è bassa, ma è in aumento in una prospettiva a lungo termine. “L’attuale contesto è caratterizzato dall’assenza degli squilibri finanziari o strutturali solitamente presenti in uno scenario recessivo. Riconosciamo che il rischio di una recessione, che comunque non rientra nel nostro scenario di riferimento, sta aumentando. Se anche si verificasse, sarebbe a nostro avviso una recessione tecnica e non ciclica”, commenta Gambarini.

IMPLICAZIONI PER GLI INVESTITORI

Per gli investitori cosa significa questo? “Sia il contesto storico sia i fondamentali favorevoli supportano un posizionamento moderatamente pro-rischio per affrontare gli attuali rischi. Le allocazioni all’obbligazionario e agli investimenti alternativi, da associare all’esposizione azionaria, possono rappresentare delle soluzioni ragionevoli per poter potenzialmente intercettare un rendimento aggiuntivo e ridurre il rischio. Dopo tutto, i mercati stanno passando da una prospettiva TINA – There Is No Alternative – a TARA – There are Reasonable Alternatives”, conclude l’esperta.

Bce alzerà i tassi a ritmo serrato, ma Barclays vede percorso interrompersi presto e spiega perché

10/06/2022 Tiene ancora banco sui mercati la nuova roadmap della Bce che ha annunciato lo stop al QE il 1° luglio e si è pre-impegnata ad aumentare i tassi ufficiali di 25 punti base nella riunione di luglio e almeno di 25 punti base nella riunione di settembre. Non ci sono invece indicazioni sul possibile strumento anti-frammentazione.”Le previsioni di inflazione hanno convalidato l’idea che la BCE sia dietro la curva”, argomenta oggi Barclays che alla luce delle indicazioni emerse ieri ha rimesso mano alle stime sui tassi e vede una serie di rialzi dei tassi più veloce ma che finirà prima.

La casa d’affari britannica ora vede un aumento del tasso sui depositi di 25 punti base a luglio, 50 punti base a settembre e 25 punti base a ottobre 2022. “Riteniamo che la BCE si fermerà con il tasso sui depositi a +50 punti base”, spiega Barclays che prima di ieri si aspettava che la BCE aumentasse i tassi ufficiali di 25 punti base a ogni riunione di luglio 2022 e si fermasse nel primo trimestre 2023 con il tasso sui depositi a +75 punti base.

“Il motivo principale per cui ci aspettiamo che la BCE metta fine al ciclo di inasprimento così presto è la nostra opinione sulla crescita. Prevediamo che l’area euro sarà in recessione tecnica a cavallo dell’anno e segni una crescita media del PIL reale allo 0,5% nel 2023, molto sotto il +2,1% indicato dalla Bce”.

La Bce continua a reinvestire gli asset a scadenza per evitare un nuovo “caso Italia”

Hetal Mehta, Senior European Economist di Legal & General Investment Management, spiega perché l’Italia potrà continuare a emettere debito a costi contenuti grazie al supporto della Bce

 di Virgilio Chelli  10 Giugno 2022 07:55
financialounge -  BCE Hetal Mehta LGIM Morning News

Interrompendo il suo programma di acquisto di asset, ma non le operazioni di reinvestimento, come annunciato a conclusione del direttivo del 9 giugno della banca centrale, la Bce spera di evitare un secondo “caso Italia”, ovvero dover supportare il Paese perché il suo debito pubblico non è più sostenibile, con il rapporto debito/Pil previsto attestarsi al 160%. Per evitare che si concretizzino questi timori, la Bce dovrà essere molto più trasparente della Fed americana e della Bank of England circa la sua politica sui tassi d’interesse.

POSIZIONE MOLTO DIFFICILE

Sono le principali indicazioni di un commento a caldo sulla riunione della Bce e le dichiarazioni di Christine Lagarde di Hetal Mehta, Senior European Economist di Legal & General Investment Management, che stima al 60% il rischio di una recessione nell’Area Euro a partire dalla seconda metà del 2023. L’esperta di LGIM spiega la previsione sottolineando che la Banca Centrale Europea si trova attualmente in una posizione molto difficile, a causa dell’elevata inflazione, del rallentamento della crescita e della contrazione del mercato del lavoro.

VISIBILITÀ SUI TASSI

Per questi motivi, prosegue Mehta, la Bce ha preso delle misure insolite al fine di rendere più chiaro quale sarà l’andamento dei tassi d’interesse per il breve periodo, sebbene i cosiddetti “falchi” stiano facendo pressione affinché agisca in tempi più rapidi. La Bce ha dichiarato che ha partire dal primo luglio 2022 interromperà il suo programma di acquisto degli asset, ma continuerà comunque a reinvestire i titoli che vengono a scadenza almeno fino alla fine del 2024.

I VANTAGGI DEL REINVESTIMENTO DEGLI ASSET

L’esperta di LGIM spiega che con queste mosse l’istituto centrale guidato da Lagarde spera di non dover creare un nuovo programma a supporto dell’Italia. Il motivo è che uno dei principali vantaggi dell’Asset Purchase Programme era la possibilità di emettere debito sovrano a costi più contenuti, un’opportunità molto vantaggiosa per governi come quello di Roma, il cui rapporto debito/Pil dovrebbe arrivare a toccare quota 160% a causa delle misure di sostegno emanate durante la pandemia di Covid-19.

L’ITALIA SI È RIFINANZIATA A COSTI CONTENUTI

Il fatto che i tassi d’interesse si siano mantenuti bassi negli ultimi 8 anni ha permesso al Tesoro italiano di rifinanziare il debito a costi contenuti, riducendo sensibilmente le uscite generate dal ricorso all’indebitamento e rendendo l’onere che ne deriva più gestibile.

DIFFERENZE CON FED E BANK OF ENGLAND

L’aumento dei tassi d’interesse da parte della Bce, e di conseguenza degli oneri finanziari, mette in discussione la sostenibilità del debito di un paese come l’Italia. E questo obbliga la Banca Centrale, afferma in conclusione l’esperta di LGIM, a essere molto più “trasparente” circa le sue intenzioni di effettuare ulteriori rialzi, molto più di quanto lo siano stati altri istituti come la Federal Reserve o la Banca d’Inghilterra.

BTP lanciano SOS con addio Bce al salva-Italia e rialzi tassi. Nuovo scudo anti-spread non pervenuto, rendimenti 10y volano al 3,67%

09/06/2022

BTP bastonati dalle vendite, il brusco sell off porta i tassi decennali a volare fino al 3,67%, al record in più di otto anni, ovvero dal 2014: l’anno in cui la Bce capitanata dall’attuale presidente del Consiglio Mario Draghi, inaugurava il Quantitative easing tradizionale, il cosiddetto piano di acquisti di asset (APP-PPA). Proprio il QE tradizionale a cui la Bce di Christine Lagarde staccherà la spina, ufficialmente, il prossimo 1° luglio, come annunciato oggi, al termine della riunione del Consiglio direttivo di due giorni, che stavolta si è tenuta in Olanda, ad Amsterdam.

La flebo verrà staccata prima del rialzo dei tassi, di 25 punti base, preannunciato per la prossima riunione della banca centrale, in calendario il prossimo 21 luglio.

I tassi dei BTP a 10 anni schizzano dunque al 3,67%, a un valore più che triplo rispetto a quello dell’inizio dell’anno.

Il balzo è da film horror per gli addetti al settore: l’impennata, di circa 25 punti, è la più forte dal marzo del 2020., a fronte di uno spread BTP-Bund che punta dritto verso quota 230.

I mercati hanno tanto da digerire: l’assist ai titoli di stato dell’Eurozona giunge ufficialmente alla sua conclusione e Bloomberg fa notare che, pur cercando di rassicurare i mercati sull’impegno a lottare contro il rischio di frammentazione dell’euro, Lagarde non è riuscita a spazzare via i timori di una nuova crisi dei debiti sovrani dell’area.

Bce, Lagarde non calma i nervi, anzi: scudo anti-spread non pervenuto

Da un lato, la numero uno della Bce afferma che, “se necessario, dispiegheremo nuovi strumenti per fronteggiare la frammentazione. Dall’altro lato, “non c’è un livello particolare degli spread che scatenerà gli interventi”.

E l’assenza di una sorta di soglia pericolo, nel caso specifico dello spread BTP-Bund, che porterebbe Lagarde & Co ad agire contro eventuali fiammate dei tassi e degli spread spiazza gli investitori che probabilmente, complici anche le recenti indiscrezioni riportate dal Financial Times , scommettevano sull’arrivo di un nuovo bazooka, in particolare di un nuovo salva-Italia.

Ma oltre alle parole e all’impegno promesso da Lagarde, per ora gli strumenti con cui la Bce intende tenere a galla la carta italiana rimangono i reinvestimenti del capitale rimborsato sui titoli in scadenza sia nell’ambito dell’ormai defunto PEPP (QE pandemico) che nell’ambito del bazooka APP, anch’esso pronto a essere mandato in soffitta, il prossimo 1° luglio:

“Il Consiglio direttivo ha deciso di porre fine agli acquisti netti di attività nell’ambito del PAA a partire dal 1° luglio 2022 – si legge nel comunicato ufficiale della Bce, con cui l’istituzione di Francoforte ha annunciato la decisione di lasciare invariati rispettivamente a 0,00%, 0,25% e -0,50% il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principale e il tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sulla linea di deposito.

Detto questo, la fine del piano non avverrà in modo brusco, visto che il Consiglio, continua la nota, intende continuare a reinvestire, integralmente, il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del PAA per un prolungato periodo di tempo successivamente alla data in cui inizierà a innalzare i tassi di interesse di riferimento della BCE e, in ogni caso, finché sarà necessario per mantenere condizioni di abbondante liquidità e un orientamento adeguato di politica monetaria“.

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Idem per quanto riguarda il piano di emergenza PEPP:

“Per quanto riguarda il PEPP, il Consiglio direttivo intende reinvestire il capitale rimborsato sui titoli in scadenza nel quadro del programma almeno sino alla fine del 2024. In ogni caso, la futura riduzione del portafoglio del PEPP sarà gestita in modo da evitare interferenze con l’adeguato orientamento di politica monetaria”.

Ed esiste anche la speranza che il QE pandemico venga riattivato:

In caso di ulteriore frammentazione del mercato connessa alla pandemia, i reinvestimenti del PEPP potranno essere adeguati in maniera flessibile nel corso del tempo, fra le varie classi di attività e i vari paesi in qualsiasi momento. Ciò potrebbe implicare fra l’altro l’acquisto di obbligazioni emesse dalla Repubblica ellenica in aggiunta ai reinvestimenti, al fine di scongiurare che un’interruzione degli acquisti nel paese possa compromettere la trasmissione della politica monetaria all’economia greca, in un momento in cui quest’ultima sta recuperando dalle conseguenze della pandemia. Gli acquisti netti del PEPP potrebbero anche essere ripresi, se necessario, per contrastare gli shock negativi connessi alla pandemia”.

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I segnali hawkish della Banca centrale europea tuttavia abbondano, a fronte del mancato annuncio su quegli strumenti blinda BTP e blinda titoli di stato dell’area euro – in particolare del Sud Europa – su cui tanti avevano riposto le loro speranze.

Bce verso rialzo tassi area euro a luglio e settembre. E anche oltre

Intanto, ci si prepara alla prima stretta monetaria degli ultimi 11 anni, a luglio, di 25 punti base. Non è rassicurante neanche la prospettiva di un successivo rialzo dei tassi a settembre, che potrebbe essere anche più significativo:

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“Se l’outlook di medio termine sull’inflazione persisterà o si deteriorerà, sarà appropriato nella riunione di settembre procedere a una stretta monetaria più forte”, si legge ancora nel comunicato della Bce.

Il peggio, poi, rimarcato da Lagarde, è che potrebbe essere opportuno continuare ad alzare i tassi in modo graduale e sostenuto “anche dopo settembre” visto che le strette di luglio e di settembre saranno solo “i primi passi”.

principi di flessibilità e di opzionalità vengono più volte ribaditi da Lagarde, che cerca di instillare nei mercati la convinzione che la Bce sarà sempre pronta a correre in loro aiuto.

Allo stesso tempo, la svolta epocale è confermata dalle sue stesse parole:

“Negli ultimi 11 anni gran parte del dibattito si è incentrata sull’inflazione che era troppo bassa. Ora siamo nella direzione opposta”.

Come negarlo, se si considera che, nel mese di maggio, l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo si è infiammata nell’Eurozona dell’8,1% su base annua?

Le nuove stime della Bce dimostrano il danno inflitto all’economia dall’inflazione, che si è scatenata in tutto il mondo inizialmente con il reopening dell’economia nel periodo post Covid, e che poi è stata drammaticamente esacerbata dagli effetti della guerra tra Russia e Ucraina, esplosi con “l’invasione ingiustificata”, dice Lagarde, da parte di Mosca.

La numero uno dell’Eurotower specifica che “la  guerra in Ucraina rimane un grande rischio al ribasso per la crescita dell’economia dell’area euro” e anche la “nuova ondata di pandemia in Cina ha peggiorato le interruzioni già presenti nelle catene di approviggionamento”, acuendo il problema della scarsità dell’offerta, che interessa in primis l’energia (petrolio, gas), e il grano.

Detto questo, “tre/quarti dei nostri errori di previsioni e sono da attribuire in larga parte ai prezzi energetici, mentre gran parte del resto è dovuto alle strozzature (nelle catene dell’offerta), che sono durate più di quanto anticipato)”.

Il rialzo dei tassi comunque ci sarà, insieme alla fine del QE tradizionale.

La Bce sgonfia i salvagenti pro-BTP e pro-debiti sovrani dell’area euro, in un momento in cui le proiezioni sulla crescita del Pil e dell’inflazione sono state anche peggiorate dallo stesso staff della Bce.

Bce, deprimenti le nuove stime su Pil e inflazione area euro

La Bce ha rivisto al ribasso in modo significativo la crescita del Pil dell’area euro relativa al 2022 e al 2023. Ora prevede un aumento del Pil del 2,8%, rispetto al +3,7% stimato a marzo, nel 2022; una espansione del 2,1% rispetto al +2,8% previsto in precedenza. Il Pil relativo al 2024 è stato invece rivisto al rialzo dal +1,6% precedente al +2,1%.

Riviste invece al rialzo in modo altrettanto significativo le proiezioni sull’inflazione headline e core.

Le nuove stime degli esperti indicano un tasso di incremento dei prezzi annuo del 6,8% nel 2022, rispetto al 5,1% previsto a marzo, che si ridurrebbe al 3,5% nel 2023 (rispetto al 2,1% dell’outlook precedente) e al 2,1% nel 2024, rispetto al +1,9% delle precedenti stime e oltre il target dell’inflazione fissato dalla Bce, al 2%.

L’ inflazione core è attesa ora in rialzo del 3,3% nel 2022, del 2,8% nel 2023, del 2,3% nel 2024. Un tasso di inflazione, come ha detto Lagarde, “alto in modo indesiderato” , destinato a sforare l’obiettivo della banca centrale anche nel 2024.

Questo, a fronte di una crescita destinata a indebolirsi. E se la crescita si indebolisce, viene spontaneo porsi il seguente interrogativo: come fa ad abbassarsi il rapporto debito-Pil, in particolare dell’Italia?

“E’ la fine dell’era in cui si è combattuto contro la deflazione in Europa,in cui sono caduti i tabù monetari, uno dopo l’altro – ha commentato Frederik Ducrozet, responsabile della divisione di ricerca macroeconomica di Pictet Wealth Management – Usciamo da un periodo di tassi negativi e da un mondo dove tutto era anticonvenzionale ed eccezionale. Si tratta di un grande cambiamento”.

L’ex Pimco ora responsabile delle consulenze di Allianz, Mohammed El-Erian, scrive inoltre su Twitter:

Più ascolto la presidente della Bce Lagarde, più sento che questa riunione del Consiglio direttivo sarà ricordata come quella che avrà riconosciuto in modo ufficiale un cambiamento secolare sia nell’outlook dell’economia che nel regime di politica monetaria.+

Bce vuole evitare ‘caso Italia’. Ma senza APP mercato punisce BTP

Hetal Mehta, Senior European Economist di LGIM, scrive il commento: “Riunione Bce: si vuole evitare un ‘caso Italia’”

La Banca Centrale Europea si trova attualmente in una posizione molto difficile a causa dell’elevata inflazione, del rallentamento della crescita e della contrazione del mercato del lavoro – si legge nel commento – Attualmente, noi di LGIM riteniamo che il rischio che l’area euro entri in recessione dalla seconda metà del 2023 sia del 60%. Per questi motivi, sono state prese delle misure insolite al fine di rendere più chiaro quale sarà l’andamento dei tassi d’interesse per il breve periodo, sebbene i cosiddetti ‘falchi’ stiano facendo pressione affinché l’istituto agisca in tempi più rapidi”.

La Bce – continua Mehta – ha dichiarato che ha partire dal 1° luglio 2022 interromperà il suo programma di acquisto degli asset; tuttavia, continuerà comunque a reinvestire almeno fino alla fine del 2024. Riteniamo che, con queste mosse, l’istituto speri di non dover creare un nuovo programma a supporto dell’Italia. Il motivo è che uno dei principali vantaggi dell’Asset Purchase Programme era la possibilità di emettere debito sovrano a costi più contenuti, un’opportunità molto vantaggiosa per governi come quello di Roma, il cui rapporto debito/Pil dovrebbe arrivare a toccare quota 160% a causa delle misure di sostegno emanate durante la pandemia di Covid-19. Il fatto che i tassi d’interesse si siano mantenuti bassi negli ultimi 8 anni ha permesso al Tesoro di rifinanziare il debito a costi contenuti, riducendo sensibilmente le uscite generate da questo e rendendo l’onere che ne deriva più gestibile”.

Ora, con la nuova era appena ufficializzata, “l’aumento dei tassi d’interesse, e di conseguenza degli oneri finanziari, da parte della Bce mette in discussione la sostenibilità del debito di un paese come l’Italia (vedi alert Goldman Sachs ) – e questo obbliga la Banca Centrale a essere molto più ‘trasparente’ circa le sue intenzioni di effettuare ulteriori rialzi; molto più di quanto lo siano stati altri istituti come la Federal Reserve o la Banca d’Inghilterra”.

Il mercato tutto questo lo sa, punendo i BTP, responsabili di rappresentare ancora la spina del debito dell’Italia: il debito elevato.

Banche centrali in campo per contrastare la super inflazione: Bce pronta a svelare domani il suo cammino futuro sui tassi

08/06/2022 Le banche centrali su scala globale sono da qualche tempo scese in campo per contrastare l’impennata dell’inflazione attraverso la riduzione della liquidità e il rialzo dei tassi. Gli ultimi istituti in ordine di tempo che sono andati in questa direzione sono stati ieri la Reserve Bank of Australia (Rba) e oggi la banca centrale dell’india. Quest’ultima, per voce del suo governatore Shaktikanta Das, un rialzo dei tassi repo di 50 punti base al 4,9%, con effetto immediato. Gli economisti intervistati da Reuters avevano previsto una stretta monetaria compresa tra 25 e 75 punti base. “Va notato in questo contesto che il tasso repo rimarrà ancora sotto il livello precedente la pandemia”, ha detto il banchiere centrale.

“Un aumento del ritmo di inasprimento da parte della Reserve Bank India indica che la minaccia dell’inflazione viene presa sul serio”, commentano da ING precisando che lo scenario futuro “è soggetto a una notevole incertezza” alla luce dell’evoluzione del percorso del conflitto Russia-Ucraina e del suo continuo impatto sui prezzi globali delle materie prime, i lockdown della Cina, nonché l’impatto dei tassi di interesse internazionali sull’economia globale (con le conseguenti crescenti preoccupazioni per la recessione)”.

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Bce falco per contrastare l’inflazione?

Anche l’Europa è in attesa di capire come si muoverà la Banca centrale europea (Bce) in tema di politica monetaria. Domani è prevista la riunione del consiglio direttivo della Bce, dal quale non sono attese novità in termini di tassi ma dovrebbe essere illustrato il cammino che verrà percorso da luglio in poi (mese in cui il mercato si attende la prima stretta dopo oltre 10 anni). Gero Jung, capo economista di Mirabaud AM, sottolinea che domani la Bce adotterà una posizione più hawkish (con toni da falco), dal momento che l’inflazione ha subito un’ulteriore accelerazione raggiungendo un livello record dell’8%.

Ricordiamo che al momento i tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali sono pari allo 0%, quelli sulle operazioni di rifinanziamento marginale allo 0,25% e sui depositi presso la banca centrale al -0,5%. I mercati, ricorda Luigi De Bellis,  co-responsabile del research team di Equitascontano un rialzo di 25 punti base dei tassi a luglio (anche se alcuni governatori affermano che un rialzo di 50 dovrebbe essere considerato una possibilità concreta) e oltre 25 a settembre (per un incremento complessivo di 100 punti base entro fine anno), e che quindi il tasso d`interesse sui depositi raggiungerà lo zero nel terzo trimestre 2022, coerentemente con le recenti dichiarazioni di Lagarde che ha indicato la prospettiva di uscire dai tassi di interesse negativi entro la fine del terzo trimestre”.  Una lettura più accomodante sarebbe quella di indicare che i tassi raggiungeranno lo zero entro fine 2022, in quanto escluderebbe un rialzo di 50 punti a luglio.

Intanto, aspettando l’appuntamento domani, in linea con il mercato Equita si attende la Bce confermi il termine degli acquisti netti di attività a fine giugno, e l’impegno a continuare a reinvestire i proventi delle obbligazioni in scadenza nel mercato (pari a circa 200 miliardi di euro) e di fornire ampia liquidità, sostenendo gli spread dei paesi periferici. “L’introduzione di un nuovo schema Bce che possa mitigare l’impatto sullo spread del termine dell`APP e del rialzo dei tassi sarebbe una notizia positiva per il settore bancario, anche se non ci aspettiamo un annuncio già nella giornata di domani”, rimarcano da Equita.

Da Candriam rimarcano che “pur avendo continuamente rivisto al rialzo le sue stime sull’inflazione, la Bce è in ritardo”. Di fronte a una crescita annua dei prezzi superiore all’8%, proseguono gli esperti, sta preparando i mercati a un primo rialzo dei tassi di riferimento a luglio, che dovrebbe essere seguito da almeno altri due rialzi entro la fine dell’anno. Il tasso di deposito potrebbe quindi passare da -0,50% a +0,25%, uscendo dal territorio negativo. Domani la Bce procederà con un aggiornamento delle previsioni su inflazione e Pil.

Guardando più in generale alle banche centrali, secondo Equita difficilmente gli istituti vorranno interrompere drasticamente la crescita economica ristabilita dopo l’uscita della pandemia, e che si stia avvicinando il momento di una svolta maggiormente dovish (anche se lo scenario è ancora molto incerto), così come le pressioni inflazionistiche dovrebbero iniziare a rientrare con il progressivo allentamento delle misure restrittive in Cina legate a Covid-19.

JP Morgan, capo economista smentisce il boss Jamie Dimon: bassa probabilità di recessione in Usa

07/06/2022 Il capo economista di JP Morgan Chase, Bruce Kasman, sembra non essere affatto d’accordo con il suo boss, ovvero il ceo Jamie Dimon, visto che afferma che esiste una probabilità alquanto bassa che una recessione Usa sia imminente.

“Non esiste una vera ragione per temere una recessione – ha detto Kasman, in un’intervista rilasciata ieri alla trasmissione Surveillance in onda su Bloomberg Television – C’è un qualche rallentamento nel quadro”, ha aggiunto.

Qualche giorno fa Jamie Dimon, ceo di JP Morgan, banca numero uno degli Stati Uniti per valore degli asset, ha paventato addirittura l’avvento di un uragano economico:

“Preparatevi a un uragano economico che sarà provocato dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalla Fed” di Jerome Powell, a causa del suo Quantitative easing, ha avvertito Dimon, aggiungendo anche di credere che i prezzi del petrolio potrebbero volare fino a $150 o $175 al barile.

Con un discorso proferito di fronte a una platea di giornalisti e analisti, Dimon ha lanciato il seguente messaggio:

“E’ meglio che vi teniate pronti. JP Morgan lo sta facendo, e sarà molto conservativa con il suo bilancio”.

Recessione Usa: ‘I grandi capi Dimon, Musk e Fink si sbagliano. Le cose andranno anche peggio’. Ma su Wall Street c’è chi dice no

07/06/2022 La paura di una recessione in arrivo in Usa assilla Wall Street e i mercati mondiali da un po’, complici anche le previsioni fosche arrivate dal mondo dell’alta finanza: Jamie Dimon, numero uno di JP Morgan, ha paventato addirittura un uragano economico, mentre Larry Fink, ceo di BlackRock, ha riferito a Bloomberg di prevedere un’inflazione Usa che rimarrà elevata per molto tempo ancora (ha parlato di anni), accompagnata da “momenti di paura” che si tradurranno in una maggiore volatilità dei mercati.

Pessimista anche Elon Musk di Tesla (a quanto pare non più proprietario futuro di Twitter), che avrebbe detto di avere una “sensazione molto negativa” riguardo alla traiettoria dell’economia. Meno pessimista, fa notare un articolo di Morningstar, è il responsabile economista di Bank of America, Brian Moynihan, secondo cui l’economia made in Usa versa ancora in buone condizioni di salute. C’è anche chi ritiene tuttavia che le cose siano messe molto peggio di quanto si pensi. E che questi grandi capi, del calibro di Dimon, Fink, Musk e sicuramente Moynihan, non siano sufficientemente preoccupati.

E’ il caso di Mike “Mish” Shedlock, consulente per gli investimenti di SitkaPacific Capital Management. A suo avviso, “una profonda recessione” è, infatti, alle porte, e dovrebbe palesarsi nel corso di questo trimestre o il prossimo. Misk crede che le stime sul Pil Usa siano “ancora troppo alte”. Il riferimento, nel suo blog Mish Talk, è all’outlook che emerde dall’Atlanta Fed’s GDPNow Forecast, riferito al Pil Usa del secondo trimestre del 2022, che pronostica una espansione dell’1,3%, in ribasso rispetto al +1,9% di maggio atteso lo scorso 27 maggio ma, evidentemente, ancora troppo positivo.

Misk consiglia di guardare al dato relativo alle vendite finali su base reale, “che nel primo trimestre sono state negative” e che, secondo lui, lo saranno ancora nel secondo trimestre. “Non credo che le vendite al dettaglio resisteranno”, ha aggiunto l’economista, aggiungendo che il dato disastroso relativo alle vendite di auto non è sicuramente di aiuto.

Agli antipodi cè tuttavia la view del capo economista di JP Morgan Chase Bruce Kasman, che sembra non essere affatto d’accordo con il suo boss, ovvero il ceo Jamie Dimon, visto che afferma che esiste una probabilità alquanto bassa che una recessione Usa sia imminente. “Non c’è una vera ragione per temere una recessione – ha detto Kasman, in un’intervista rilasciata ieri alla trasmissione Surveillance in onda su Bloomberg Television – C’è un qualche rallentamento nel quadro”, ha aggiunto.

Non è sicuramente catastrofico neanche il responsabile degli investimenti di Putnam Investment, Shep Perkins che, in una nota ai clienti il cui contenuto è stato riportato da Morningstar, ha scritto di non intravedere alcun episodio “stagnante stile anni ’70’ che possa portare i mercati a essere piatti per un decennio circa. Perkins fa affidamento alla solidità del mercato azionario, ricordando inoltre che i ratio price/earnings relativi ai periodi inflazionistici che si sono susseguiti dal 1900 dimostrano come la crescita degli utili abbia dato sempre dimostrazione di resilienza, a eccezione di quelle fasi in cui le cose si mettevano davvero male. E il ‘makeup’ di Wall Street aiuta: “Per esempio – ricorda ancora il CIO – negli anni 70, l’indice (riferimento all’indice S&P 500) era costituito soprattutto da titoli di società cicliche, attive nei settori dell’energia, delle materie prime, dell’industria. Oggi, la maggior parte dello S&P 500 è rappresentata da società a veloce crescità e di alta qualità, che tendono a essere resilienti in tempi di turbolenze economiche. I rischi più importanti per queste società risiedono nella “obsolescenza tecnologica”. Negli anni ’70, le società quotate in Borsa erano in generale non solo più cicliche ma anche più propense a indebitarsi, a ricorrere dunque a un maggiore leverage. “Oggi i leader dello S&P sono società che presentano margini più elevati, in settori come tecnologia, comunicazioni e health care”.

Tornando alle previsioni dei cosiddetti grandi capi di Wall Street,

in particolare di Elon Musk, il riferimento è a quanto il fondatore e ceo di Tesla, ha scritto in una email recente inviata ai dirigenti del produttore EV di auto elettriche di cui Reuters ha preso visione.

Nell’email, intotolata “Pausa all hiring worldwide”, ovvero “Fermate le assunzioni in tutto il mondo”, Musk ha parlato della necessità di tagliare il 10% del suo staff, dopo aver avvertito di recente che l’economia Usa o è già in recessione o è diretta verso quella direzione. Tuttavia, il ceo di Tesla ha detto anche che una recessione è una cosa positiva: “E’ troppo tempo che piovono soldi. Sono necessarie alcune bancarotte”. A suo avviso, la recessione da lui prevista durerà tra 12 e 18 mesi. Nonb ha di certo gradito le previsioni di Elon Musk il presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che si è così espresso: “Fatemi dire che, mentre Elon Musk fa questi discorsi, Ford sta aumentando in modo massiccio i suoi investimenti. Ford sta aumentando gli investimenti e costruendo nuove auto elettriche, con 6.000 nuovi dipendenti – dipendenti che appartengono a sindacati, mi preme aggiungere – nel Midwest. Anche l’ex Chrysler Corporation, Stellantis, sta facendo investimenti simili in veicoli elettrici. Intel sta creando 20.000 nuovi posti di lavoro per la realizzazione di nuovi chip per computer”. Ma Adam Jones di Morgan Stanley ha detto di credere nelle previsioni di Elon Musk, “per la conoscenza unica che ha dell’economia globale”. Di conseguenza, “noi riteniamo che un suo messaggio sia altamente credibile”

Variante Omicron 5, si teme per sesta ondata: resiste al caldo ed è molto più contagiosa

Variante Omicron 5, rischio sesta ondata, il caso di Germania e Portogallo.

06 Giugno 2022 alle ore 17:15

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Ormai è una certezza. La sottovariante Omicron 5 o BA.5 è molto più contagiosa e trasmissibile rispetto alla variante Omicron. Secondo gli esperti, alcune mutazioni che permettono di legarsi alle cellule umane la rendono una variante più contagiosa e i casi in Portogallo lo dimostrano. L’ultimo bollettino di domenica 5 giugno ha segnato 15mila casi ma il timore è una nuova ondata in estate a causa di Omicron 5. Secondo gli esperti, infatti, resiste al caldo e questo rappresenterebbe un punto a sfavore.

Variante Omicron 5, rischio sesta ondata, il caso di Germania e Portogallo

In Germania e Portogallo, nonostante il clima mite, negli ultimi giorni c’è stato un picco di casi a causa della variante Omicron 5 caratterizzata da un alto tasso di trasmissibilità e immunoevasione. Dopo il boom dei casi in Sudafrica, la nuova variante è arrivata in Europa e si sta diffondendo in alcuni paesi grazie alla sua capacità di eludere i vaccini. In Portogallo, la settimana scorsa si è registrato il picco di 26mila casi, il numero più alto dallo scorso febbraio. Da maggio il paese è entrato nella sesta ondata e si pensa che fino alla fine di giugno la situazione non migliorerà.

Anche in Germania la quota di contagi è aumentata nell’ultimo mese e il paese teme una sesta ondata in autunno o prima. Stesso scenario italiano, dove la variante Omicron 5 è ancora poca diffusa, i casi registrati sono pochissimi ma vedendo cosa sta accadendo altrove è facile immaginare che entro l’autunno potrebbe arrivare una nuova ondata.

«Le varianti Omicron BA.4 e BA.5 sono molto contagiose. Questo potrebbe determinare la prossima ondata in autunno», ha scritto su Twitter il ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach mentre Frank Ulrich Montgomery, presidente della World Medical Association ha sottolineato che il Covid-19 non è finito come dimostra l’epidemia in Portogallo.

I sintomi a cui fare attenzione

sintomi a cui fare attenzione sono più o meno sempre gli stessi. In particolare Omicron 5 si manifesta con mal di gola e raffreddore piuttosto che con altri sintomi che hanno caratterizzato le precedenti varianti.
Secondo l’infettivologo Massimo Galli:

“È un dato di fatto che nell’Africa australe ci siano condizioni quasi perfette perché si possano sviluppare nuove varianti, che si selezionano casualmente e, se hanno modo di prendere il sopravvento lo fanno, proprio come BA.5”

Il virologo Mauro Pistello, direttore dell’Unità di virologia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Pisa e vicepresidente della Società italiana di microbiologia, ha rassicurato che i casi registrati in Portogallo e in Germania non rovineranno la nostra estate.

WALL STREET: mani forti in azione (ma non sarà facile)

Scritto il 6 Giugno 2022 alle 16:05 da Lukas

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Il quadro del CFTC di Chicago continua ad illustrare uno scenario positivo con i Commercials sugli scudi. Sembra stiano facendo il possibile per far stare in piedi i mercati. Ma è un’impresa ardua sopratutto quando ci sono delle variabili esogene così invasive. [Guest  post]

Cari amici, anche nella settimana appena trascorsa, nessuna buona notizia per quanto concerne la guerra tra Russia ed Ucraina. Il conflitto, purtroppo, prosegue, e si continuano a perdere centinaia di vite umane, ed a distruggere molte infrastrutture. La diplomazia segna il passo, e per il momento non s’intravvede alcuna via d’uscita. In conseguenza, crescono anche le preoccupazioni sulle forniture di cereali, e del grano in particolare, bloccati, ormai da mesi, nei porti dell’Ucraina.

Questa scellerata guerra ha, comunque, già impattato pesantemente sull’intero scenario macroeconomico. Le commodities negli ultimi 4 mesi sono rincarate di circa il 30 % in termini reali. L’inflazione ha raggiunti i livelli massimi degli ultimi 40 anni. I tassi d’interesse a breve termine sono praticamente raddoppiati dall’inizio del conflitto. Ed anche le quotazioni degli asset azionari soffrono come non mai negli ultimi anni. Risultanze, e dati, che dovrebbero indurre tutti i Paesi non belligeranti ad adoperarsi per trovare una rapida soluzione al conflitto.

Ed invece, soprattutto in Occidente, si è scelta una via diversa ed opposta. Si è scelto di alimentarlo il conflitto, fornendo ingenti quantità di armi all’Ucraina, e di riesumare e riproporre l’antico scontro tra Nato e Russia, che credevamo ormai definitivamente finito, e superato. Una riesumazione davvero surreale e miope. Tre decenni di intensa globalizzazione economica hanno infatti del tutto distrutto, e superato, il mondo del ventesimo secolo. E nessun tentativo di riportarlo artificiosamente in vita ha oggi alcuna ragion d’essere.

Credo che il conflitto in corso, osservato da altre latitudini, ovvero da Pechino e Shanghai, o da Singapore e New Delhi, appaia davvero per quello che è, un conflitto d’ordine regionale, tra i perdenti dell’epoca della globalizzazione. Spero, pertanto, che ben presto le elitè dell’Occidente, e dell’America in particolare, rinsaviscono e focalizzino la loro attenzione su temi ben più importanti e decisivi per il nostro futuro, e non sulla sorte dello sventurato Donbass, e degli scellerati neonazisti del battaglione Azov.

L’economia mondiale, è ormai divenuta estremamente  interconnessa, e bisogna adoperarsi per gestirla e governarla al meglio, e non alimentare antiche divisioni, e confronti addirittura armati, del tutto insensati, ed ormai privi di alcuna ragion d’essere.

Dopo le sopra esposte considerazioni, prettamente personali, andiamo ad esaminare cosa ci indica, al momento, il sistema intermarket. Il dollar index, dopo alcune settimane di debolezza, rimbalza dello 0,46 %, e risale a quota 102,17. I prezzi delle commodities, invece, rallentano, ma non arrestano la loro corsa, lievitano infatti di un ulteriore 0,42 % in termini reali, e restano sui massimi degli ultimi 3 lustri. Movimenti significativi si registrano anche nel mercato obbligazionario.

Il rendimento del bond decennale Usa, lievita infatti di ben 20 bps e risale a quota 2,94 %. Il rendimento dei bonds a 2 anni, lievita anch’esso di 18 bps, e raggiunge quota 2,66 %. L’inclinazione della yield curve Usa, pertanto si amplia sino a 28 bps, ma restano del tutto intatti i pericoli di recessione, o ancor peggio di stagflazione, per l’economia americana. I mercati azionari Usa, come  accennato, soffrono anch’essi. Dopo il rimbalzo della scorsa ottava, il nostro benchmark azionario mondiale, l’S&P 500, cede nuovamente l’ 1,2 %, e retrocede a quota 4.108,54 punti.            .

Tanto premesso, passo ad esaminare gli ultimi dati del COT REPORT settimanale, pubblicati venerdì sera dalla CFTC (Commodity Futures Trading Commission), concernenti i valori aggregati dei Futures e delle Options su tutti gli indici azionari USA, che risultano essere i seguenti:

Commercial Traders : + 12.324

Large Traders :  – 2.226

Small Traders : – 10.098

Cambia, pertanto, nuovamente l’assetto del Cot Report sui derivati azionari Usa. Rispetto alla scorsa ottava, le variazioni nelle posizioni dei vari operatori sono state pari a 9.478 contratti. In particolare, i Commercial Traders, ovvero le MANI FORTI di questo mercato, acquistano, l’intero lotto dei 9.478 contratti long, e consolidano la loro eccezionale, ed insolita, posizione Net Long.

I Large Traders, invece cedono 3.700 contratti long, ed invertono la loro posizione, che torna Net short. Gli Small Traders, infine, cedono anch’essi 5.778 contratti long, e consolidano anch’essi la loro insolita posizione, Net Short. Le movimentazioni di quest’ultima ottava, abbastanza importanti e significative, cercano di dare maggiore fiducia ai mercati ed agli investitori. Il nuovo assetto, con le Mani Forti da soli in posizione Net Long, è infatti statisticamente una configurazione beneaugurante e rialzista. E’ evidente che negli Usa in molti sono all’opera per cercare di frenare la caduta degli indici azionari americani.

Molti credo né abbiamo già abbastanza dell’incresciosa situazione determinata dalla guerra tra Russia ed Ucraina. Aldilà delle dichiarazioni ufficiali, e di facciata, non vedono l’ora che tutto presto finisca. Sanno bene, come già accennato, che il confronto con la Russia, non è ormai il tema di questo nuovo secolo. Il loro vero competitor economico, politico, ed in futuro anche militare, è  la Cina, e non più la Russia. Attardarsi sull’Ucraina potrebbe rivelarsi pericoloso anche per loro. Soprattutto se se si dovesse spingere la Russia nelle braccia della Cina.

Ma gli errori strategici sono stati compiuti, e per Loro non sarà comunque facile venirne fuori. Per tale motivo, prendo sì atto dell’impegno delle MANI FORTI, ma anche per quest’ottava riconfermo la mia sfiducia di fondo e la mia vision negativa sulle prospettive dei mercati azionari internazionali

Visco (Bankitalia) riaccende dibattito patrimoniale. “Caro-bolletta, una tassa che può essere pagata dai più ricchi’. E apre al salario minimo

06/06/2022 Una patrimoniale per finanziare gli interventi del governo tesi a blindare i consumi dall’impennata dei prezzi del petrolio e del gas? E’ la domanda che sorge spontanea nel leggere le dichiarazioni che il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, nella cornice del Festival dell’Economia di Torino, ha rilasciato al direttore de La Stampa Massimo Giannini.

Che il caro energia fosse per l’Italia una tassa ineludibile, Visco lo aveva già detto qualche giorno fa, nel discorso delle sue Considerazioni finali 2021 dello scorso 31 maggio.

“L’aumento dei prezzi delle materie prime importate – aveva detto testualmente – è una tassa ineludibile per il Paese”.

Nell’intervista a Massimo Giannini, oltre a rispondere a domande sul reddito di cittadinanza, il salario minimo, la globalizzazione, il contesto macroeconomico stravolto dalla guerra tra Russia e Ucraina e, ovviamente, il solito nodo del debito pubblico con spread annesso, Visco ha anche spiegato che “il punto cruciale è che una tassa va pagata, ciò che dobbiamo discutere è chi deve pagare la tassa, la può pagare sicuramente il più ricco per un periodo temporaneo. Oppure la può pagare chi verrà dopo di noi, in quel caso si fa crescere il debito pubblico”.

Patrimoniale: dichiarazione Visco segue quella di Landini (CGIL)

Una dichiarazione che conferma come al centro del dibattito, in un paese con un debito pubblico storicamente elevato ma anche con famiglie e imprese in balìa dell’inflazione da guerra e, in particolare, del caro-bolletta, ci sia spesso la necessità o meno di varare una patrimoniale, tra le tasse più osteggiate dagli italiani.

Il dibattito sulla patrimoniale era tornato già alla ribalta qualche giorno fa, con la proposta del segretario della Cgil Maurizio Landini che, in un intervento alla trasmissione di Lucia Annunziata, “Mezz’ora in più” si era così espresso:

“La situazione è peggiorata, stiamo andando verso una situazione drammatica. Serve intervenire ora, non aspettare l’autunno. Se non agiamo ora la situazione è tale che diventerà esplosiva. Servono misure straordinarie considerato che tutti parlano di salari bassi e povertà. Il governo ci convochi. Non propongo patrimoniali, ma dico che si può aumentare la tassazione delle rendite e quella sugli extra profitti. E dico anche che non è scandaloso pensare a un contributo straordinario di solidarietà per cui chi sta meglio aiuta chi sta peggio”.

In quell’occasione, Landini aveva dichiarato che “i 200 euro una tantum in busta paga decisi dal governo Draghi non bastano. Ai lavoratori sotto i 35mila euro di reddito annuo manca una mensilità”. Di conseguenza, “serve un contributo di solidarietà straordinario una tantum mirato ad aumentare i salari”, aveva chiarito il numero uno della Cgil.

Visco (Bankitalia) cita Tremonti: “dalle persone alle cose”

Ora anche la frase di Visco, secondo cui chi è più ricco deve portare sulle proprie spalle il carico della tassa ineludibile riporta sotto i riflettori lo spettro della patrimoniale.

Il timore è che gli interventi del governo finiscano per far lievitare in modo insostenibile il debito pubblico?

Il governatore di Palazzo Koch dice le cose come stanno, alla domanda se sia il caso di dire “basta scostamenti di bilancio”:

Basta non lo dico io, lo dice qualcun altro, perché i rischi per noi sono troppo alti. Ne parlavo vari anni fa quando introdussi il concetto della riforma organica della tassazione. Abbiamo visto varie riforme nel tempo, sul piano della tassazione dei redditi ci sono stati dei progressi nello smussare irregolarità molto forti, però il famoso messaggio di Tremonti “dalle persone alle cose” non è avvenuto, prima o poi bisognerà fare i conti con questo. È inutile rinviare nel tempo. Sono tutte cose da fare in fretta. La stessa cosa vale per gli investimenti nella scuola, che si rinviano continuamente perché i ritorni sono oltre la scadenza elettorale. Mi spiace, ma se tu hai deciso di servire la collettività facendo il politico ti assumi la responsabilità di fare le riforme anche se vanno oltre il tuo mandato”.

D’altronde, ha rimarcato Visco, “il problema del debito pubblico esiste, lo abbiamo fatto salire dal 135 al 156% nel giro di un anno per far fronte alla pandemia. L’anno scorso sembrava si andasse verso il 160%, ma abbiamo chiuso vicino al 150. È andata bene, e il debito è ancora in discesa nelle previsioni della Commissione europea, nonostante la modesta crescita di quest’anno. Dipende dal Prodotto interno lordo, dal successo del Pnrr e da quello che succederà all’economia mondiale”.

Ma certo il quadro internazionale, in questo momento, non è che sia esattamente favorevole ai venti di crescita del Pil, sia italiano che mondiale.

Nel suo intervento al Festival dell’Economia di Torino, Ignazio Visco ha sottolineato che, di fatto, la situazione economica è “molto incerta”, ricordando che al momento è “difficile fare previsioni e valutazioni” e sottolineando anche che, affinché i salari aumentino, è necessario “aumentare la produttività e crescere di più”.

A proposito di salario minimo, nell’intervista a La Stampa il governatore ha ricordato che “ci sono molti studi, da Alan Krueger negli Stati Uniti a chi ha vinto il premio Nobel dell’economia quest’anno, che dicono che il salario minimo in certe condizioni è favorevole all’occupazione. Io credo che se ben studiato è una buona cosa, ha vari effetti positivi, il rischio sta nel livello, se è eccessivo può portare a non occupare persone che hanno una produttività in grado di non arrivare a quella soglia. Ciò che è importante è non legare al salario minimo automatismi che poi ci possono costare. Un esempio: un salario minimo che ha piena indicizzazione ai prezzi al consumo, se diventa il modello di riferimento di tutte le contrattazioni, incorpora direttamente quel meccanismo della rincorsa tra prezzi e salari”. Che innescherebbe in sostanza per Ignazio Visco una ulteriore accelerazione dell’inflazione, di per sé già rovente.

La Bce di Lagarde non mollerà i BTP. In arrivo nuovo scudo anti-spread. Occhio alle banche italiane più esposte al doom loop

06/06/2022 La Bce di Christine Lagarde non abbassa la guardia: priorità combattere le continue fiammate dell’inflazione che assediano l’area euro, ma non a costo di scatenare una crisi dei debiti sovrani bis. L’FT parla di un piano anti-stress a cui la banca centrale europea starebbe lavorando: una sorta di scudo anti-spread, da utilizzare per blindare – ancora – soprattutto i BTP e i titoli di stato emessi da altri paesi dell’Eurozona a rischio. Della possibilità di un nuovo bazooka in arrivo parla un articolo del Financial Times, ricordando l’appuntamento della riunione del Consiglio direttivo, che si terrà ad Amsterdam nelle giornate di mercoledì 8 e giovedì, 9 giugno. Sempre giovedì arriveranno l’ annuncio relativo alla fine dell’APP (programma di quantitative easing tradizionale, con cui la Bce ha fatto acquisti di titoli di stato negli ultimi anni) e, molto probabilmente, l’anticipazione del primo rialzo dei tassi previsto per il mese di luglio. Il ciclo di normalizzazione dei tassi, che anche la Bce è costretta a lanciare a causa del boom delle pressioni inflazionistiche, peggiorato con la guerra tra Russia e Ucraina, non si accompagnerà tuttavia alla fine delle misure a sostegno di BTP & Co. Il rischio è troppo alto, come dimostrano già i forti smobilizzi della carta italiana e dell’area euro delle ultime settimane: oggi i tassi sui BTP a dieci anni fanno dietrofront proprio sulla scia delle indiscrezioni sull’arrivo di un nuovo bazooka pro-debiti sovrani riportate dal Financial Times. Ma i rendimenti rimangono ben al di sopra della soglia del 3%, scendendo a un valore che rimane ostinatamente alto, attorno al 3,3%. Lo spread BTP-Bund a 10 anni si aggira attorno a 207 punti base, dopo essere schizzato fino a 214 la scorsa settimana, al record dai tempi dei sell off che si abbatterono sui titoli di stato del Sud Europa all’inizio della pandemia Covid, nel 2020. L’FT scrive:

“La Banca centrale europea è orientata questa settimana a rafforzare il suo impegno a supportare i mercati dei debiti dei paesi dell’Eurozona vulnerabili, nel caso in cui vengano colpiti da un sell-off, mentre si preparano ad alzare i tassi per la prima volta in più di un decennio. La gran parte dei 25 esponenti del Consiglio direttivo dovrebbe sostenere una proposta volta a creare un nuovo programma di acquisti di bond, in caso di necessità, per impedire che i costi di finanziamento di paesi membri come l’Italia, vadano fuori controllo”. L’FT parla di indiscrezioni riportate da diverse fonti vicine al dossier, ricordando inoltre che, “anche senza un nuovo schema, la Bce dispone di un ammontare aggiuntivo di €200 miliardi che può spendere acquistando debiti governativi sotto stress, nell’ambito del suo programma esistente di acquisti di bond”.

In particolare, quei €200 miliardi arriverebbero prolungando i renvestimenti dei titoli arrivati a scadenza fino a un anno. Di certo, in seno al Consiglio direttivo non si può parlare di visione unanime sul da farsi: alcuni banchieri vorrebbero che gli acquisti di BTP & Co terminassero anche dopodomani, ben prima della scadenza del QE tradizionale APP, prevista per la fine di giugno. Gli stessi riconoscono tuttavia che solo una piccola minoranza potrebbe dare il proprio sostegno a questo piano hawkish. Ovviamente, le decisioni più o meno da falco – e per lo stesso motivo, più o meno da colomba – che verranno prese dalla Bce avranno ripercussioni anche sulle banche, come fa notare un commento di Equita:

“Secondo quanto riportato dal Financial Times, la Bce sarebbe pronta ad intervenire a protezione del debito dei paesi periferici dell’Eurozona qualora questo fosse soggetto ad un forte rialzo dello spread nei prossimi mesi. Non é la prima volta che si torna a parlare di uno schema di protezione Bce sul debito pubblico dei paesi europei, specialmente a seguito del termine del programma APP previsto a fine giugno e alle aspettative di un rialzo dei tassi da parte della Bce a partire da luglio. Ricordiamo che la conclusione dell’APP non implicherà immediatamente una contrazione del bilancio Bce, che invece reinvestirà l’ammontare dai titoli di stato in scadenza”.

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BCE, l’inflazione record di maggio (8%) apre la strada ai falchi: la view di Algebris

La SIM milanese fa il punto della situazione, ricordando che “le tensioni sull’economia, combinate con i) l’aspettativa del venire meno dello scudo Bce e del rialzo dei tassi e ii) l’emergere di nuove turbolenze sul fronte politico, hanno portato nell’ultima settimana ad un rialzo dello spread BTP-Bund di 19 punti base a 213punti base”. Di conseguenza, “l’introduzione di un nuovo schema Bce che possa mitigare l’impatto sullo spread del termine dell’APP e del rialzo dei tassi sarebbe una notizia positiva per il settore bancario. Sebbene le banche sotto nostra copertura abbiano classificato la maggior parte dei titoli di stato in bilancio al costo ammortizzato (57% del totale), uno shock sul fronte spread ha storicamente penalizzato il settore. Ricordiamo che l’esposizione media dei titoli governativi rapportata al CET1 delle banche si attestava al primo trimestre del 2022 in area 110%, tuttavia con valori molto eterogenei (dal 76% di Intesa SanPaolo a oltre il 250% di Popolare di Sondrio e Mps).

Fuga dal titolo Moderna (-72% dai massimi), non da Pfizer. La bolla vaccino e il valore della diversificazione

05/06/2022

La crescita dei contagi dal vaiolo delle scimmie e la notizia che Moderna sta testando in studi preclinici potenziali candidati vaccini non hanno dato slancio alla vaccine stock più in voga a Wall Street nel 2020 e nel 2021 con performance da capogiro. Moderna è letteralmente crollata tra fine 2021 e questa prima metà del 2022 con valori dimezzati negli ultimi 6 mesi. SE nel 2020 il titolo era passato da circa 19 $ a oltre 100 $, e poi nel settembre 2021 si era spinta addirittura fino a 497 $, adesso il titolo viaggia in area 137$.

La sbornia post-vaccini Covid appare ormai un lontano ricordo. Perché gli investitori hanno voltato le spalle alla vaccine stock per eccellenza? Il problema non sono le vendite dei vaccini Covid. Pfizer ha dichiarato di aspettarsi che il fatturato di Comirnaty, il vaccino realizzato insieme a BioNTech,  raggiunga i 32 miliardi di dollari nel 2022, mentre Moderna ha previsto di poter generare quasi 20 miliardi di dollari di ricavi dal suo preparato contro il Coronavirus quest’anno.

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Parte della ragione del crollo potrebbe essere semplicemente che gli investitori prevedevano già una forte domanda e hanno fatto ciò che i trader sanno fare meglio: comprare i rumor e vendere le notizie. L’anno scorso le azioni di Pfizer sono salite di oltre il 60%. BioNTech è salita di oltre il 215% nel 2021, mentre le azioni di Moderna sono aumentate di quasi il 145%. In prospettiva, tuttavia, i vaccini potrebbero dare nuova spinta. Nelle scorse settimane le autorità sanitarie degli Stati Uniti hanno approvato dosi di richiamo del vaccino Pfizer/BioNTech per i bambini dai 5 agli 11 anni.

Pfizer resiliente perchè non dipendente dal Covid

Pfizer in Borsa sta soffrendo meno con un -6% YTD e un saldo positivo del 3% negli ultimi 6 mesi, sovraperformando in entrambi gli archi di tempo rispetto all’S&P 500.

Pfizer potrebbe ricevere una spinta dai trattamenti Covid grazie alla sua pillola antivirale Paxlovid, approvata alla fine dello scorso anno e per cui Pfizer ha dichiarato di aspettarsi un fatturato di 22 miliardi di dollari da Paxlovid quest’anno.

Inoltre, tra i tre produttori di vaccini, Pfizer potrebbe essere quello meglio posizionato per prosperare oltre il Covid. Ultimamente l’azienda si è lanciata in una serie di acquisizioni, annunciando di recente l’intenzione di acquisire il produttore di farmaci contro l’emicrania Biohaven  per quasi 12 miliardi di dollari all’inizio di questo mese.  La diversificazione di Pfizer è uno dei motivi principali per cui gli analisti prevedono che il fatturato dell’azienda aumenterà di quasi il 30% quest’anno e che gli utili per azione aumenteranno di oltre il 50%.

Moderna, invece, che non è così diversificata come Pfizer. Quasi il 97% delle vendite dell’azienda nel primo trimestre sono state realizzate con il vaccino Covid. Le vendite di Moderna dovrebbero aumentare di circa il 20% quest’anno, ma gli analisti prevedono un calo degli utili. L’amministratore delegato Stéphane Bancel ha dichiarato che due dei principali obiettivi dell’azienda sono “espandersi oltre i vaccini per le malattie infettive verso le terapie” e trovare candidati alla fusione. Moderna sta anche lavorando a vaccini per altri virus, come l’HIV e l’Epstein-Barr.

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Anche BioNTech, come Moderna, è un po’ sofferente in questo momento, in quanto quasi tutti i suoi ricavi del primo trimestre sono derivati da Comirnaty. Pfizer ha generato solo circa la metà delle vendite del vaccino nel primo trimestre.

CICLO ECONOMICO e DATI: il quadro si sta complicando

Scritto il 3 Giugno 2022 alle 15:55 da Danilo DT

Il ciclo economico è sotto osservazione da settimane, in particolar modo da quando sui mercati stanno soffiando venti di recessione se non addirittura di stagflazione.
Ovviamente tutti gli economisti hanno negato, persino davanti all’evidenza. Ma poi finalmente si sono arresi ed hanno dovuto ammettere che davanti ad un tasso inflazione che NON poteva essere temporaneo, si sarebbero alzati considerevolmente i rischi di recessione se non addirittura di stagflazione.

Ma proprio quest’ultima, STAGFLAZIONE, è una parola taboo perché significherebbe impotenza da parte delle banche centrali di dirigere proattivamente l’economia e con essa i mercati finanziari.

Solo il tempo ci dirà quale sarà il destino del Bel Paese, dell’Europa e degli USA.
E’ palese che, come spesso dico, il conflitto bellico sarà un drammatico acceleratore di qualsiasi scenario economico, nel bene e nel male.
Intanto guardatevi questo grafico di Fidelity. 

Business Cycle

Il ciclo economico è la “temperatura” dell’attività economica di un sistema economico. Come con il clima, la temperatura “fluttua” a secondo dei vari momenti. E’ condizionato da molteplici fattori che, lavorando insieme, contribuiscono alla formazione di un trend economico, dal quale si potrà avere una forte influenza sui mercati finanziari.
Ma non tutti le aree globali si trovano allo stesso punto del ciclo economico.

La globalizzazione ha contribuito ad una forte “normalizzazione geografica” uniformando molto il trend dell’economia di tanti paesi, a livello di tendenze. Però le tempistiche non sono per forza identiche. Il grafico che vi propongo illustra appunto le principali aree del pianeta, rapportandole a quello che è il relativo posizionamento all’interno del ciclo economico.

Interessante notare, all’interno di ogni tipo di fase, la situazione dei vari paesi. E’ evidente che la situazione di USA ed Eurozona non è certo delle più felici, mentre diventa interessante il posizionamento della Cina.

CESI: Citigroup Economic Surprise Index

Interessante poi andare a prendere uno dei nostri indicatori previsionali economici preferiti, il CESI.
Cina e USA stanno deludendo molto i mercati. E l’indice G10 ha una tendenza che è veramente evidente. Ormai vicino allo ZERO, area di pericolo. Per certi versi, il CESI può anche diventare un indicatore contrarian (la logica è chiara, quando si raggiunge un picco di minimo, si riparte): peccato però che il contesto storico, monetario e geopolitico sia profondamente particolare.

Fintanto che la tendenza sarà negativa, diventerà decisamente complicato immaginare una ripartenza.

RECESSION… IS BACK!

Scritto il 3 Giugno 2022 alle 08:27 da icebergfinanza

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4 Cartoons & Analysis Laying Out Our U.S. Recession Call

Sia ben chiaro,  di solito bisognerebbe fare il contrario di quello che suggeriscono questi autentici volponi, gente che ha 2 dita di pelo sul cuore, gente che crede di svolgere il lavoro di dio, scritto piccolo apposta, psicopatici che se ne fregano del prossimo…

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Se non volete credere a un blogger qualunque di periferia, vi consiglio di prendere sul serio l’avvertimento di questo banchiere, solo che lui è ottimista come sempre, non sarà un uragano ma uno tsunami.

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Subito li ha fatto eco John Waldrom, il nuovo banchiere di dio in Goldman Sachs, che in una conferenze per gli investitori ieri mattina, Waldron ha scherzato dicendo che eviterà di “usare qualsiasi analogia meteorologica”, ma ha suggerito che i rischi attuali possano mettere in ginocchio l’economia globale.

“Questo è tra – se non il più – ambienti complessi e dinamici che abbia mai visto nella mia carriera” “La confluenza del numero di shock nel sistema per me è senza precedenti”

Non c’è stato un momento da quando nel 2007 abbiamo aperto il blog, suggerendo prima di altri l’arrivo della tempesta subprime, ripeto non c’è stato un solo momento nel quale non ci sia stata una crisi, piccola o grande che sia.

In questi settimane vi avevamo avvertiti che nonostante una sfilza di pessimi dati i mercati avrebbero messo a segno il classico rally in pieno bear market, l’ultimo rimbalzo del gatto morto. L’ultima occasione per mettersi al riparo!

Prima della fine dell’estate, arrivaìerà la prima ondata di questo tsunami, ma questo ve lo racconteremo insieme a Machiavelli in ”Tempesta estiva”.

Ieri mentre in Italia si festeggiava non si sa bene cosa, visto che non esiste più una democrazia ma una serie di governi con pilota automatico, suggerito da Bruxelles, con tanto di banchieri o ex uomini Goldman Sachs al comando da Monti all’ultimo nonno d’Italia, dicevo, pessimi dati in arrivo dall’America…

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Le piccole imprese stanno iniziando a perdere occupazione e è assolutamente ridicolo che dopo i pessimi dati sulla fiducia delle imprese e i dati relativi all’occupazione manifatturiera,, qualcuno prevedesse oltre 3 o 4 centomila posti di lavoro.

ADP, componente occupazionale ISM manifatturiero, richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, dati su base domestica e commenti dell’addetto stampa della Casa Bianca suggeriscono che oggi il dato sarà ampiamente negativo.

Per carità si può sempre ”aggiustarlo” per la causa Biden, ma la realtà è questa!

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Ora il modello della Fed di Atlanta, prevede un’altro trimestre di crescita anemica…

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… ci stiamo avvicinando rapidamente al 1%.

Non un solo dato è realmente positivo, consumi compresi il crollo del risparmio come vedremo è un certezza.

https://platform.twitter.com/embed/Tweet.html?dnt=true&embedId=twitter-widget-1&features=eyJ0ZndfZXhwZXJpbWVudHNfY29va2llX2V4cGlyYXRpb24iOnsiYnVja2V0IjoxMjA5NjAwLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X3JlZnNyY19zZXNzaW9uIjp7ImJ1Y2tldCI6Im9mZiIsInZlcnNpb24iOm51bGx9LCJ0Zndfc2Vuc2l0aXZlX21lZGlhX2ludGVyc3RpdGlhbF8xMzk2MyI6eyJidWNrZXQiOiJpbnRlcnN0aXRpYWwiLCJ2ZXJzaW9uIjpudWxsfSwidGZ3X3R3ZWV0X3Jlc3VsdF9taWdyYXRpb25fMTM5NzkiOnsiYnVja2V0IjoidHdlZXRfcmVzdWx0IiwidmVyc2lvbiI6bnVsbH19&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1532369954506280962&lang=it&origin=https%3A%2F%2Ficebergfinanza.finanza.com%2F2022%2F06%2F03%2Frecession-is-back%2F&sessionId=1eec4922ffb374d2c119f64757ce027d35f1cd47&theme=light&widgetsVersion=b45a03c79d4c1%3A1654150928467&width=550px

Pessimi segnali anche per gli ordini, al netto dei trasporti, gli ordini sono aumentati solo dello 0,3% su base mensile, rallentando notevolmente anche dall’aumento del 2,2% su base mensile di marzo e il bello deve ancora arrivare a maggio.

Nel frattempo ollaro e rendimenti ballano alle parole inutili dei banchieri centrali, ieri Bostik ha suggerito che non c’è nessuna frenata all’orizzonte per i rialzi dei tassi mentre…

Brainard ha aggiunto che: “Ci aspettiamo di vedere un certo raffreddamento di un’economia molto, molto forte nel tempo”

E si lo vedono nel tempo, non si accorgono che ci sono già dentro, come in Europa alzeranno i tassi e anche il suicidio americano sarà completo.

A noi non resta che attendere, nessun uragano, ma solo uno tsunami epocale.

Appuntamento nel fine settimana con il nostro Machiavelli e la sua ”Tempesta estiva”

Wall Street tenta la ripresa dopo cali post Dimon (JP Morgan). Focus su calo petrolio post rumor Arabia Saudita

02/06/2022

Oggi i mercati azionari Usa tentano la ripresa, dopo la chiusura negativa della vigilia: alle 13 circa ora italiana i futures sul Dow Jones salgono dello 0,35%, quelli sullo S&P 500 avanzano dello 0,45%, quelli sul Nasdaq crescono dello 0,64%.

Sono le azioni delle società che beneficerebbero in misura maggiore del calo dei prezzi energetici, in particolare del carburante, dunque i titoli delle compagnie aeree e dei gruppi attivi nel turismo, a salire in premercato.

Buy sui titoli American Airlines, Carnival Corp e MGM Resorts.

Prezzi del petrolio in forte calo dopo le indiscrezioni riportate dal Financial Times, secondo cui l’Arabia Saudita sarebbe pronta ad aumentare la propria offerta di petrolio nel caso in cui la produzione di oil della Russia dovesse scendere in modo significativo, sulla scia delle sanzioni imposte contro Mosca a causa dell’invasione dell’Ucraina.

Le quotazioni sono arrivate a cedere il 3%. I prezzi del Brent e del WTI sono ora in ribasso del 2,5%, rispettivamente a $113,30 e $112,30 circa al barile.

Ieri chiusura negativa di Wall Street, con il
Dow Jones sceso di 176,89 punti, o dello 0,5%; lo S&P 500 in calo di quasi -0,8% e il Nasdaq Composite in flessione dello 0,7%. Il sentiment di mercato è peggiorato sopratutto dopo l’alert lanciato dal numero uno di JPMorgan, il ceo Jamie Dimon.

“Preparatevi a un uragano economico che sarà provocato dalla guerra tra Russia e Ucraina e dalla Fed” di Jerome Powell.

Non è mancato l’alert sul petrolio, le cui quotazioni potrebbero, secondo il banchiere, volare fino a $150 o $175 al barile.

Con un discorso proferito di fronte a una platea di giornalisti e analisti, Dimon ha lanciato il seguente messaggio:

“E’ meglio che vi teniate pronti. JP Morgan lo sta facendo, e sarà molto conservativa con il suo bilancio”.

I fattori che scateneranno l’uragano economico saranno, secondo il ceo, principalmente due: il cosiddetto quantitative tightening, o QT, che ha preso il via proprio nella giornata di ieri, con cui la Fed di Jerome Powell si prepara a sbarazzarsi di quei bond che hanno ingolfato il suo bilancio; e la guerra in Ucraina, con il suo impatto sulle materie prime, inclusi beni alimentari ed energetici.

“Il mercato rimane nervoso, con un atteggiamento negativo che caratterizza l’inizio di giugno – ha commentato Rob Haworth, senior investment strategist presso la U.S. Bank Wealth Management, stando a quanto riporta la CNBC – L’inflazione rimane la preoccupazione principale, come messo in evidenza dai prezzi del petrolio più alti e dai timori dei consumatori emersi dal Beige Book della Fed”.

Investimenti, il repricing e il momento giusto per rientrare sul mercato: la view di Gamma Capital Markets

02/06/2022 Incredibile ma vero, il momento migliore per rientrare sul mercato potrebbe essere proprio quello attuale. L’inflazione in aumento, la guerra che non cessa e un’economia a tratti in rallentamento, non spaventano specialmente se si osserva un trend di repricing in atto in molti settori (che potrebbe e dovrebbe essere di lungo periodo). A evidenziarlo è un’analisi a cura di Carlo De Luca, Responsabile Asset Management di Gamma Capital Markets.

“Per quanto sia innegabile che i mercati siano diventati di non semplice lettura, se ragioniamo a bocce ferme e al netto dell’emotività forse riusciamo a fermare la trappola del gatto (mercato) che gioca col topo (noi) – esordisce De Luca – Iniziamo dalle valutazioni. Siamo entrati davvero in una fase ribassista? Se guardiamo agli indicatori forniti dall’analisi tecnica la risposta è no. Nonostante le perdite registrate sinora, i due indici più importanti per individuare la direzionalità del trend (Nasdaq e S&P500) non hanno ancora rotto al ribasso i supporti di lungo periodo (posti a 11.200/11.000 per il primo e a 3500/3400 il secondo) e potrebbero essere entrati (lo S&P non ancora a livello tecnico) in un movimento di correzione laterale. Non ne abbiamo la certezza, quindi dovremo attendere il responso nei prossimi giorni sulla base di quello che ci segnaleranno gli indicatori che calcolano i livelli a seconda della forza con cui avvengono i movimenti di rialzo o ribasso. In questo tipo di mercato, estremamente tecnico, infatti, sono gli algoritmi a decidere se e quando violare un livello in acquisto o vendita (come in questo caso) magari anche in assenza di notizie negative (se non addirittura in presenza di notizie positive) con l’unico fine di testare quei livelli”.

“Pertanto, in questo momento, trovo sia sbagliato ragionare sul breve termine (guidato dalle “macchinette”) mentre bisognerebbe tenere lo sguardo alto sul lungo termine tornando a riflettere sulla base dei bilanci e dei fondamentali, i quali, a ben guardarli, ci raccontano un’altra storia – prosegue il manager di Gamma Capital Markets – Se è vero che nelle ultime trimestrali abbiamo avuto moltissime aziende apparentemente in sofferenza, andando a spulciare le voci del conto economico, è facile riscontrare come i manager americani, in maniera molto avveduta, abbiano approfittato della presente fase di confusione per fare un po’ di pulizia di bilancio. Provocando un’ulteriore vendita sul mercato azionario. Visto da questa angolazione, è chiaro che il diavolo non è così brutto come lo si dipinge. Anzi. Questi scivoloni hanno permesso ai Price Earning dei due indici di riferimento di rientrare nella media degli ultimi cinque anni. A queste valutazioni, dunque, non solo non sono cari ma hanno provocato un salutare “repricing” di molti settori (FAANG, semiconduttori, robotica, I.A., Cybersecurity) che rimarranno interessanti anche per i prossimi anni in quanto legati a storie di crescita e megatrend che non solo non verranno impattati in maniera significativa dalla stagnazione economica in corso, ma trattando a valutazioni più economiche, sarebbero sicuramente da buy on the dip”.

Ricomprare tutto allora? Non proprio. “A questo punto – spiega ancora De Luca – dovrebbe essere chiaro a tutti che in Europa ci sono molti meno temi dii investimento che negli Stati Uniti e il fatto che energetici e finanziari stanno facendo la parte del leone nel Vecchio Continente non significa che rappresentino delle storie di investimento di lungo periodo (solitamente vengono inserite in portafoglio per la remunerazione data dai dividendi). Personalmente poi, non sono nemmeno tanto convinto della bontà della rotazione da Growth a Value perché credo che dopo il repricing saranno i titoli legati ai megatrend a performare meglio. Potrebbe quindi essere questo un buon momento per rientrare su Microsoft Apple Alphabet Netflix NVDA. Traslandolo a latitudine diverse, lo stesso discorso vale anche per i titoli tech cinesi che hanno perso di più come Alibaba, Tencent. La Borsa negli ultimi anni non ha seguito né la micro né la macroeconomia: a causa della disruption demografica e tecnologica, intervengono delle variabili che portano il mercato da un eccesso all’altro”.

Chi la spunta? Chi fa “Buy e Hold” o chi è avido quando tutti gli altri hanno paura e ha paura quando gli altri sono avidi. “In Europa – conclude l’esperto – siamo positivi sui conglomerati del lusso (Kering, LVMH, Pernod Ricard, Campari). Infine, last but not least, occorre tenere presente che a novembre negli Usa ci sono le elezioni di Mid-Term e che, se vuole vincere, il Presidente Biden deve presentarsi agli americani con mercati in ripresa e inflazione in discesa. E come scende l’inflazione?  Facendo scendere i mercati. I consumi statunitensi rallentano infatti quando la Borsa scende. Si spiegano così le parole più dure di Biden ascoltate in questi giorni e le “minacce” verbali verso Russia e Cina che, in accordo con le intenzioni rialziste della Fed, stanno rafforzando il dollaro ed “esportando” inflazione mentre per gli americani diventa più conveniente acquistare i beni prezzati nella loro valuta come le materie prime, ad esempio (In linea di massima qualunque bene prezzato in dollari se dollaro si rafforza tende a deprezzarsi). Se tutta questa negatività tende a polarizzarsi sui mercati, la domanda americana scenderà e con essa l’inflazione, creando così le condizioni affinchè la Fed possa correggere il tiro e dare di nuovo fiato alle trombe. Con un probabile rally pre-elettorale ad ottobre. Questo copione, tuttavia, non è ancora andato in scena e non è detto che sarà il film che vedremo in autunno se dovesse, ad esempio, fare la sua comparsa l’ennesimo Cigno Nero in grado di far crollare gli indici sotto i supporti di cui abbiamo detto all’inizio. Il quadro è debole, l’armamentario delle banche centrali esaurito e si stanno caricando nuove munizioni. Da osservare che le correlazioni azioni/bond negli ultimi giorni si sono invertite (azioni giù, Treasury su con rendimento del decennale sceso da 3 a 2,7%)”.

Borse, le previsioni “meteo” di Intermonte per l’estate: giugno più soleggiato, luglio e agosto piovosi

31/05/2022

giugno 30 giorni di sole pieno (o quasi), a luglio e agosto l’altissimo rischio di copiosi rovesci. Sono queste in massima sintesi le previsioni “meteo” sulla bella stagione dei mercati finanziari per il 2022. A evidenziarle nella sua analisi è Antonio Cesarano, Chief Global Strategist di Intermonte

L’ultima settimana di maggio ha evidenziato un consistente recupero dei listini azionari, che può essere ricollegabile a due fattori: o parziale rientro da eccessi segnalati da alcuni indicatori di Financial Conditions, uno per tutti il fear&greed o effetto dei ribilanciamenti di fine mese, che JPM ha stimato nel range $34-56 mld da parte di fondi comuni bilanciati. Giugno potrebbe rappresentare mediamente una sorta di tregua, soprattutto nella seconda parte del mese, in vista di ribilanciamenti molto corposi o il trend calante dei mercati azionari potrebbe però riprendere nel corso dell’estate. Quindi, in sintesi, mutuando un’immagine metereologica, sprazzi di sole più frequenti a giugno in vista di un’estate mediamente piovosa.

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giugno non sono attesi aggiornamenti dal lato micro/societari, essendo appena finita la stagione delle trimestrali US, che ha mediamente portato buoni risultati consuntivi, in diversi casi, però, più che bilanciati da guidance in senso opposto, soprattutto sotto il profilo dei margini. Negli USA è così partita la fase di revisione peggiorativa delle stime degli earnings.

Da luglio, invece, il cielo potrebbe ritornare nuvoloso. Ci sarà la ipresa dell’aggiornamento micro (da metà luglio riprende la stagione delle trimestrali Us) che potrebbe segnalare ulteriore stress sul fronte dei margini aziendali per effetto dell’elevata inflazione e dell’impatto delle manovre restrittive di politica monetaria. Si prevede un mpatto più visibile della riduzione della liquidità nel sistema per effetto della partenza dei piani di QT (Fed da giugno e poi in estate la BoE, con BCE che arresta il QE da luglio). Inoltre occhio ai possibili segnali di ridimensionamento della forza del mercato US, soprattutto dal lato dell’offerta di posti di lavoro, come segnalato da alcuni indicatori anticipatori (ad esempio l’andamento delle breakeven inflation) vs il JOLTS report che monitora appunto l’andamento dal lato dell’offerta di posti di lavoro.

In sintesi, per l’esperto, nei mesi estivi i fattori prima delineati potrebbero far riprendere il trend al ribasso in vista di ulteriori tagli del consenso dei margini aziendali e di livelli più equilibrati tra capitalizzazioni di mercato e liquidità in circolazione, calante per effetto del QT/stop QE. I tagli dei margini aziendali storicamente arrivano con circa 100 gg lavorativi in ritardo rispetto all’andamento delle quotazioni. A sua volta, il raggiungimento di livelli stimati di margini significativamente più bassi rispetto a quelli attuali, potrebbe rappresentare un buon indicatore del possibile livello minimo di approdo degli indici azionari

Dunque, giugno potrebbe offrire performance mediamente positive con eventuali turbolenze intorno alla metà del mese, in corrispondenza delle riunioni BCE e Fed. La parte più “soleggiata” potrebbe arrivare nella seconda quindicina per effetto del supporto dei corposi ribilanciamenti di fine trimestre/semestre. Nel periodo tra luglio e agosto i fattori prima delineati (QT/stop QE, indicazioni aggiornate dalle trimestrali e rallentamento della dinamica del mercato del lavoro US) potrebbero far riprendere il trend calante delle Borse.

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INFLAZIONE in miglioramento. Occhio alle apparenze!

30 Maggio 2022 

Nel corso delle ultime settimane, il mondo ha magicamente rispolverato uno dei principi dell’analisi intermarket che avevo scoperto tanti anni fa quando conobbi John Murphy. Uno di quelli che sono considerati i padri dell’analisi intermarket.

Analizzando il periodo intorno al crollo del mercato Azionario del 19 ottobre 1987, Murphy mostrò come l’analisi intermarket avrebbe anticipato l’imminente tracollo. Le indicazioni dell’analisi intermarket non sempre forniscono dei veri e propri segnali di acquisto o vendita, tuttavia sono spesso fondamentali per individuare la natura e la dinamica dei trend sui vari mercati.

(…) Per Murphy le relazioni intermarket dipendono prima di tutto dalla dinamica di inflazione o di deflazione. (…) [Source] 

Le dinamiche inflattive. Dite che sono attinenti al momento storico in cui ci troviamo? Direi di si. In questi giorni il tasso inflazione PCE (Personal Consumption Expenditures) sembra aver fatto un picco. E questo è stato oggetto di euforia a Wall Street perché ha lasciato intendere che il peggio lo si era quantomeno visto.

I grafici di Yardeni Research che vi propongo, mostrano che il miglioramento del tasso di inflazione PCE core è attribuibile all’inflazione dei beni durevoli, in particolare ai prezzi delle auto usate. L’inflazione di fondo sia nei beni che nei servizi non durevoli rimane problematica. I prezzi dei beni essenziali sono ancora alle stelle guidati dalla benzina (42,9% a/a) e dai generi alimentari (11,2%).

Quindi presto per cantare vittoria anche perché (soprattutto in Europa) lato energy abbiamo ancora non pochi problemi.
Se ci pensate bene, l’embargo al petrolio russo rappresenta un po’ un taglio del secondo produttore OPEC, un taglio molto consistente che ovviamente porta ad avere MENO petrolio sul mercato. Ma attenzione, guardiamo anche le riserve USA

US OIL RESERVES

La quantità delle riserve di greggio di riserva in deposito negli Stati Uniti è scesa al livello più basso dal settembre 1987. Le scorte sono scese a 532 milioni di barili. Siamo ai minimi assoluti. Quindi mi faccio una domanda. Come possiamo pensare che il petrolio abbia le carte in regola per scendere di prezzo?

Grafico Brent

Chart Brent by Tradingview

Inflazione Usa: toccato il picco? PCE core: dall’indice preferito dalla Fed emerge sfiammata prezzi

27/05/2022 Nel mese di aprile l’indice PCE core – parametro che misura l’inflazione core preferito dalla Fed per le decisioni di politica monetaria – è salito su base annua del 4,9%, in linea con le previsioni e in rallentamento rispetto al +5,2% di marzo.Su base mensile, il rialzo è stato dello 0,3%, anche in questo caso in linea con le stime e dopo il +0,9% del mese precedente.

L’inflazione headline è salita su base annua del 6,3%, meno del +6,6% del mese scorso. Su base mensile, il dato ha riportato una crescita dello 0,2%, inferiore rispetto al
+0,9% di marazo.

I numeri sull’inflazione, che sono contenuti nel rapporto relativo al trend delle spese per consumi e dei redditi personali di aprile, sembrano avallare l’opinione di chi ritiene che l’inflazione, negli Stati Uniti, abbia testato il picco, e che dunque la Fed di Jerome Powell possa essere meno aggressiva nell’alzare i tassi.

FEAR!

Scritto il 27 Maggio 2022 alle 08:59 da icebergfinanza

Fear streaming ita: Netflix, DVD, Prime, TimVision & Date di uscita

Paura, paura mascherata da presunta competenza, con una prospettiva economica ostinatamente ottimistica, questa è la sintesi delle minute uscite mercoledi, ovvero i verbali dell’ultimo incontro della banca centrale americana.

 ” la crescita del PIL rimbalzerà nel secondo trimestre e avanzerà a un ritmo solido nel resto dell’anno “.

Inguaribili ottimisti di maniera, ottimisti di facciata!

Ieri è uscita la revisione del Pil relativa la primo trimestre…

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Ovviamente c’è chi dice che non è un problema, tanto i consumatori continuano a spendere e spandere, ma come abbiamo visto nei dettagli in questi ultimi giorni, qualcosa non quadra nelle trimestrali o le aziende si lamentano per nulla o qualcuno sta aggiustando stagionalmente i dati.

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Consumi e investimenti sono fondamentalmente indicatori che in piena recessione vengono sistematicamente rivisti sensibilmente al ribasso nelle revisioni future.

Ciò che conta è che da oltre un mese le richieste dei sussidi di disoccupazione continuano ad aumentare…

US CONTINUED JOBLESS CLAIMS ACTUAL 1.346M (FORECAST 1.31M, PREVIOUS 1.317M) 

Il secondo distretto manifatturiero americano, quella di Philadelphia è in declino…

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… le probabilità di recessione continuano a salire.

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Tornano a scendere le stime per il secondo trimestre.

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Per quanto riguarda l’Europa, ignorate i dati, va tutto bene, la Lagarde ha detto che non c’è alcuna possibilità di recessione.

Gli americani nel frattempo, rispondono alla strage degli innocenti nel Texas, con la proposta di invio di armi ancor più letali, a lungo raggio, in maniera che qualche missile arrivi pure in Russia, giusto per calmare gli animi.

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Per il resto tutto è tranquillo…

Ciò detto, come giusto che sia, i mercati hanno festeggiato, il rimbalzo probabilmente proseguirà ancora un paio di settimane, non importa se i dati sono brutti, ciò che conta è l’econofisica.

Secondo noi, i mercati americani scenderanno pesantemente questa estate, quando la contrazione sarà palese nei numeri.

Io approffitterei di questo rimbalzo!

Tornando a noi, in realtà, molti governatori erano preoccupati che il drenaggio della liquidità possa paralizzare il mercato dei titoli di Stato americani, hanno fatto notare che l’inasprimento della politica monetaria potrebbe interagire con le vulnerabilità legate alla liquidità dei mercati dei titoli del Tesoro e alla capacità di intermediazione del settore privato.

Figurarsi, stampano quando vogliono, ieri l’asta a 5 anni è stata spettacolare!

Fear, paura non c’è altra spiegazione, i governatori sostengono che l’economia americana è molto forte , il mercato del lavoro in salute e il mercato immobiliare solido.

L’aumento dei prezzi non li preoccupa, sebbene siano aumentati troppo rapidamente, loro continuano a vedere un mercato in salute, il che mi preoccupa assai, mai una banca centrale è riuscita a comprendere una bolla immobiliare.

“Le riforme del finanziamento dei mutui varate dopo il 2008 hanno limitato il potenziale di un significativo deterioramento degli standard di sottoscrizione, la maggior parte dei nuovi debiti ipotecari era stata aggiunta da mutuatari con punteggi di credito di prim’ordine e le posizioni azionarie dei proprietari di case erano sane”.

Il messaggio è chiaro, loro vogliono continuare ad aumentare i tassi, il rischio per il mercato immobiliare, è che la prevista vendita di titoli MBS, (titoli garantiti da ipoteca) farebbe aumentare ulteriormente i tassi dei mutui.

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Ieri il pending home sales index, ha ulteriormente confermato le nostre analisi su un crollo imminente del mercato immobiliare.

L’indice Pending Home Sales (PHSI) viene rilasciato dalla National Association of Realtors (l’Associazione nazionale degli agenti immobiliari) e tiene traccia delle vendite di case in cui i contratti preliminari sono già stati firmati, ma la vendita non si è ancora conclusa. Il PHSI viene pubblicato la prima settimana di ogni mese e rappresenta un importante indicatore per determinare l’andamento dell’attività futura di vendita di case esistenti negli Stati Uniti, offrendo informazioni sulla tendenza del mercato immobiliare più valide rispetto a qualsiasi altro indicatore attualmente disponibile.(Borsa Italiana)

Sesto mese consecutivo in calo, 11 mesi su 12 mesi, il peggiore dato da 8 anni a questa parte.

Nessuna novità, se i costo dei mutui raddoppia è ovvio che sempre più persone ci pensano su 2 volte prima di acquistare un immobile con prezzi ai massimi storici assoluti. Gli ultimi dati confermano il crollo del mercato immobiliare in atto, vediamo quanto ci mette il mercato per accorgersene.

Ricordatevi che chi rinuncia all’acquisto di case nuove o esistenti, rinuncia a sua volta a una serie di acquisti, mobili tanto per capirsi e altri settori indotti che a loro volta ne risentiranno.

Prepariamoci ad una nuova ondata deflattiva.

Recessione e nuovo record debito, le previsioni di Mazziero per l’Italia. Occhio a pressioni su Btp e spread

27/05/2022 Italia verso una recessione nella seconda parte dell’anno. Dopo un trimestre di Pil negativo l’economia tricolore potrebbe vederne un altro anch’esso di segno meno, entrando così in quella che viene definita dagli analisti “recessione tecnica” nel secondo semestre. E’ ciò che emerge dalle conclusioni del 46° Osservatorio sui conti italiani di Mazziero Reasearch, che sull’intero anno stima un Pil al 2,2% solo grazie all’effetto trascinamento della crescita del 2021. E così, considerando il continuo aumento del debito, che a marzo ha segnato un nuovo record a 2.755 miliardi, l’obiettivo di riduzione del rapporto debito/Pil da 150,8% al 147,0% potrebbe non essere raggiunto.

Italia, quale evoluzione?
La stima preliminare del Pil del primo trimestre da parte dell’Istat ha confermato le previsioni di Mazziero Research per una crescita negativa, prevista a -0,2%. Per il futuro, le stime vedevano un ulteriore acuirsi del rallentamento con un -0,4%, seguito poi da un +0,3% e, infine, 0,0% nell’ultimo quarto. Il tutto si traduceva in una crescita su base annua del 2,1%, positiva quindi, ma inferiore al 2,3% di crescita acquisita come trascinamento dalla forte crescita del 6,6% dall’anno precedente.

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Tuttavia, secondo Mazziero Research, due fattori rendono meno pessimistica la view e portano a una revisione al rialzo da -0,4% a -0,2% la variazione nel secondo trimestre. Questi due fattori sono: l’evoluzione dei prezzi del gas europeo che sembra essere entrata in una fase di stabilità mantenendosi al di sotto dei 100 €/Mwh, e le misure di contrasto agli aumenti energetici da parte del Governo (defiscalizzazione delle accise sino all’8 luglio), che hanno portato un reale beneficio, limitando in qualche misura i danni subiti da imprese e famiglie.

A questo punto, con un secondo trimestre a -0,2% e senza ulteriori variazioni sui trimestri successivi si avrebbe una crescita annua del 2,2%, inferiore soltanto di un decimo sulla crescita acquisita.

Resta il fatto che, se effettivamente la variazione del Pil fosse negativa come si stima, per due trimestri successivi, l’Italia entrerebbe in recessione tecnica all’inizio della seconda metà dell’anno con possibile peggioramento della dinamica degli interessi sui titoli di Stato, innalzando ancora di più i costi.

Debito verso nuovo record, occhio al movimento del Btp
Da inizio anno i rendimenti dei titoli di Stato sono fortemente cresciuti, confermando una tendenza già in atto dal secondo semestre del 2021; anche lo spread Btp-Bund si è ampliato e naviga intorno ai 200 punti base.

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“Siamo di fronte agli effetti dei minori acquisti da parte della Bce accompagnati dalla prospettiva che i tassi sono destinati a crescere anche nell’Eurozona – sottolineano da Mazziero Research – A questo punto sorvegliato speciale diventa la spesa per interessi che potrebbe aumentare di 5-6 miliardi nell’arco di 12 mesi“.

Inflazione, il calo è solo un’illusione ottica
Nel frattempo, l’ultimo dato sull’inflazione in calo dal 6,5 al 6,0% su base annua rischia di non mostrare la reale dinamica dei prezzi secondo gli esperti di Mazziero Research, visto che l’unica contrazione si è avuta sui carburanti grazie alla defiscalizzazione delle accise disposta dal Governo. Tutti gli altri beni, con particolare riguardo agli alimentari, mantengono inalterata la loro crescita.

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L’unica nota positiva viene dal mercato del lavoro, con 168 mila occupati in più nel 1° trimestre e 829 mila in più rispetto a inizio 2021. La disoccupazione è scesa all’8,3%, un livello che non si vedeva dal 2010, e anche la disoccupazione giovanile al 24,5% si è riportata ai valori del 2009.

Economia, sulla frenata della crescita globale l’inflazione può pesare più della guerra per Federated Hermes

27/05/2022 10:59 di tbm_admin

Potrebbe essere l’inflazione il vero cigno nero di questo 2022, persino più pericoloso per la crescita globale dell’economia rispetto alle tensioni geopolitiche. Ad evidenziarlo nella sua analisi è Silvia Dall’Angelo, …

Costruzione del portafoglio

LGIM: “Prudenza sui mercati, recessione sempre più probabile”

Tim Drayson, Head of Economics di LGIM, cita stagflazione, guerra e caro energia ma mantiene una preferenza per le azioni sul credito, perché favorite storicamente dalle ultime fasi del ciclo economico

 di Virgilio Chelli  27 Maggio 2022 07:55

Lo shock della guerra ha fatto impennare i tassi costringendo la politica monetaria a operare sul confine sottile tra crescita e inflazione. La ripresa dalla pandemia sta proseguendo sostenuta ma inflazione e invasione russa dell’Ucraina portano incertezza e minacciano la crescita. La prima conseguenza negativa è stata l’aumento del prezzo dell’energia e soprattutto del gas, di cui l’Europa ha particolarmente risentito. Un impatto che si ripercuoterà a lungo con la Russia che potrebbe rimanere isolata per anni stravolgendo totalmente le catene di approvvigionamento mentre con la deglobalizzazione che porterà ulteriore pressione inflazionistica.

IL DILEMMA DELLE BANCHE CENTRALI

Tim Drayson, Head of Economics di LGIM, vede una recessione sempre più probabile citando i continui lockdown in Cina e sottolineando che le banche centrali si trovano di fronte al dilemma più complesso dagli i anni Settanta. Gli USA si stavano avvicinando alle ultime fasi del ciclo già prima degli ultimi shock, con la Fed diretta a riportare i tassi a livelli neutrali. L’inflazione dovrebbe rimanere oltre i livelli di guardia per tutto il 2022, anche se sotto i picchi attuali. Secondo LGIM, gli USA non sono particolarmente sensibili a tassi elevati, per cui è sempre più probabile che la Fed dovrà assumere un atteggiamento da falco, per raffreddare un mercato del lavoro surriscaldato e poiché la storia dice che in questi casi è difficile un “atterraggio morbido”.

RECESSIONE IN EUROPA PIÙ VICINA CHE IN USA

Per questo Drayson crede che le possibilità di una recessione nei prossimi 2 anni siano superiori a quelle che si verifichi. In Europa, il rischio recessione nel breve periodo è maggiore ma non ci sarà bisogno di atteggiamenti da falco per far risalire la disoccupazione, dato che le economie europee non sono in regime di pieno impiego come quella americana. Guardando all’Asia, la Banca del Giappone sta mantenendo inalterata la curva dei rendimenti, mentre i policymaker cinesi stanno cercando di bilanciare i sostegni con l’aumento della pressione inflazionistica e l’azzardo morale di salvare un settore immobiliare fortemente indebitato. Un compito reso ancora più difficile dalla risalita di contagi e lockdown, per cui LGIM ritiene che la crescita della Cina sia sempre più a rischio.

SEMPRE MEGLIO LE AZIONI DEL CREDITO

A fronte di questo quadro macroeconomico alquanto complicato, la posizione di LGIM verso i mercati azionari e del credito è diventata sempre più prudente. Ma Drayson sottolinea che bisogna anche considerare che le valutazioni hanno comunque iniziato ad aggiustarsi, con la storia che ci insegna che le ultime fasi di un ciclo economico sono sempre un buon periodo per i rendimenti azionari. Pertanto, conclude l’esperto di LGIM, preferiamo comunque le azioni rispetto al credito.

S&P 500 e lo spauracchio Bear Market: analisi dei precedenti mercati ribassisti e le strategie per affrontare al meglio l’Orso

26/05/2022

La settimana scorsa si è conclusa con uno S&P 500 sull’orlo di un mercato orso, mentre l’indice Nasdaq Composite è entrato in territorio ribassista già lo scorso marzo. I timori relativi alla guerra in Ucraina e all’elevata inflazione stanno pesando non poco sul sentiment di mercato e gli investitori tirano i remi in barca considerando la prospettiva di banche centrali sempre più aggressive nell’alzare i tassi ed economia sempre più sotto pressione. Sia il Dow Jones Industrial che lo S&P 500 hanno chiuso in calo per l’ottava settimana consecutiva, una striscia negativa che non si registrava dal 1932.

Come detto, nella giornata di venerdì 20 maggio lo S&P 500 si è portato in intraday sotto il famigerato livello del 20% dai massimi toccati il 3 gennaio 2022, per poi recuperare in chiusura di seduta. Un tonfo del 20% dall’ultimo picco è la definizione standard di bear market, ma di cosa si tratta e come lo si può affrontare?
Come vediamo in figura, una violazione al ribasso del 3.837 punti rappresenterebbe il livello di ingresso dello S&P 500 in bear market.

Cos’è un bear market

Non esiste una designazione ufficiale del mercato ribassista a Wall Street. Alcuni considereranno il calo del 20,9% ai minimi intraday di venerdì come conferma di un mercato ribassista, mentre altri strategist potrebbero dire che non è ufficiale l’ingresso nel bear market fino a quando l’S&P 500 non chiuderà il 20% sotto il suo massimo.

In Analisi Tecnica una fase di mercato orso consiste in una tendenza ribassista prolungata delle quotazioni del mercato azionario. La fase di mercato orso dura solitamente da qualche mese a qualche anno, durata che impedisce di confondere questa fase con i movimenti al ribasso più limitati nel tempo, come quelli definiti secondari, che possono durare da poche settimane a qualche mese mesi; o terziari che durano da qualche giorno a qualche settimana.

Generalmente un mercato ribassista incomincia quando un indice scende del 20% al di sotto del precedente massimo, mentre termina quando l’indice in questione risale del 20% dal minimo toccato durante il durante il mercato orso.

Una recessione non è la stessa cosa di un mercato ribassista, infatti, per avere una recessione il presupposto è una contrazione dell’economia per due trimestri consecutivi dell’anno. Tuttavia, se da una parte è possibile che un’economia vada in recessione senza che le sue azioni si trovino in una fase ribassista, spesso si verifica una recessione a seguito di un mercato ribassista. Un’altra definizione di mercato ribassista è quando gli investitori sono più avversi al rischio che alla ricerca del rischio e quindi preferiscono strumenti meno speculativi come le obbligazioni.

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La soglia del 20% risulta da una stima “empirica” e quindi non deve essere considerata una certezza, infatti, a livello fondamentale non esiste una spiegazione valida per indentificare questo livello ma è rimasto tale nei decenni. Tuttavia da questo punto di vista molti trader e analisti vedono quella definizione del 20% come una metrica eccessivamente formale se non addirittura obsoleta, sostenendo che le azioni si trovano già in mercato orso da settimane. Infatti, negli ultimi 4 mesi i mercati sono scesi dal 15 al 30% a seconda degli indici e al momento il 61% delle società all’interno dello S&P 500 si trova in mercato ribassista.

Quattro fasi di un bear market

  • La prima fase è caratterizzata da prezzi alti e da un elevato sentiment degli investitori. Verso la fine di questa gli investitori iniziano ad abbandonare i mercati per incassare profitti.
  • Nella seconda fase, i prezzi delle azioni iniziano a scendere in modo brusco, l’attività di trading e i profitti aziendali iniziano a scendere e gli indicatori economici, prima positivi, iniziano a scendere al di sotto della media. Già in questa fase alcuni investitori iniziano a farsi prendere dal panico e iniziano a chiudere le loro posizioni.
  • Nella terza fase incominciano ad entrare sul mercato gli speculatori aumentando di conseguenza la volatilità e i volumi degli scambi.
  • Nella quarta fase, i prezzi delle azioni continuano a scendere, ma in modo più blando. In questa fase i prezzi bassi e buone notizie ricominciano ad attrarre gli investitori e così i mercati da ribassisti iniziano a virare verso un mercato rialzista.

Se da una parte le correzioni secondarie offrono una buona occasione di ingresso per gli investitori value, nei bear market diventa più difficile trovare dei punti di ingresso adeguato, in quanto è quasi impossibile determinare il fondo di un mercato ribassista.

Cosa dice la storia?

La storia mostra che quando l’S&P 500 entra in un mercato ribassista, tende a rimanerci per un po’. Dal 1929, l’indice S&P 500 è entrato in Bear Market 17 volte. Come riportano i dati raccolti dal CFRA Research (riportati in tabella) il periodo più lungo è durato 998 giorni, da settembre 1929 a giugno 1932; mentre il mercato ribassista più lungo in tempi recenti è stato di 929 giorni da marzo 2000 a ottobre 2002.
Di contro il periodo più breve è di soli 33 giorni, ed è stato proprio l’ultimo che si è verificato dal 19 febbraio 2020 al 23 marzo 2020 in scia allo scoppio della pandemia Covid.
In precedenza, l’ultimo mercato ribassista prolungato negli Stati Uniti si è verificato tra il 2007 e il 2009, a seguito della crisi finanziaria e durò circa 17 mesi, con uno S&P 500 che arrivò a perdere anche il 50% del suo valore in quel periodo.

Secondo le statistiche, in media i mercati ribassisti provocano un calo di circa il 38%, anche se dal 1946 la perdita media è stata inferiore al 33% e in media sono . I Bear Market con il passare dei decenni sono anche diventati meno frequenti, infatti, dal 1990 ce ne sono stati solo cinque.

Nella tabella sottostante sono riportati gli ultimi Bear Market dell’ S&P 500, con i relativi crolli e durata.

Il Dow Jones Industrial Average (DJIA), tra il 1900 e il 2018, ha avuto circa 33 mercati ribassisti, con una media di uno ogni tre anni. Anche in questo caso uno dei mercati ribassisti più importanti della storia recente si è configurato con la crisi finanziaria; in quel periodo il Dow Jones crollò del 54% nel periodo compreso tra ottobre 2008 e marzo 2009.

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La storia è importante ma ricordiamo che i movimenti di Borsa non si ripetono mai nelle stesse condizioni. Infatti, il bear market attuale arriva in un periodo in cui gli Stati Uniti, e non solo, stanno affrontando grandi pressioni inflazionistiche, aggravati da un aumento dei prezzi dell’energia spinto in alto dalla guerra in Ucraina-Russia. L’impennata dell’inflazione (+8,3%) sta portando inoltre le banche centrali di tutto il mondo a una stretta monetaria aggressiva, che potrebbe far deragliare la ripresa globale e portare ad una recessione in diversi paesi.

Come si può affrontare questa fase di mercato?

Mai come in queste fasi di mercato diventa essenziale sapere esattamente cosa fare quando i mercati scendono per non lasciarsi travolgere da un’ondata di pessimismo generalizzato. Per riuscire a gestire un crollo è necessario avere una strategia chiara e definita di investimento, oltre che saper controllare le emozioni di stress che inevitabilmente tale situazione genera. In queste situazioni diventa fondamentale ricordarsi che non è possibile in alcun modo ottenere un rendimento se non si accetta la possibilità di esporsi a crolli o a qualche potenziale perdita. Dagli errori si impara e poi ricorda che come disse Nathan Rothschild “Il momento di comprare è quando il sangue scorre nelle strade”.

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In questo contesto può essere importate lo stock picking, infatti, i grandi gestori stanno prediligendo i titoli value a quelli growth, scegliendo aziende con bilanci in crescita negli ultimi 5 anni e stando lontano da quelle fortemente indebitate, favorendo quelle con elevata cassa.

In generale in frangenti di elevata incertezza sui mercati, l’educazione finanziaria e il supporto di un esperto possono fare la differenza, aiutando a gestire l’emotività e non perdere di vista il senso dell’investimento che si è fatto, l’orizzonte temporale e gli obiettivi che si hanno. Da un recente survey di Moneyfarm emerge che l’investitore “Lungimirante”, che è rimasto investito durante il bear market di marzo 2020, è quello che ottime rendimenti maggiori rispetto allo “Speculatore”, che ha provato a “battere il mercato” (ossia anticipare la presunta fase negativa) disinvestendo almeno un terzo del proprio portafoglio tra marzo e giugno 2020 per poi rientrare successivamente sul mercato con un nuovo investimento, e all’investitore “Spaventato”, che ha disinvestito completamente.  Non stupisce che la scelta di uscire dal mercato, durante o subito dopo lo scoppio della pandemia, sia risultata quella peggiore, perché non ha consentito agli Spaventati di beneficiare del recupero dei mesi successivi, un recupero la cui portata era decisamente difficile prevedere.

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Wall Street in solido rialzo post Fed e Pil Usa. Focus su M&A Broadcom-VMware, tonfo Snowflake (-10%)

26/05/2022

Wall Street in rialzo, all’indomani della pubblicazione delle minute della Fed e dopo i dati macro relativi al Pil Usa e alle richieste iniziali dei sussidi di disoccupazione.
I tassi sui Treasuries Usa a 10 anni continuano a perdere terreno, scendendo al 2,378%.

Il Dow Jones è in progresso di 395 punti (+1,23%), a 32.515; lo S&P 500 sale dell’1,24% a 4.027 circa, il Nasdaq fa +1,28% a 11.575.

Sotto i riflettori l’M&A nel mondo tecnologico americano, con l’operazione Broadcom-VMware. Dopo le recenti indiscrezioni è arrivata l’ufficializzazione che Broadcom rileverà VMware (società di cloud computing) per una cifra pari a circa 61 miliardi di dollari in una operazione in contanti e azioni. Inoltre, Broadcom si farà carico di 8 miliardi di dollari di debito netto di VMware. Il closing dell’operazione è previsto entro l’esercizio fiscale 2023 di Broadcom.

Tra gli altri titoli protagonisti, il titolo Nvidia, che azzera comunque le perdite dopo aver perso in premercato fin oltre -5% dopo che il produttore di chip ha annunciato un outlook più debole delle attese.

Crolla Snowflake, con il titolo che soffre un tonfo del 10% dopo che, anche in questo caso, la guidance del gruppo, in particolare sul margine operativo, si è confermata peggiore delle attese.

Dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti, resa nota la prima revisione del dato relativo al Pil del primo trimestre, che ha messo in evidenza una contrazione dell’economia pari a -1,5%, peggiore del -1,4% inizialmente riportato con la pubblicazione dei numeri preliminari e, anche, del -1,3% previsto. Il ribasso, che già dalla prima lettura ha fatto emergere il timore sull’arrivo di una recessione negli Stati Uniti, segue la crescita del quarto trimestre, al ritmo annualizzato del 6,9%.

Rivista al rialzo la componente delle spese per consumi, che sono salite del 3,1%, rispetto al +2,7% inizialmente reso noto. L’inflazione misurata dal PCE core è salita del +5,1% rispetto al +5,2% atteso, mentre l’inflazione headline è avanzata al ritmo annuo dell’8,1%, più del +8% previsto.

Indicazioni sono arrivate anche dal mercato del lavoro: nella settimana terminata il 21 maggio, il numero dei lavoratori americani che hanno fatto richiesta per la prima volta per ottenere i sussidi di disoccupazione è sceso di 8.000 unità, a quota 210.000.

Il dato è stato migliore delle stime, con gli analisti che avevano previsto un ribasso dalle 218.000 unità della settimana precedente a 215.000 unità. La media mobile delle 4 settimane è salita a 206.750, rispetto alle 199.500 unità precedenti.

Occhio alla pubblicazione, avvenuta nella serata di ieri, delle minute della Fed relative all’ultima riunione di inizi maggio quando, per la prima volta in 20 anni, la banca centrale Usa ha alzato i tassi di 50 punti base, nel range compreso tra lo 0,75% e l’1%. Dai verbali è emerso che “la maggior parte dei partecipanti ha rilevato che ulteriori rialzi dei tassi di 50 punti base sarebbero appropriati nei prossimi due meeting”.

Le minute sottolineano anche che “un orientamento restrittivo della politica monetaria potrebbe essere appropriato, a seconda dell’evoluzione dell’outlook economico e dei rischi sull’outlook stesso”.

La Fed ha indicato dunque che ulteriori strette di 50 punti base potrebbero rendersi necessarie, anche oltre quelle previste per i prossimi due meeting del Fomc, per frenare l’accelerazione dell’inflazione.

Ieri, dopo la pubblicazione delle minute, lo S&P 500 ha chiuso in rialzo dello 0,95% a 3.978,73 punti, il Dow Jones Industrial Average è salito di 191,66 punti, o +0,6%, a 32.120,28, mentre il Nasdaq Composite è balzato dell’1,51% a 11.434,74 punti.

Dopo settimane consecutive di ribassi Wall Street è orientata a chiudere una settimana in rialzo. Il Dow Jones e lo S&P 500 sono in rialzo su base settimanale rispettivamente del 2,75% e del 2%, mentre il Nasdaq si appresta a chiudere la settimana in progresso dello 0,7%.

Se vuoi aggiornamenti su Wall Str

ECONOMIA DI CARENZE: effetti da non sottovalutare

Scritto il 26 Maggio 2022 alle 07:29 da Danilo DT

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Ormai il tormentone si concentra su due aspetti: recessione (che può anche diventare nel worst case stagflazione) e iperinflazione.

Nei giorni passati ho provato ad illustrare vari scenari e varie criticità del mercato. La cosa che più mi preoccupa è che, purtroppo, gli eventi geopolitici hanno e avranno un impatto sul futuro economico e finanziario veramente determinante.

Se ragionate un attimo, c’è un filo logico che accomuna tutto. A livello puramente teorico, più inflazione dovrebbe essere associata a crescita economica, la quale ha portato le materie prime ad aumentare considerevolmente. Se quindi ci si ritrova con uno scenario di rallentamento economico, sarebbe logico ritrovarsi anche con un raffreddamento dell’inflazione e del costo delle materie prime. Ma purtroppo, al momento, non funziona così.

GEOPOLITICA determinante, nel male e…nel male

L’invasione dell’Ucraina da parte della è la principale causa dei rincari alimentari registrati quest’anno su scala mondiale. Prima della guerra, la Russia e l’Ucraina contribuivano per quasi il 30% alla produzione mondiale di grano. Secondo le stime delle Nazioni Unite, almeno il 20% dei terreni coltivabili dell’Ucraina non è più utilizzabile per scopi agricoli. Inoltre, il blocco dei porti ha fatto perdere all’Ucraina più del 60% delle esportazioni di grano rispetto a un anno fa.

Per non parlare di tutto quanto è fermo nei porti.

In prospettiva, la produzione di grano sembra ulteriormente compromessa dai rincari dei fertilizzanti il cui ruolo è fondamentale per accrescere la resa delle coltivazioni. I costi di produzione dei fertilizzanti stanno salendo anche per il rialzo dei prezzi del gas naturale che hanno subito un’impennata dopo le sanzioni comminate alla Russia. Questo, a sua volta, fa aumentare i costi legati alla semina e potrebbe alla fine spingere ancora più al rialzo i prezzi dei generi alimentari, evenienza che crea particolari difficoltà ai Paesi Emergenti dove le famiglie sono estremamente sensibili a questo tipo di rincaro.

Questa breve analisi, che qui vi ho sintetizzato prendendo alcuni dati da un report di JP Morgan, riassume in modo ideale il quadro della situazione e ci fa capire una cosa importante. Non è questione di domanda, ma di carenza di offerta, oltre che di speculazione che ne deriva.
Quindi sperare che l’inflazione tenda a scendere e a stabilizzarsi su livelli più bassi diventa veramente complicato. E lo si vede bene da questo grafico.

MATERIE PRIME: non facciamo di tutta l’erba un fascio

Si mettono qui sopra a confronto due sub indici delle materie prime. In azzurro i metalli industriali che rispecchiano fedelmente le logiche prima descritte. Rallentamento economico e rallentamento del costo delle commodity. Ma quello rosso…rompe tutti gli schemi. E la geopolitica, giustifica la divergenza.

Problema di offerta. Viviamo un momento e prospetticamente un periodo di scarsità, dove la disponibilità di beni è più ridotta e possiamo beneficiare meno dell’efficienza nella produzione. Questo lo possiamo controllare? In questo momento no. E diventa per certi versi demotivante il dover pensare che, purtroppo, si è molto legati alla geopolitica e che quindi dobbiamo sperare che quanto prima, si arrivi ad una soluzione tra Russia e Ucraina. Ma con una criticità in più. La carenza che comunque ci sarà anche dopo (quantomeno per la prossima stagione), avrà impatti anche sul futuro.
E se si va in recessione, purtroppo, tutto quanto esposto sopra non può che aumentare il rischio stagflazione, quantomeno in Europa.  E inoltre, come si può pensare ad un tasso inflazione che vada a scendere in modo determinante?

Per chi non se la ricordasse, la STAGFLAZIONE è l’aumento del prezzo delle materie prime che, ovviamente, fa aumentare il prezzo dei prodotti finiti, ma contemporaneamente si decurtano gli utili delle imprese. Quindi c’è meno denaro per gli investimenti, e meno denaro per i consumi.  Nella storia, per chi è più avanti negli anni, stagflazione la possiamo associare agli anni 70, dopo la guerra dello Yom Kippur tra Israele e i Paesi arabi, quando i Paesi arabi associati all’Opec decisero un embargo nei confronti dei paesi maggiormente filoisraeliani, tra cui l’Italia. Andavamo tutti in bicicletta in quegli anni, e la benzina era razionata.

Un deja vu? Speriamo di no. Diciamo che volevo solo rendere l’idea.

WALLSTREET ALLUNGA: BIDEN PENSA DI ABOLIRE ALCUNI DAZI CONTRO LA CINA

23/05/2022 18:10 WS

La borsa degli Stati Uniti allunga in rialzo e si allontana dai minimi dell’anno toccati venerdì scorso, Dow Jones (DJ30) +2%, indice S&P500 (SP500) +1,8%, Nasdaq  (NASDAQ) +1,6%.

Il presidente americano, Joe Biden, ha affermato che sta “considerando” l’abolizione di alcuni dazi commerciali sulla Cina, sottolineando che non sono state imposte dalla sua amministrazione. “Non abbiamo imposto nessuna di queste tariffe”, ha risposto nella conferenza stampa congiunta a Tokyo con il premier nipponico Fumio Kishida, sulla possibilità di revocare le misure per raffreddare la dinamica al rialzo dell’inflazione. “La loro revoca è una misura in esame”, ha aggiunto. 

Sul fronte macro, in aumento, ma sotto le attese, l’indice della Fed di Chicago di aprile.

Ucraina. È arrivata la prima defezione di livello nella diplomazia russa, in polemica con l’invasione dell’Ucraina: il consigliere presso la missione russa alle Nazioni Unite a Ginevra, Boris Bondarev, ha lasciato il suo incarico e la diplomazia, criticando le azioni di Mosca in Ucraina. Lo ha reso noto su Twitter l’avvocato internazionale Hillel Neuer. “Non mi sono mai vergognato così tanto del mio Paese come il 24 febbraio scorso”, ha spiegato Bondarev, in una dichiarazione che sta circolando anche tra i diplomatici stranieri a Ginevra. Il consigliere d’ambasciata – in diplomazia dal 2002 e nella missione in Svizzera dal 2019 – ha definito le azioni del Cremlino “un crimine contro il popolo ucraino e forse il più grave mai commesso verso quello russo”. Ha poi definito il ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, “un eccellente esempio del degrado del sistema” e ha inviato altri diplomatici russi alle Nazioni Unite e in tutto il mondo a dimettersi.

Mercati appesi anche alla politica in Usa e Cina, ecco cosa può succedere

In autunno si misurerà la distanza tra Biden e gli americani e la solidità di Xi Jinping. Ci vorranno un paio d’anni per consolidare un nuovo ordine globale, non è il momento di rincorrere i top e i bottom di mercato

 di Stefano Caratelli  23 Maggio 2022 08:01
financialounge -  Bulletin cina mercati Russia ucraina Wall Strett

Rapido flashback. Gennaio 2017, Trump ha appena vinto e Xi Jinping è accolto a Davos come il garante del libero scambio e del mercato contro il protezionismo del nuovo Presidente USA. Dopo quattro anni di guerra dei dazi, il nuovo inquilino della Casa Bianca Biden non cambia registro, anzi salgono le tensioni tra le due superpotenze sul terreno del primato tecnologico e delle pretese di Pechino su Taiwan. Xi si concentra sulla politica interna, si mette di traverso ai colossi cinesi di Internet ma intanto gli esplodono le bolle immobiliari. Poi arriva il Covid, la Cina torna un esempio globale per come riesce a contrastarlo e a ripartire prima e meglio di tutti. Inizio febbraio 2022, Xi accoglie Putin a Pechino come il partner di un’alleanza ‘senza limiti’, lo zar russo si sente le spalle coperte e qualche settimana dopo invade l’Ucraina, intanto il virus rispunta in Cina costringendo a nuovi lockdown costosissimi per l’economia. A Putin la guerra lampo non riesce e anzi ricompatta l’Occidente che sanziona i russi e rifornisce senza limiti di armi e dollari l’Ucraina, mentre da Pechino arriva solo un debole supporto vocale a Mosca.

UN DOPPIO APPUNTAMENTO

La costruzione del nuovo ordine mondiale procede per assestamenti tettonici e si avvicina a un doppio appuntamento quasi in contemporanea: le elezioni di midterm a inizio novembre in USA e il Congresso di partito in Cina che dovrebbe tenersi per ottobre. Il gradimento degli americani per Biden è ai minimi, il 20 maggio le rilevazioni Rasmussen lo davano 10 punti sotto Trump 4 anni prima, con il tasso di approvazione al record negativo di -30. A novembre si vota per il Congresso e non per la presidenza, che probabilmente nel 2024 non sarà un match Biden-Trump. I Repubblicani potrebbero riprendersi la Camera e potrebbero emergere nuove leadership in entrambi i partiti. Elon Musk annusa il vento e da quasi padrone di Twitter cambia campo e passa dai Dem ai Rep mentre anche il patron di Amazon Bezos si occupa sempre più di politica. Biden continua a essere la faccia dei Dem ma è un’identificazione che non fa bene al partito, mentre anche su Trump, oltre all’età, pesa l’onta indelebile dell’assalto a Capitol Hill.

BIDEN SEMPRE PIÙ LONTANO DAGLI AMERICANI

L’INCUBO DI XI JINPING

Anche la strada di Xi Jinping forse è meno in discesa di qualche mese fa. A Shanghai in autunno deve presentarsi ai 2.300 delegati e soprattutto ai 7 membri del Politburo, con in tasca la vittoria finale sul Covid, che giustificherebbe i danni inflitti dai lockdown, a partire dalla città portuale simbolo della potenza economica cinese. Se non gli riesce, il Covid si aggiungerebbe a una lista non esaltante: lotta alla corruzione non conclusa, guerra alla povertà non ancora vinta, economia in frenata, e ora un rischioso supporto a Putin, anche se sempre meno dichiarato. L’incubo di Xi è il Congresso del Pcus del 1956, dove Krusciov a sorpresa denunciò le malefatte e il culto della personalità di Stalin morto tre anni prima, dividendo il partito e segnando secondo lo stesso Xi l’inizio della fine dell’Unione Sovietica.


INTERROGATIVI SUL DESTINO DELLA RUSSIA

In mezzo alla partita per disegnare il nuovo ordine globale stanno l’Europa e la Russia, unite fino a non molto fa dall’attrazione esercitata dalla Cina, ad esempio con la Via della Seta di cui nessuno parla più, e ora brutalmente separate dall’aggressione di Putin all’Ucraina. All’Europa una maggiore coesione e integrazione con il partner nordamericano può fare solo bene, in termini di sicurezza, crescita economica e progresso sociale. E forse anche ricucire in qualche modo, di fatto se non di diritto, lo strappo della Brexit. Sul destino della Russia c’è una cortina di incertezza imperscrutabile. Una nuova Jugoslavia 30 anni dopo? Un nuovo arroccamento con un Muro spostato da Berlino al Don? Uno sterminato serbatoio di energia e materie prime etero-diretto da Pechino per supportare la crescita cinese?


BOTTOM LINE

Media e analisti si interrogano sul possibile punto di caduta da cui Wall Street possa ripartire. Il mercato non ha ancora gli elementi per prendere le misure al nuovo ordine globale che potrebbe prendere forma tra un paio d’anni al termine di un percorso che a novembre segna una doppia tappa importante. In mezzo al guado da traversare ci sono l’inflazione, la guerra, le banche centrali e i loro possibili errori. Se dal Congresso di Shanghai e dalle elezioni USA usciranno segnali importanti, sicuramente saranno valutati e prezzati. Per l’investitore, l’unica strada è restare fedele alla strategia e non rincorrere ‘top’ e ‘bottom’ temporanei.

Fed could cut rates in 2023, 2024 once inflation under control -Bullard

By Reuters Staff

1 MIN READ

May 20 (Reuters) – St. Louis Federal Reserve Bank President James Bullard on Friday reiterated his view that the U.S. central bank ought to raise interest rates to 3.5% this year to get high inflation more quickly under control.

“The more we can frontload and the more we can get inflation and inflation expectations under control the better off we will be,” Bullard said in an interview with Fox Business Network. “And in the out years, ‘23 and ‘24, we could be lowering the policy rate because we’ve got inflation under control.” (Reporting by Ann Saphir Editing by Chris Reese)

Tassi BTP e spread alle prese con cocktail tossico Bce-timori economia. Draghi metta a tacere i pro-deficit

17/05/2022 14:00 di Laura Naka Antonelli

Inflazione, paura per una Bce più hawkish e timori recessione: un mix perfetto per i BTP italiani, che ieri hanno pagato il clima di avversione al rischio, finendo per essere penalizzati di nuovo dai sell. Gli smobilizzi hanno riportato i tassi sui BTP decennali a riagguantare e superare la soglia del 2,90% dopo che, la scorsa settimana, erano schizzati al di sopra della soglia del 3%, portando lo spread BTP-Bund ad allargarsi fin oltre quota 200.

Il boom dei tassi è poi rientrato, di pari passo con lo smorzarsi delle tensioni sui Treausuries Usa che, dopo essere volati a un passo dalla soglia del 3,2%, al record dalla fine del 2018, hanno imboccato il trend ribassista, scendendo anch’essi sotto la soglia del 3% (al momento in rialzo la 2,92%).

Oggi lo spread viaggia attorno a 187, con i tassi decennali che scendono fino al 2,85%:

Non che la sfiammata dei rendimenti sia stata accolta dai mercti con entusiasmo: tutt’altro, visto che l’interpretazione data al loro dietrofront è stata quella di una ulteriore conferma del rischio recessione, negli Usa e nel mondo.

Detto questo, l’alert tassi scattato la scorsa settimana è stato tale che qualcuno ha lanciato l’allarme su una crisi euro 2.0, dopo quella dei debiti sovrani dell’area euro di un decennio fa.

Le dichiarazioni più da falco della Bce non sono state certo di aiuto: Francois Villeroy de Galhau,esponente del Consiglio direttivo della Bce guidata da Christine Lagarde – che ha affrontato anche lei il tema tassi pochi giorni fa– ha lanciato un avvertimento ai suoi colleghi dell’Eurotower, invitandoli a monitorare in modo attento l’euro,  a causa dell’impatto che la moneta unica potrebbe avere sull’indice dei prezzi al consumo dell’area euro, continuando a perdere terreno, in un contesto in cui l’inflazione si è già infiammata: infiammata al punto che la Commissione europea è stata costretta ad annunciare ieri, a fronte del forte downgrade dell’outlook sul Pil dell’Eurozona (occhio a nuove stime Pil Italia), ad alzare in modo significativo le previsioni sull’inflazione.

A seguito delle dichiarazioni di Villeroy, governatore della banca centrale di Francia, i trader hanno confermato le loro scommesse su un rialzo dei tassi nell’area euro di 25 punti base a luglio, e di altre due strette monetarie entro la fine dell’anno.

La Bce, a loro avviso, sarebbe dunque già pronta a ritirare tutti i suoi bazooka monetari e a lanciarsi nel percorso di normalizzazione dei tassi, portando quelli di deposito anche al di sopra dello zero.

Se i BTP tremano è soprattutto per la fine del programma di acquisti di asset (APP), che finora hanno fatto da stampella alla carta italiana.

Come scrivono gli economisti di ING nel commento “A toxic cocktail for Italian bonds”, ovvero “Un cocktail tossico per i bond italiani”, in generale i “bond stanno attraversando un percorso difficile, quest’anno”.

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Nel caso specifico “dei debiti sovrani italiani – spiegano da ING – la volatilità è stata rafforzata dall’influenza sproporzionata che gli acquisti della Bce hanno avuto nel determinare i prezzi del mercato”.

In poche parole, non è stato certo il mercato a fare i prezzi dei BTP, ma la Bce.

“Questi acquisti sono destinati a terminare entro l’inizio di luglio e sono già scesi in modo significativo. Di fronte a questa nuova realtà che è stata ampiamente riconosciuta, visto che ai mercati è stato dato del tempo per affrontare un mondo caratterizzato da una politica monetaria più restrittiva, i bond italiani sono fuori pericolo?” si sono chiesti Paolo Pizzoli, Antoine Bouvet e Francesco Pesole, rispettivamente Senior Economist di Italia e Grecia, senior strategist sui tassi e strategist sul forex

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Ovvero: il peggio, ovvero l’addio alla stampella del QE tradizionale della Bce, è stato già scontato?

LEGGI ANCHE Btp? Mattone? No grazie. Italiani ora sono più propensi a investire nei prodotti del risparmio gestito

BTP, ING: problema è medio termine con elezioni 2023

Il quadro è in realtà meno drammatico rispetto a quello che i violenti rialzi dei tassi sui BTP hanno lasciato paventare.

Intanto, “nel breve termine, non ci sono preoccupazioni sulla sostenibilità del debito” italiano, sottolineano da ING.

Certo l’Italia, “oppressa dal problema annoso del debito pubblico elevato, rimane vulnerabile agli aumenti dei tassi di interesse, ormai inevitabili a causa dell’ aumento dell’inflazione. E quando questi si materializzeranno, come sta avvenendo ora, il problema della sostenibilità del debito riemergerà”.

ING intravede tuttavia ragioni per non preoccuparsi per il trend dei tassi dei BTP e dunque dello spread BTP-Bund nel breve termine. Piuttosto, il problema è per il “medio termine”, in particolare  per le elezioni politiche italiane in calendario nella primavera del 2023, che alimenteranno l’incertezza”.

BTP, maturity e Draghi stampelle al posto di Bce?

“Ci sono certo interrogativi su cosa farà la Bce con il portafoglio di BTP accumulato con il suo Quantitative easing“,  si legge nel commento, ma gli strategist della banca olandese ritengono che, “nel breve termine, i rischi legati alla sostenibilità del debito” rimangano “contenuti, e per due ragioni. La prima si riferisce alla struttura della maturity che, in media, è lievemente superiore ai 7 anni”.

“Questo significa che la trasmissione di tassi di interesse più elevati all’intero stock di debito pubblico italiano richiede tempo”. Per fare un esempio, “un aumento sostenuto della curva, pari a 100 punti base, dovrebbe far salire di 3 miliardi di euro le spese per interessi (dello stato italiano) il primo anno, e di poco meno di 6 miliardi di euro nel secondo anno”. E questi, rimarcano da ING, sono “ammontari gestibili, in un contesto di non emergenza”.

La “seconda ragione è l’atteggiamento prudente che il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco stanno adottando riguardo alla gestione dei conti pubblici. Entrambi – viene spiegato – appaiono ben consapevoli che, in un contesto di normalizzazione, l’Italia si muove un sentiero stretto per quanto riguarda le sue finanze pubbliche, e (proprio per questo) sono riusciti a resistere finora alle pressioni di alcuni partiti della coalizione di governo favorevoli all’aumento del deficit a livelli che deviano dai target: ciò è avvenuto anche a fronte dei recenti eventi drammatici (guerra Russia-Ucraina)”.

Al riguardo,  è stato ricordato, “l’ultimo decreto, che ha prolungato le misure per aiutare aziende e famiglie a fronteggiare la tempesta dei prezzi energetici, è un esempio, visto che è stato deciso che le spese extra saranno finanziate da un aumento delle tasse sui produttori di energia”.

In questa situazione, ING ritiene che Draghi farà il massimo per non arrendersi, ben consapevole del fatto che, se la Commissione Ue dovesse prorogare la sospensione delle regole del Patto di stabilità e crescita al 2023, gli spiriti di chi propone di fare più deficit nel governo tornerebbero a scattare, soprattutto nell’anno pre-elettorale (dove, di fatto, si sta facendo già campagna elettorale)“.

Questi ragionamenti non rinnegano tuttavia un fatto: la Bce non è più il compratore di ultima istanza del debito pubblico italiano tanto che, secondo ING, chi parlava di Bce put, alla fine non era tanto lontano dal descrivere la realtà dei fatti:

“Gli acquisti della Bce sono stati uno strumento per rimuovere il rischio di coda di investire nei bond italiani. Il risultato è che (i BTP) sono stati percepiti alla stregua di asset meno rischiosi, e gli investitori si sono sentiti giustificati a inseguire rendimenti più bassi”.

Per questo già ci sono indiscrezioni sul lancio di un ipotetico strumento, da parte della Bce, volto a “prevenire la frammentazione (espressione che la Bce sfodera in riferimento all’allargamento degli spread”.

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ING spiega che la strategia (di Lagarde & Co) sembra quell di voler deliberatamente dare il numero più basso di informazioni possibile agli investitori”. Ma certo, “se la strategia vuole evitare che i mercati finiscano per testare (e dunque dare importanza a) livelli specifici di spread o di tassi, sicuramente ha i suoi meriti, ma per noi comunque fallirà. Una strategia del genere ammetterebbe infatti che i bond italiani non possono essere oggetto di trading in assenza di un sostegno della banca centrale”.

Spread BTP-Bund fino a quota 250? Nuovo assist Bce?

Senza un intervento della Bce, tuttavia, l’allargamento degli spread andrebbe avanti.

Dunque? ING precisa che “non abbiamo timori di carattere fondamentale sull’Italia. La sostenibilità del debito non è ancora fonte di preoccupazione, e i passi preliminari per sistemare l’architettura fiscale dell’Eurozona sono stati fatti con il piano di ripresa NextGeneration EU, che si concentra in modo più costruttivo sugli investimenti pubblici”.

Detto questo, “per ora, l’attuale contesto di mercato caratterizzato dal peggioramento dell’appetito per il rischio e da condizioni monetarie più restrittive è tossico per i bond sovrani, Italia inclusa”.

Di conseguenza, “ci aspettiamo che i mercati sfideranno la Bce nel breve termine, portando lo spread BTP-Bund fino a 250 punti base. Nel lungo termine, grazie a un sosptegno più concreto della Bce, e a fronte dello smorzarsi della volatilità, ci aspettiamo che gli investitori guardino all’Italia, come emittente di debito, in modo più sereno”.

E tuttavia, visto che “l’inflazione europea toccherà il picco solo alla fine di quest’anno, il  trend incerto dei bond europei dovrebbe proseguire ancora per qualche mese”, ha commentato in un’intervista rilasciata a Bloomberg Antoine Bouvet, strategist senior sui tassi di ING.

Esodo dall’azionario globale da $11 trilioni. Ma Vix & Co prevedono che zampata orso sarà qui per un po’. Le nicchie di valore

16/05/2022 11:33 di Laura Naka Antonelli

Un esodo che ha affossato l’azionario globale bruciando 11 trilioni di dollari: e il guio è che potrebbe non essere ancora finito, così come paventano analisti dai nomi altisonanti, come Michael Wilson di Morgan Stanley e Robert Buckland di Citigroup, che prevedono ulteriori ribassi per le azioni.

Colpa dei timori provocati dall’inflazione elevata, dalle banche centrali hawkish e dal rallentamento della crescita economica: timori che sono forti soprattutto negli Stati Uniti dove, accanto alla parola ‘inflazione’, sempre più spesso compare anche quella di recessione‘.

In un contesto di incognite legate soprattutto alla guerra tra l’Ucraina e la Russia, gli investitori continuano a scaricare le azioni, asset tra quelli più a rischio; in particolare, azioni growth, titoli dunque tecnologici.

Le vendite scatenate hanno affossato le quotazioni di titoli azionari americani ed europei ma, per l’appunto, il fondo secondo alcuni parametri non sarebbe stato ancora toccato.

Lo S&P 500, per esempio, viaggia a un valore ancora superiore del 14% rispetto alla media mobile in 200 settimane, livello che è stato in precedenza considerato fondo in tutte le principali fasi di mercato orso, a eccezione del caso dello scoppio della bolla dot-com e durante la crisi finanziaria globale, come emerge da un articolo di Bloomberg.

Questo significa che l’indice benchmark S&P 500 avrebbe un ulteriore margine di manovra al ribasso pari a -14% .

Lo smobilizzo scatenato su alcuni titoli, inoltre, non è stato ancora storico, visto che il numero di titoli di società scivolati finora al minimo in un anno, indica ancora Bloomberg, è decisamente più basso rispetto alla carrellata dei minimi delle ultime 52 settimane che vennero testati nel 2018, altro periodo in cui protagonisti furono i timori per l’economia.

“Gli investitori continuano a ridurre le loro posizioni, soprattutto quelle accumulate nei titoli tecnologici e growth – ha commentato Andreas Lipkow, strategist di Comdirect Bank – Ma è necessario che il sentiment si deteriori in modo ancor più significativo per creare un potenziale margine (di rialzi)”.

D’accordo Valerie Gastaldy, analista tecnica di Day By Day SAS che, nonostante la forte emorragia dai titoli FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google), ritiene che il settore tecnologico in generale possa perdere un altro -10% prima di toccare il fondo.

Dall’altro lato, alcuni ritengono che l’emorragia abbia creato già alcune nicchie di valore in settori che includono le materie prime e anche i titoli tecnologici, il cui valore dipende dalla crescita futura degli utili e che, proprio per questo, tendono a essere evitati in periodi di tassi di interesse più alti.

Un altro articolo di Reuters fa notare la sorprendente assenza di panico nella borsa Usa che emerge dal trend dell’indice della paura – Cboe Volatility Index (Vix) – di Wall Street.

Dal 1990, l’indice Vix ha oscillato a una media di 37 punti durante le fasi in cui l’azionario ha toccato il fondo, rispetto al livello più recente, che rimane più basso, attorno ai 32 punti.

“Il sentiment è negativo, ma non cè una vera e propria paura, non c’è la sensazione di panico – ha commentato in modo netto Kris Sidial, co-fondatore del fondo di arbitraggio sulla volatilità The Ambrus Group – Una cosa a cui non stiamo assistendo è la capitolazione”.

Su questo commento è indubbio che molti avrebbero da ridire. Ma l’articolo di Reuters indica che l’assenza di panico presunta, con il Vix che non è ancora scattato molto oltre quota 30, potrebbe essere letta in modo negativo nonostante si presenti come notizia positiva, in quanto segnale secondo cui i sell off sulle azioni non si sarebbero ancora conclusi.

Magari in alcuni casi sì, aggiunge tuttavia Peter Oppenheimer di Goldman Sachs, tra gli strategist di più alto profilo che hanno consigliato il Buy the Dip, mentre Thomas Hayes, presidente di Great Hill Capital, ha riferito che le azioni “tecnologiche della vecchia scuola”, inclusi i titoli come Intel Corp E Cisco Systems, al momento vengono scambiati a multipli attraenti.

Inoltre il Nasdaq 100 dei titoli hi-tech è scambiato a un valore pari a 20 volte circa gli utili attesi, al minimo dall’aprile del 2020.

Ma di nuovo, altri esperti di mercato ritengono che l’indice continuerà a essere sotto pressione, a causa delle mosse più aggressive sui tassi da parte della Fed.

Così, in un commento di qualche giorno fa Filippo Diodovish, market strategist di IG:

“Il forte aumento nelle quotazioni dei titoli tecnologici durante la pandemia è stato dettato dalle aspettative di una forte e rapida ripresa a V dopo il calo della domanda dovuto ai lockdown. Le azioni tecnologiche sono state privilegiate dagli investitori grazie all’aumento dei ricavi dovuti all’incrementata affluenza online dei consumatori e alle prospettive molto positive sugli utili futuri. Si pensi – per esempio – alla sola crescita generata dai servizi legati al cloud causata dal passaggio dal lavoro in presenza a quello da remoto. Ora, a due anni dall’inizio della pandemia, le aziende tecnologiche stanno invece scontando un quadro macroeconomico completamente differente. Le restrizioni sui movimenti non sono più in vigore (nella maggior parte del mondo) e si è passati da uno scenario deflazionistico ad uno fortemente inflazionistico. A complicare ancora di più la situazione, ci sono le incognite dovute all’offensiva di Putin in Ucraina e a tutto ciò che vi è collegato, dal rincaro delle materie prime, alle sanzioni economiche, ai ritardi nelle forniture. La tendenza negativa del NASDAQ è però iniziata a gennaio con la preoccupazione sull’indice dei prezzi al consumo (CPI) a cui si è ora sommata l’instabilità geopolitica. La somma di questi fattori sta causando la forte discesa delle quotazioni nonostante i risultati trimestrali tutt’altro che negativi. Le nostre previsioni economiche sono pessimiste, almeno per il medio-breve periodo. Infatti, la guerra in Ucraina non dà segnali di conclusione, i colloqui di pace sono ad un punto morto e l’Europa non riesce a costruire un fronte compatto per diversificare le possibili carenze negli approvvigionamenti di gas e petrolio. Inoltre, lo spettro di nuove chiusure in Cina – recentemente irrigidite – e le pressioni inflazionistiche ai record storici generano un outlook negativo sull’andamento generale del quadro macroeconomico. Molto probabilmente, le azioni delle Big Tech sconteranno ancora per molti mesi le incertezze sulle possibili reazioni della FED e sulle esternalità causate dal quadro geopolitico incerto”.

Un articolo di Bloomberg segnala inoltre il commento di Dennis Gartman, secondo cui Wall Street finirà per scivolare in un mercato orso, o rimanerci, fino a quando un evento “violento e ribassista” non indicherà che i prezzi avranno toccato il fondo. “Un giorno assisteremo a un tonfo del 5-6% e sarà quella la pressione ribssista finale”, ha detto Gartman, presidente dell’Akron Endowment, in un intervento rilasciato a Bloomberg Radio – Sarà quella la fine del mercato orso, e chi avrà perso di meno sarà il vincitore”.

L’indice Nasdaq Composite Index é già in mercato orso, avendo perso il 27% circa dal novembre del 2021. Lo S&P 500, che ha flirtato con il bear market, già sceso in precedenza nella fase del mercato orso, ovvero del 20% circa dal suo precedente record, ha recuperato invece terreno ed è in calo ora del 16,50% circa, dopo aver schivato di nuovo, venerdì scorso, l’ennesima zampata dell’orso.

Gli indicatori di stress indicano tuttavia che la situazione, sui mercati azionari Usa, è ancora lontana dal peggio che si è visto durante fasi comparabili di sell off; per esempio, la percentuale di titoli quotati sullo S&P 500 che hanno testato il valore più basso in un anno è inferiore al 30%, rispetto a quasi il 50% durante la crisi del 2018 e all’82% della crisi finanziaria globale del 2008. .

L’ex ceo di Goldman invita a prepararsi al peggio per economia USA. Fed inerme troppo a lungo? Facile con il senno di poi

16/05/2022 10:05 di Titta Ferraro

Per l’ex ceo di Goldman Sachs, Lloyd Blankfein, la recessione è “un rischio molto, molto alto”. A pochi giorni di distanza dalle parole di Jerome Powell circa la possibilità di un atterraggio ‘duro’ per l’economia statunitense, risuonano oltreoceano nuovi alert sulle prospettive economiche nei prossimi trimestri che vedranno la Fed spingere in maniera aggressiva nella politica di rialzo dei tassi per contrastare l’inflazione.

Lloyd Blankfein invita aziende e consumatori a stare pronti al peggio. Parlando a “Face the Nation” della CBS, il banchiere ha detto che coloro che gestiscono grandi aziende dovrebbero essere “preparati per questo”, insieme ai consumatori. Potrebbe esserci potenzialmente un “percorso molto stretto” per evitare la recessione con la Federal Reserve che ha “strumenti molto potenti”. L’attuale presidente senior di Goldman Sachs ritiene che la Fed non ha altra scelta che continuare ad alzare i tassi di interesse per rallentare la domanda dei consumatori. Pur notando che alcuni fattori inflazionistici – come la guerra in Ucraina e gli scricchiolii della catena di approvvigionamento – sono transitori e a un certo punto scompariranno, fino ad allora il caro vita “sarà abbastanza difficile e oppressivo” per gli individui a basso reddito.

Blankfein difende la Fed

Blankfein difende l’operato della Fed anche se lo stesso Powell ha ammesso la scorsa settimana che la banca centrale è stata troppo lenta per iniziare ad aumentare i tassi di interesse per combattere l’inflazione. “Hanno reagito e penso che abbiano reagito in modo sensato con ciò che sapevano in quel momento”, ha detto Blankfein. “E si può discutere su questo, ma questo è tutto con il senno di poi.”

La fiducia dei consumatori statunitensi è scesa a maggio al livello più basso dal 2011, con inflazione che viaggia a +8,3% ad aprile, solo in flebile rallentamento rispetto ai picchi di marzo.

Goldman taglia stime 2022 e 2023 

Intanto gli economisti di Goldman Sachs hanno rivisto al ribasso le loro stime di crescita economica degli Stati Uniti. Le nuove previsioni indicano per l’economia a stelle e strisce un’espansione al ritmo del 2,4% nel 2022 dal 2,6% precedentemente previsto. Tagliate in maniera più marcata le previsioni per il prossimo anno a +1,6% dal 2,2% indicato in precedenza. Questo è considerato un “necessario rallentamento della crescita” per aiutare a mantenere stabile la crescita dei salari e ridurre l’inflazione. Goldman ritiene probabile che la disoccupazione aumenti, anche se non pensa che ci sarà un forte aumento.

Le Borse europee in rosso dopo i dati cinesi

Partenza cauta per la Borsa di Milano, appesantita anche dallo stacco dei dividendi. In Cina i lockdown continuano a pesare sull’economia, oggi la Commissione europea taglierà le stime di crescita dell’Eurozona

 di Antonio Cardarelli  16 Maggio 2022 09:15

Dopo i rimbalzi di venerdì, le Borse europee aprono in rosso la prima seduta della settimana. Milano contiene le perdite (-0,3%) mentre Francoforte, Londra e Parigi accumulano perdite vicine al punto percentuale. Oggi a Piazza Affari giornata di dividendi per 16 big tra cui Atlantia, Eni e Unicredit.

DELUDONO I DATI CINESI

Dalla Cina arrivano dati deludenti sull’economia, rallentata dai lockdown imposti dal governo negli ultimi due mesi per fermare sul nascere i nuovi focolai di Covid-19. Nel mese di aprile, in Cina, le vendite al dettaglio sono calate dell’11,1% annuo mentre la produzione industriale è scesa del 2,9% annuo e del 7% rispetto al mese precedente. Lo yuan ha toccato i minimi da ottobre 2020 nei confronti del dollaro. Le difficoltà cinesi provocano un calo del prezzo del petrolio: il Brent è quotato 110 dollari al barile mentre il Wti a 107. In discesa anche i prezzi del gas naturale in Europa: sul Ttf il contratto giugno perde il 2% a 94,75 euro al megawattora. Le Borse di Shanghai e Hong Kong, a poco dalla chiusura, sono entrambe sotto la parità mentre Tokyo ha chiuso in rialzo dello 0,45%. Futures di Wall Street in rosso.

COSA SUCCEDE IN UCRAINA

In Ucraina prosegue l’offensiva russa, ma l’esercito di Putin non sembra essere in grado di conquistare le acciaierie Azovstal, dove sono ancora asserragliati circa 600 militari. Zelensky ha annunciato che ormai “l’invasione russa è fallita” e sta provando a trattare per l’evacuazione dei militari dall’acciaieria. Nell’est del Paese prende piede l’offensiva ucraina, ma sostanzialmente i due eserciti sono in stallo. Attenzione concentrata anche sulla reazione di Mosca dopo la richiesta di adesione alla Nato da parte della Finlandia. Intanto la Cina prende le distanze dal comunicato dei ministri degli Esteri del G7 in cui vengono citate anche le questioni Taiwan e Hong Kong.

TAGLIO PER IL PIL EUROPEO E ITALIANO

Proprio a causa delle tensioni innescate dalla guerra, oggi la Commissione europea si prepara a tagliare le previsioni di crescita del Pil continentale. Per l’Italia si parla di un taglio a +1,5% dal precedente +4%. Per l’Europa la crescita, secondo le nuove stime, sarà del 2,7% (precedente +4%) mentre l’inflazione crescerà del 6,5% (precedente stima +3,5%). Attesa, a proposito di inflazione, per l’intervento di domani del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, che potrebbe fornire maggiori indicazioni sulle prossime mosse della banca centrale americana.

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